< Medea (Seneca - Dolce)
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Lucio Anneo Seneca - Medea (61)
Traduzione dal latino di Ludovico Dolce (1560)
Atto primo.
Personaggi Atto II

TRAGEDIA

SETTIMA, INTITO-

LATA MEDEA.



ATTO PRIMO


Medea
SANTI Dei, che reggete
I congiugali nodi,
E tu del genial letto custode
Lucina; e tu, ch’a Tisi
Insegnasti a domare
L’irato mar, et a frenar la prima
Nave, che solcò l’onde.
Tu che sei Re del salso ondoso Regno,
E tu Sol, che comparti
Il dichiaro a mortali:
E tu santa Triforme,
Che conscia de’ miei occulti
Sacrifici infernali
Mi dimostri il tuo bianco e chiaro lume.
E voi Dei, per li quali
Gia mi giurò Giasone:
E voi, cui più conviene
A Medea porger preghi
O de l’eterna notte oscuro Caos,
Regni d’Inferno, e Re fiero e tremendo
Di quel profondo Abisso,
E tu Reina, che con miglior fede
Fosti rapita al mondo,
Che non fu io: e voi sorelle ultrice
Con le chiome crinite di serpenti
Siate, mentre vi prego,
Favorevoli tutte a voti miei,
Quali gia vi mostraste
Horribili e tremende a le mie nozze;
Pregovi a dare a morte
La novella consorte
Il suocero, et i figli di Giasone.
Et a me peggior male
Di quel ch’io prego al mio sposo ingrato.
Viva egli, e vada errando
Per ignote contrade
Esule, pien di tema in odio a tutti,
E non trovi giamai ferma magione.
Desideri di havermi,
Com’era per sua sposa,
E brami sempre le straniere case,
A tutti forastier famoso e nato:
E, quello, di che peggio,
Desiar non si puote,
Al padre et a la madre.
Ma la vendetta è meco.
Ho partorito, et ho dilui figliuoli.
Onde son le querele
E le parole in darno.
Non debbo andar io contra
I miei gravi nimici?
Non tor l’ardenti faci
A l’alme de l’Inferno,
E l’alma luce al cielo?
Vede pur queste cose
Il Sole, ond’io derivo,
Mentre col carro aurato
Va circondando questo
E quell’altro Hemispero:
Perche non torna in dietro,
E d’altra parte a noi non mena il giorno?
Concedimi, ch’io possa
Col tuo carro levarmi
Su per l’aure celesti,
E che regga le briglia
De li veloci tuoi corsieri alati:
Che scenderei si a basso,
Ch’abbrucierei Corintho.
Hora mi resta solo
D’esser io ne le nozze
Pronuba di Giasone,
E che porti la face a la consorte.
E dopo i preghi al sacrificio fatti
Uccida lei, qual vittima a glialtari.
Animo, se in me vivi,
Cerca strada a le pene
Per le viscere istesse
Di questi miei nimici.
Dunque, se in te ancor regna
E resta parte del vigore antico,
Le senil paure in tutto sgombra,
E diventi il tuo core
Assai più aspro e duro,
Che ’l Caucaso non è fiero e deserto.
Tutto quello, che Fasi,
O ’l Ponto giamai vide
Di crudeltà, fa che lo vegga l’Isthmo.
Commetti nuovi mali
Fieri, crudeli, e parimenti horrendi
A la terra et al cielo.
Va la mia mente imaginando in lei
Ferite, e morti, e cose altre simili.
Ma son troppo leggeri;
E già cio feci, quando
Era nel primo fiore
De la giovane etate.
Et era verginetta.
Hor surga maggior duolo:
C’he poi, c’ho partorito,
Mi convengon maggiori sceleritadi,
Cingiti tutta d’ira,
E con ogni furore
Apparecchiati a la costor ruina.
Fa, che siano i rifiuti
Uguali a queste nozze;
E lascia il tuo marito
Con quello istesso modo,
Con cui lo seguitasti.
Deh non esser più pegra
Piu non indugia homai.
E la casa acquistata
Con la sceleritate,
Con la scelerità si lasci ancora.
Coro
A le nozze Reali
Sien prosperi e benigni
Tutti i celesti Dei,
E quei, che reggon l’onde.
Prima s’ammazzi un Toro,
C’habbia candido il tergo
Al grande padre Tonante.
Piace a Lucina una giuvenca bianca
A cui giogo giamai non fece oltraggio.
Et a la Dea, che affrena
L’ira del fiero Marte
Tanto, che le sanguigne mani asciuga,
E che fa, che le genti
In amica unione
Vivan congiunte e strette,
E tien col ricco corno
La copia desiata;
Vie piu tenera vittima si doni.
E tu, che suoi trovarti
A legitimi nodi
De’ maritaggi, e con felice destra
Le tenebre disgombri
Apportandovi caste e honeste faci:
Vieni benignamente
Cinto le chiome intorno
Di belle rose: e salta
Con non ben fermo piede a guisa d’Ebro.
E tu, che sempre intenta
A mostrarti in su ’l giorno,
E vicino a la notte,
Tardi sempre ritorni
Stella a bramosi amanti.
Te desideran sempre
E le madri, e le spose,
Che sparga tosto i bei lucidi rai:
Vince l'alta beltate
De la regia figliuola
Di gran lunga le belle,
Che si trovan ne l'Attico paese.
E quelle, che ne' gioghi
Di Taiete si vanno
Esercitando a guisa
D'huomini: la cui terra
Non è di mura cinta:
E quelle, che ne l'onde
Aonie, e del sacro e vago Alfeo
Soglion tinger le membra:
Et al Duca Giasone,
Se si vuol riguardare
La bellezza, ond'è pieno,
Cede colui, che nacque
Di fulminata madre,
Il cui carro è tirato da le Tigri:
E 'l fratel di Diana.
Cede Polluce insieme
Col suo Castore amato.
Così prego gli Dei,
Che vinca la consorte
D'alta felicità tutte le mogli,
Et il marito di gran lunga avanzi
Tutti gli altri consorti.
Questa, quand'ella appare
Fra l'altre verginette,
Ogni volto di lei resta men bello.
Così col Sol le stelle
Perdon la luce loro,
Così splende la Luna
Fra i bei lumi minori.
Così vede il pastore
Il nuovo Sol, quand'esce fuor de l'onde.
Tu dunque, che campato
Sei da le fiere case
Di Fasi, e avezzo ad abbraciar il petto
De la sfrenata moglie
Timido sempre con turbate braccia,
Abbraccia a questo tempo
Pien di felicità questa Donzella:
Hora ne' dolci gioghi
L'uno e l'altro sudando
Dolcemente s'affanni.
Voi giovani cantate
Leggiadri versi; e festeggiate insieme:
Sia tra voi Bacco, e non lasciate punto
Ammorzarsi gliaccesi ardenti lumi.
E vada ne le tenebre colei
Taciturna e dolente,
Che fuggitiva prende
Forastiero consorte:

Il fine del primo Atto

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