< Medea (Seneca - Dolce)
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Atto quarto.
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ATTO QUARTO.
Nudrice.
- Nudrice.
- L’animo mio paventa,
- E tutto pien d’horrore.
- Una grande ruina, un grave danno
- Veggio, che s’avicina.
- O, quanto il duolo accresce,
- E se medesmo infiamma,
- E le passate forze
- Va tutte reintegrando.
- L’ho veduta sovente
- Furibonda tirar gli Dei dal cielo:
- Hor Medusa s’apparecchia
- Di far più mostruosa opra, ch’ancora
- Habbia fatto giamai.
- Perciò, che tosto, ch’ella
- Con attoniti passi
- Entrò nel chiuso; e si accostò a gli altari,
- Sparse tutte sue forze,
- E tutto quello, ch’ella
- Stessa temeo, spiegò, spiegando insieme
- Ogni sorte di male.
- Con la sinistra man toccando i sacri
- E santi Altari, disse
- Le segrete parole,
- Chiamò qualunque peste
- Produce Libia ne la calda arena.
- E quante ne ritien Tauro coperte
- Sempre di ghiaccio e neve,
- Et ogni Mostro. Così prestamente
- Da le caverne loro
- Tratte da carmi e Magici parole
- Vi venne una gran torma
- Di squamosi serpenti:
- Che vibrando tre lingue, e gonfi d’ira,
- A gli accenti mirabil, in un punto
- In più nodi avolgendo
- La velenosa coda,
- Stupidi si fermaro.
- Et ella: picciol mali,
- Et arma troppo vile
- E, quando in sé contien la bassa terra:
- Io voglio ricercar veleni in cielo.
- Hora è tempo di fare
- Effetto tal, ch’ogni memoria ananzi.
- Qui discenda quell’angue,
- Che a guisa di torrente
- Giace la sù annodando
- Con nodi immensi e strani
- Ambedue l’Orse, quella,
- Ch’è maggiore, et insieme la minore.
- La maggior vie più atta
- A Pelasgi, e a Sidonij la minore.
- E finalmente allarghi
- Ofiulco le mani,
- E ne sparga il veleno:
- Scenda Pithone e l’Hidra,
- E ’l Dragon, che giamai non prendea sonno,
- E prima chiuse gli occhi
- Indotto a questo da gl’incanti miei.
- Poscia, ch’ella chiamò tutti i serpenti,
- Ridusse in uno i mali
- Tutti, che può crear terreno seme,
- Quanti genera Erice,
- E ’l Caucaso, ch’è sparso
- Del sangue di Prometheo: e ’l Medo, e ’l Partho
- Gli Arabi; o quanti accolge
- Sotto il fredd’Asse il svevo
- Nobile per le selve
- Hercine: et herbe quante
- Nascon di Primavera,
- O ne l’algente verno:
- E quanti fiori han foglie
- Velenose e mortifere: et insieme
- Quante radici avenenati suchi
- Mandano fuori: o sopr’Atho, e su Pindo,
- Quante ne bagna il Tigre, e l’Histro quante
- Quante l’Hidaspe, e quante il Bethi, ilquale
- Da nome al suo terreno.
- Ella la notte colse
- L’herbe crudeli, altre col ferro et altre
- Con l’unghie; e de’ Serpenti
- Tragge il veleno fuori,
- E vi mescola insieme osceni augelli
- Il cuor del mesto Guffo,
- E le viscere tratte
- Di mesta strige ancor tremante e viva.
- E queste cose pone
- Separate la fiera
- Artefice del male.
- Et aggiunto v’è il foco,
- E ’l pegro ghiaccio e freddo.
- Et aggiunsevi ancora
- Parole non men crude e di paura
- Che ci siano i veleni.
- Ecco, ch’ella ne viene
- Strepitando co’ piedi furiosa,
- Cantando i sacri carmi:
- Et a le prime voci il mondo trema.
- Medea.
- Pregovi ombre defonte,
- E voi Dei de l’Inferno;
- Tu cieco Caos, e tu Regno di Dite
- Tenebroso e dolente:
- E tu caverna de l’horrenda morte,
- E voi alme disciolte
- Hor da supplicij vostri
- Correte a novi maritaggi, a queste
- Novelle nozze. fermisi la ruota
- Che tormenta Isione:
- E Tantalo sicuro beva l’acque.
- Più grave pena mova
- A tormentar del gia marito mio
- Il suocero crudele.
- Lasci Sisifo il sasso,
- E voi ponete i vasi
- Bellide: perche questo
- Giorno ricerca homai
- Tutte le sanguinose nostre mani.
- Tu lume de la notte
- Da me chiamata vieni
- A sacrifici nostri
- Con bruttissimo aspetto
- Minacciosa in più forme.
- Io sciogliendo la chioma
- Al solito costume
- Ad honor tuo, discorsi
- Con nudo piede il bosco:
- E chiamai da le secche nubi l’acqua:
- E commossi l’Oceano et ogni mare.
- E parimente il mondo,
- Sendo del ciel la legge
- Confusa, vide il Sole
- Et insiemele stelle.
- E voi Orse toccaste
- L’a voi vietato mare.
- Feci cangiar ancora
- Lemedesme stagioni:
- Onde s’ornò di fiori
- La terra al canto mio;
- E Cerere nel verno
- Vide mature biade:
- E Fasi suo malgrado
- Tornò l’acque al suo fonte.
- E l’Istro ch’è diviso
- In tante bocche, ratto
- Fermò l’onde turbate e tempestose,
- Risonarono l’acque,
- Et hebbe tema il mare.
- E non si udendo fiato
- Di vento, la magione
- Del bosco antico a le mie note fiere
- Perde la solit’ombra
- Febo lasciato il giorno
- Fermossi in mezo; e l’Hiade mosse a nostri
- Canti, ne sdrucciolaro.
- Hor Luna è tempo, che ti trovi a tuoi
- Sacrifici solenni:
- A te con sanguinosa mano io tesso
- Queste ghirlande, che legate sono
- Da novi serpi: a te Tifeo consacra
- Queste membra, ch’ardire
- Hebber di torre il cielo
- Al formidabil Giove.
- Questo è il sangue di Nesso,
- Che fu perfido a Alcide.
- Il Rogo, ov’egli poi
- Arse, di questo cenere fu sparso,
- Che bebbe il fier veleno,
- Ond’erano infettate le sue carni.
- Tu vedi anco la face
- De la suora pietosa, et empia madre
- De la gia ultrice Altea.
- L’Harpia lasciò ne l’horribile speco
- Queste piume alhor, quando
- Se ne fuggì da Zetho.
- S’aggiungono le penne, che cascaro
- A le uccelle Stinfalide ferite
- Da le saette tinte
- Nel sangue velenoso
- De la serpe Lernea.
- Io sento risonare i sacri Altari,
- E tremar veggo i Tripodi commossi
- Del favor di te Dea.
- Io veggio i lievi carri
- Di Trivia; non gia quelli,
- Che quando è piena col lucente volto
- Move vegghiando e gira:
- Ma quelli, ch’ella adopra
- Quando mesta, e con faccia
- Rubiconda et oscura,
- Quando da nostri incanti
- E’ costretta sen corre
- Con piu vicini freni.
- Cosi la trista luce
- Pallida spargi intorno
- Pel cielo e di terror le genti ingombra.
- E in tuo aiuto Dittinna
- Risuonino i Corinthi
- I pretiosi loro
- Metalli: a te porgemo
- Il sacrificio sopra
- Cespuglio sanguinoso.
- A te una falce tolta
- Di mezo dal sepolcro
- Leva i notturni fochi.
- A te, piegando il capo,
- Cosi torcendo il collo
- Formo sacre parole.
- A te giacendo a guisa
- Di funereo costume
- Una benda costringe
- I capei rabuffati.
- A te si move un ramo
- Sparso de l’acqua oscura
- Da la Stigia palude.
- A te con petto ignudo
- Pur a guisa di Menade con sacro
- Coltello ferirò le braccia mie.
- Stilla a glialtari il sangue
- Nostro: avezzati mano
- Stringer il ferro; et a poter patire
- Spargere i sangui cari.
- Dato ho percossa al sacro
- Liquore. E se per caso
- A te recasse noia
- L’esser spesso chiamata;
- Ti prego, che perdoni
- Al disiderio mio caldo et ardente.
- La causa di chiamare
- Perseo spesso i tuoi archi
- E sola e la medesima mai sempre
- L’empio e fiero Giasone.
- Tu hor la veste tingi di Creusa;
- Laqual tosto c’havrà presa, si senti
- Di repente abbruciar novella fiamma
- Le profonde medolle.
- Il fuoco chiuso in oro
- Risplendente s’appiata:
- Ilqual mi diede quello,
- Che col fegato sempre
- A sue pene fecondo
- Purga la sua rapina;
- Et insegnò a nasconder le sue forze.
- Diede Prometheo l’arte:
- E Vulcan tenne il foco
- Ricoperto col solfo,
- E tolsi anco le fiamme
- Del folgore celeste
- Del parente Fetonte:
- E tengo i doni ancor de la Chimera.
- Et ho le fiamme tolte
- De l’abbruciata gola
- Del Toro: che meschiate
- Col fele di Medusa
- Fatto ho serbar; ch’è un taciturno male.
- Giungi Hecate a i veleni
- Maggior virtute, e a miei
- Doni conserva i semi de la fiamma.
- Ingannino la vista,
- E s’aventino altrui
- Divorandole il petto, et ogni vena.
- Stillin tutte le membra
- Nudando l’ossa; e la sua accesa chioma
- De la novella sposa
- Vinca l’accese faci.
- Io veggo, che i miei voti
- Sono hoggimai esauditi:
- Che tre latrati ha dato
- L’audace Hecate; e accesi
- Ha sacri fuochi con la face piena
- Di doloroso pianto.
- Tutta la forza è in punto:
- Quì chiama i miei figliuoli;
- I quali portin tosto
- A la sposa i miei doni.
- Andate figli, prole
- D’una infelice madre:
- Vedete di placar con questi doni,
- E ancor con molti preghi
- La Signora e matrigna,
- Andate tosto, e tosto
- Ritornate a la madre,
- Acciò goder io possa
- Gliultimi abbraciamenti.
- Coro
- Ove la sanguinosa
- Menade move il piede
- Frettoloso sospinta
- Da fiero et empio amore?
- Qual si nefando male
- Apparecchia di fare
- Da tal furor portata?
- Il volto è tutto pieno
- D’ira, e d’asprezza; e crollando la testa
- Minaccia il Re superba.
- Chi porrà fede in una
- Scacciata e posta in bando?
- Son focose le guancie
- E ’l pallor fa, che si dilegua il sangue,
- Che le facea vermiglie.
- E sempre varia, e un sol color non serba.
- Hor si parte, hor ritorna,
- Si come Tigre suole
- Orba de’ propri figli
- Con furioso corso
- Cercar il bosco la vicino al Gange.
- Medea non sa frenare
- L’ira, ne li suoi amori.
- Ira et amore hor hanno insieme aggiunto
- La causa lor: che seguirà da poi?
- Quanto leverà il piede
- Questa malvagia, che venne da Colco
- Fuora de’ Greci Regni?
- E sgombrerà di tema
- Questo paese, e parimente i Regi?
- Hor Febo il carro affretta;
- E la notte discenda
- A nasconder la luce.
- E ’l duce de la notte
- Sommerga Hespero il giorno,
- Che solo è da temere.
Il fine del quarto Atto
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