< Medea (Seneca - Dolce)
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Atto quinto.
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ATTO QUINTO.
Nuntio, Coro, Nudrice,
Medea, Giasone.
- Nun.
- Ogni casa è perita:
- Caduto è questo Regno.
- E la figliuola e ’l padre
- Giacciono cener mescolata insieme.
- Cor.
- Con qual fraude ingannati
- Son stati ambedue?
- Nun.
- Con quella fraude istessa,
- Ch’ingannar suole i Regi:
- Co’ doni.
- Cor.
-
- In questi doni
- Qual fraude esser poteva?
- Nun.
- Et io ne prendo maraviglia ancora:
- Et a pena, ch’io ’l creggia,
- Se ben veduto ho ciò con gliocchi miei.
- Cor.
- Come avenuto è questo
- Cosi subito fatto?
- Nun.
- Il foco, come gli fu imposto, avampa
- Per tutto il Real tetto:
- E gia non è più tetto
- Ma sol ruina; e a la città si teme.
- Cor.
- Dunque che non si corre
- A estinguerlo con l’acqua?
- Nun.
- E questo in si gran male
- E mirando e stimando; che le fiamme
- Si nudriscon con l’acqua;
- E, quanto più si tenta
- D’ammorzarne un tal foco, esso piu cresce.
- Medea rivolgi il piede,
- E cerca di fuggire
- Con ogni fretta fuor de la cittade.
- Med.
- Io debbo dipartirmi:
- Anzi, quando ci fossi
- Partita, ancor in lei tornar vorrei;
- Però, ch’io vo veder le nuove nozze
- Perche cessi mio animo? deh segui
- Questo impeto felice:
- Che cosi fatta parte
- Di vendetta, onde godi
- Quanta si può chiamare?
- Tu furiosa ancora
- Ami, se t’è a bastanza
- Il vedovo Giasone.
- Cerchi una sorte tale
- Di pene e di cordogli,
- Disusata nel mondo.
- E cosi t’apparecchia:
- Partisi la ragione,
- E partasi il rispetto:
- Lieve vendetta è quella,
- Che portan picciol mani.
- Hor prendi tutta l’ira;
- E sveglia il tuo furore,
- Che quasi è addormentato:
- E dal profondo petto
- Tira furia maggior d’ogni passata.
- Quel, che s’è fatto insino
- A quì, pietà si chiami:
- Fa, che si sappia, come
- Son cose lievi quelle,
- Che si sono vedute
- Uscir de le mie mani.
- Ha scherzato la doglia
- Sopra di questi.
- Che potevano alhora
- Le rozi mani mie, ch’era fanciulla,
- Ardir, che fosse grande?
- Hor son Medea: con i miei mali insieme
- E cresciuto l’ingegno.
- La memoria mi giova
- D’haver a mio fratello
- Spiccato il capo; e diviso in più parti
- Le morte membra; e prima
- Haver rubato al padre
- Il vello d’oro. Giova ricordarmi
- D’haver indotte le figliuole insieme
- Ad amazzar il padre.
- Dolor materia cerca,
- Che la tua man porrai
- Esperta in ogni male.
- Ove adunque ti spingi
- Ira? o qual’arme movi
- Contra il perfido tuo fiero nimico?
- Non so che di feroce
- Ha proposto di dentro
- L’animo: e non ardisce
- Ancora a se di confessarlo. troppo
- Troppo sciocca mi sono
- Affrettata. Volesse
- Giove, che ’l mio nimico
- Havesse havuto de la mia rivale
- Alcun figliuolo. Quello,
- Che d’esso è tuo, gia partorì Creusa.
- Mi piacque questa sorte
- Di pena, e certo con ragion mi piacque,
- Hora è da preparare
- L’ultima sceleraggine: onde voi
- Gia miei figliuoli patirete voi
- Per le scelerità del padre vostro
- Il supplicio, ch’ei merta.
- Ma ecco nuovo horrore
- Ha percosso il mio core,
- E tutte mi s’agghiacciano le membra,
- Mi trema il petto, e s’è partita l’ira
- Di la, dove havea loco,
- E cacciando la moglie
- Tutta riede la madre.
- Io spargerò de’ miei
- Figli e de la mia prole
- Misera il caro sangue?
- Fia meglio, o cieco e pazzo
- Furor, che tal sceleritate fiera
- E nefanda et horrenda
- Io diparta da me. Deh qual peccato
- I miseri han commesso?
- Scelerato è Giasone,
- Medea più scelerata
- Essendo madre loro.
- Anzi moiano pur, che non son miei.
- Periscano: ah pur sono
- Miei: ne colpa o peccato
- Han, ma sono innocenti.
- Ma confesso, che siano; anco innocente
- Era il fratello mio.
- Deh, perch’animo mio sospeso resti?
- Perche tingon le lagrime le guancie?
- E tra il voler e ’l disvoler mi tira
- Da l’una parte l’ira, e d’altra Amore?
- Ne so quel, che far si deggia?
- Si come, quando due contrari venti
- Tra lor fanno aspra guerra,
- L’onde agitate hor quà hor là portando
- L’aggira in ogni parte:
- Non altrimenti io sono
- Combattuta nel core:
- L’ira faccia pietate,
- E la pietade l’ira:
- Dolor cedi a pietade,
- Cara mia prole, e solo
- Conforto de l’afflitta
- Mia casa quì venite,
- E cingetemi il collo,
- Godivi salvi il padre,
- Mentre n’habbia la madre.
- Adosso m’è l’esilio,
- E la presta fuggita,
- Gia gia mi fian levati
- Da questo grembo.
- Hor su piangendo e sospirando, ratto
- Periscano del padre
- A gliocchi, poscia che perite sono
- A quelli de la madre,
- Da capo il dolor cresce,
- E dentro l’odio ferve.
- E l’ira antica de la mente mia
- Ripiglia un’altra volta
- L’odiosa mano; e dove
- Ella mi spinge, io segno.
- Volesse Dio, che i figli
- Di Niobe usciti fosser del mio ventre:
- E cosi havessi sette
- Superbo, figli e figlie;
- Ch’a le pene io mi posso
- Sterile addimandare.
- Al fratello et al padre
- (Quello che basta) ho partorito due.
- Ove va questa turba
- Funebre e lagrimosa?
- E chi cerch’ella? e a cui
- Apparecchia di dare
- Gran percosse di fiamme e sanguinose?
- Over l’Infernal schiera
- Indirizza le sue faci?
- Il serpe scosso a la percossa fiera
- Torto risuona. E chi è colui, che vuole
- Megera empia assalire
- Con la trave nimica?
- L’ombra di cui è venuta
- Incerta per le sue
- Sparse e lacere membra.
- Egli è il fratello mio,
- E ricerca vendetta:
- Noi la farem, ma pria
- Tutta m’incendi e ’nfiamma
- E mi squarcia, e m’abbrucia,
- Che ’l mio petto è capace ad ogni furia.
- Et imponi fratello
- A queste ultrici Dee,
- Che da me si dipartano; e sicure
- Ritornino a l’Inferno:
- Lasciami a me fratello,
- Et usa questa mano.
- Con questa, che gia strinse
- Il ferro e ti fe vittima, fratello
- Hor ti plachiamo. che vuol l’aspro suono,
- Che s’ode di repente?
- Apparecchiano l’arme,
- E cercan di amazzarmi.
- Io lascierò l’incominciata acerba
- Occision, e ascenderò su ’l tetto
- De l’alto albergo mio.
- Tu m’accompagna; e meco
- Ne porta il corpo tuo.
- Fornisci animo mio
- Di far la degna impresa.
- Gia tu non dei in ascoso
- Perder la tua virtute.
- Approva a questo popol la tua mano.
- Gias.
- Chiunque è fido amico,
- E si duol de gli estinti
- Suoi Regi e suoi Signori:
- Qui tosto accora a fine,
- Che l’autrice di tanta
- Horrendo sceleraggine prendiamo.
- Voi schiera mia gagliarda
- Portate l’arme; e questa casa tutta
- Rivolgete sossopra e ruinate.
- Med.
- Gia gia ricoverato
- Ho il mio Scettro, il fratello,
- Il padre con la spoglia
- Del ricco vello d’oro.
- Sommi tornati i Regni,
- E la verginità da te rapita.
- O nel fin Dij benigni
- O lieto giorno e festo, o dì di nozze,
- Vanne e partiti via,
- C’ho fornita di fare
- Quella scelerità, ch’io desiai.
- Non la vendetta ancora:
- Seguite mani. perche tardi tanto
- Animo? perche stai così sospeso?
- Gia in me caduta è l’ira,
- E mi pento, e vergogno
- Di quel, che lassa ho fatto.
- Misera me, che è quello,
- Che le tue crude mani
- Nan fatto? ma quantunque
- Tu ti penta, io l’ho fatto.
- Un gran piacer, benche tal fatto sia
- Degno d’odio, mi viene
- A l’alma, et ecco cresce. Una sol cosa
- Mancava: che di questo
- Fosse riguardatore il proprio padre.
- Non mi par d’haver fatto
- Fin quì senza costui nessuna cosa.
- Tutto il male, c’ho fatto,
- Senza costui perisce.
- Gias.
- Ecco, ch’ella si mostra
- In cima al tetto. Quì tosto si rechi
- Il foco, acciò, ch’ella l’abbruci et arda
- Ne le sue stesse fiamme.
- Med.
- Tu fa l’esequie a tuoi
- Propri figliuoli, e da lor sepoltura.
- Che la tua moglie, e ’nsieme
- Il tuo suocero havuto
- Hanno da me l’esequie, e son sepolti.
- Questo tuo figlio è giunto
- A morte; e innanzi gliocchi
- Tuoi propri ancora ne morrà quest’altro.
- Gias.
- Io ti prego Medea
- Per tutti i Dei, ti prego
- Per i nostri legami
- Del maritaggio, e ancora
- Pel sacro e congiugal letto; che mai
- Non violò mia fede:
- Che tu perdoni al figlio:
- Che se n’è alcun peccato,
- Io confesso, ch’è mio.
- Amaza me, me sol leva di vita,
- C’ho commesso ogni errore.
- Med.
- Per questa carne istessa,
- Onde ti pesa e duole
- Io vo cacciar il ferro.
- Hor vanne hora superbo,
- E chiedi l’altrui nozze
- Di vergini e donzelle,
- E le madri abandona.
- Gias.
- Uno era assai a la pena.
- Med.
- Se le mie man potessero esser rese
- Satie d’una sol morre,
- Non ne havrei data alcuna.
- E benche due n’ancida,
- E troppo picciol numero al mio duolo.
- Se ne la madre ancora
- Alcun figlio s’asconde,
- Cercherò ne le viscere col ferro,
- E fuori nel trarrò con questa spada.
- Gias.
- Fa la scelerità, fornisci lei;
- Non ti prego, che lasci di fornirla,
- Ma dammi qualche spatio
- A tai supplicij miei.
- Med.
- Dolor non t’affrettare:
- Ma godi de la lenta
- Scelerità, ch’io faccio.
- Gias.
- Ah nemica crudel del proprio sangue;
- Amazza me.
- Med.
-
- Tu dunque mi comandi,
- Ch’io sia pietosa. Hor le cose van bene,
- Ho fornito: mia doglia
- Più non ha havuto in che gratificarti.
- Hor tu ingrato Giasone
- Volgi qui gliocchi tuoi, volgi superbo.
- Deh non conosci tu la tua consorte?
- Cosi sogl’io fuggire,
- E farmi per lo ciel sicura via.
- Ecco, che i due serpenti
- Pongon benigni colli
- Squamosi sotto il giogo.
- Hor tu padre hoggimai
- I tuoi figli ricevi.
- Io per l’aria sarò portata intanto.
- Gias.
- Dovunque te n’andrai,
- Dì, che non v’è alcun Dio.
Il fine della Settima Tragedia
di Medea.
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