< Misteri di polizia
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I. La Polizia

PREFAZIONE



Nel 1887, raccogliendo materiali per uno studio intorno alla dimora ed agli amori di Ugo Foscolo a Firenze, da premettere alla raccolta completa delle lettere del cantore dei Sepolcri e della Donna Gentile 1, volli frugare entro le carte dell’Archivio di Stato Toscano, nella speranza di ritrovare fra le filze della Polizia del così detto Dipartimento dell’Arno (al tempo degli ultimi due soggiorni del Foscolo sulle sponde d’Arno, Firenze era una provincia francese con una larva sparuta d’autonomia che s’incarnava nella piccola corte della principessa Elisa) qualche traccia di colui, che solo fra i poeti d’Italia d’allora non volle bruciare un granellino d’incenso all’uomo che i figli d’Apollo, con Vincenzo Monti alla testa, chiamavano il Moderno Giove. Ma dell’amministrazione francese non trovai che poche filze, quasi tutte riguardanti gli affari civili del Comune, o come in quei tempi, con una parola che non ricordava nemmeno per ombra il famoso buratto, si diceva: l’amministrazione delle mairies. All’incontro, se nulla intorno al Foscolo potei racimolare fra quelle carte, potei convincermi che avrei potuto fare ampia raccolta di particolari sulla storia intima o segreta di Firenze quando avessi per poco avuto pazienza di frugare fra le filze della Presidenza del Buon Governo; — un’istituzione sui generis, a base di polizia e con diramazioni nel campo giudiziario ed amministrativo, che poco dopo la partenza del Foscolo dalla Toscana era stata ripristinata insieme al governo granducale.

Così nacque in me l’idea di scrivere una storia di Firenze dal 1814 al 1847; una storia intima, anedottica, ricavata da documenti destinati sin dalla loro origine a rimaner segreti e quindi ricchi di particolari che difficilmente altre fonti avrebbero fornito allo storico. Confesso, inoltre, che l’idea di avere per collaboratrice la Polizia (o l’alta Polizia coll’ampio codazzo dei suoi birri grossi e piccini) non fu l’ultima delle ragioni por tentare e portare a compimento il mio lavoro. Sono sicuro che il mio signor lettore vorrà ammetterlo senza fatica: una cosiffatta collaborazione non è una fortuna che capita tutti i giorni allo storico.

Ma se ho avuto per collaboratori, oltre a ministri e presidenti di Buon Governo, ispettori e commissari di polizia, bargelli e spie (quest’ultime nobilitate nel linguaggio ufficiale del tempo colla designazione di informatori o di fiduciari), ciò non vuol dire che io, descrivendo uomini e cose, abbia queste e quelli guardato attraverso le lenti della sbirraglia più o meno gallonata, più o meno autorevole. Mettendo sotto gli occhi dei lettori una Firenze, non dirò in camicia, benchè qualche volta io la presenti in tale succinto ed assai, forse troppo assai, familiare paludamento, ma in veste da camera, io non ho mai fatto getto delle mie convinzioni liberali: i fatti da me spigolati nell’Archivio Segreto della Presidenza del Buon Governo, io non li ho presi che dal lato della loro esistenza materiale. Cosicchè ho presentato come un triste e un miserabile l’arcivescovo che faceva da spia, benchè dal Granduca e dai suoi ministri fosse ritenuto per un buon pensante ed uno stinco di santo, e non ho potuto trattenermi dal ridere dinanzi alla indignazione di quel poliziotto che chiamava cattivi soggetti o giovani immorali Carlo ed Alessandro Poerio perchè amavano la libertà!

Certamente, il libro presenta molte lacune. Ma di queste alcune sono dovute al proposito di non presentare che una Firenze sempre coperta, se non altro della sola camicia; altre al bisogno di stringere la materia dentro confini, che l’editore non m’avrebbe facilmente fatto superare; altre, infine, e quest’ultime non poche, dal fatto che cominciato il libro a Firenze, fui costretto, per ragioni indipendenti dalla mia volontà, e colla sola guida degli appunti presi nell’Archivio di Stato Toscano, di continuarlo negli Abruzzi e finirlo nell’Umbria.


Perugia, Novembre, 1889.

Emilio Del Cerro

  1. Epistolario d’Ugo Foscolo e di Quinna Mocenni-Magiotti; Firenze, A. Salani, 1888.
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