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CAPITOLO XXXVII.
Massimo d’Azeglio che credeva di rifare l’Italia non con le sètte, ma coll’accordo dei principi e dei popoli sul terreno delle riforme, nel suo viaggio in Romagna ideato e compiuto con tali intendimenti, non era riuscito che in parte a far abbandonare ai liberali di quella regione il loro vecchio programma. A Rimini e in altre località delle Legazioni, erano scoppiati dei moti, che i birri e i gendarmi del vecchio Pontefice avevano subitamente e brutalmente represso. Ma quei moti, invece di far perdere di animo gl’iniziatori del movimento delle riforme a spizzico, fatte sotto l’egida di principi e di ministri che costantemente le avevano avversate, ed alcuni combattute sin’anco colla galera, la forca e la fucilazione, erano serviti a loro, specie al D’Azeglio, per dimostrare come le stesse riforme fossero necessarie. Ed obbedendo a questo concetto, dettò il suo primo scritto politico: Degli Ultimi Casi di Romagna, che col proprio nome in fronte, fece stampare alla macchia in Toscana.
La clandestinità dell’opuscolo non significava che il d’Azeglio avesse paura, come il Giusti, di compromettersi colla Polizia: era una necessità dei tempi che non ammetteva in tutta la penisola che un solo genere di pubblicità: quella preventivamente approvata dalla Censura. Ma, col nome che vi appose, assumeva su di sè tutta la responsabilità di quell’atto; e perchè la taccia di paura non gli si appioppasse nemmeno per burla, lasciato il Piemonte, se ne venne in Toscana per curarvi la stampa del suo scritto. Così la Polizia granducale, insieme al libro, poteva avere sottomano lo scrittore.
La pubblicazione del libro fu un avvenimento. Erano i tempi in cui gl’italiani non potendo fare le barricate combattevano le campagne della libertà a furia di libri, d’opuscoli, d’inni, di sonetti, di programmi. La letteratura, che da classica s’era trasformata in romantica, in quei giorni divenne rivoluzionaria. Il 13 marzo 1846, il presidente del Buon Governo, diramava alle autorità politiche la seguente circolare:
„Costando che va circolando un libercolo in istampa di piccolo formato di N. 126 pagine intitolato: Degli Ultimi Casi di Romagna, di Massimo d’Azeglio — Italia, gennaio 1846, del quale interessa impedire la diffusione perchè diretto contro i governi d’Italia, di ciò rendo inteso la S. V. Ill.ma, perchè ecc.„
Il D’Azeglio era già a Firenze sin dal 19 gennaio, come si scorge dal seguente appunto dell’ufficio dei forestieri. „15 marzo 1846: Il cav. Massimo d’Azeglio di Torino, è munito d’un passaporto, senza connotati, come viene rilasciato alle persone di distinzione, accordato a Torino dal Governo li 8 novembre 1845, buono per diversi Stati d’Italia. Dopo essere stato qualche giorno a Milano, ritornava in patria, da dove partì il 6 gennaio 1846, ed arrivò in Firenze il 19 detto mese. Domandò ed ottenne la carta per due mesi lì 26 gennaio, carta che va a scadere il 26 marzo corrente.„
La presenza del D’Azeglio a Firenze era una sfida al Governo toscano. Questo, forse, avrebbe chiuso gli occhi, se l’opuscolo fosse venuto fuori senza nome d’autore; ma dal momento che il D’Azeglio s’era voluto far conoscere, che avrebbero detto i governi d’Italia, e quello di Vienna in particolare, se i ministri toscani non avessero preso una misura energica contro la stessa persona del D’Azeglio? Per lo meno, il gesuitante Paüer e il non meno gesuitante Bologna si sarebbero ritenuti complici dello scrittore piemontese!
Peraltro, i ministri del Granduca, in quei giorni, s’erano posti allegramente per la via della reazione. Credevano semplicemente che si fosse all’indomani della restaurazione del 1814, e non alla vigilia d’una rivoluzione: e come tutti i presuntuosi, avevano occhi e non vedevano, avevano orecchie e non udivano.
Il 16 marzo il Bologna scriveva al ministro Paüer: „Ieri diedi nuovamente cenno a S. A. I. e R. della convenienza di ritirare al D’Azeglio la carta di soggiorno che gli scade il 28 stante, prevenendolo qualche giorno prima che non potendogli essere prorogata occorre che si disponga a partire. Porgendole questa notizia, prego la di lei bontà a considerare, se potesse convenire ch’ella prendesse questa mattina dall’I. e R. A. S. ordini positivi sopra questo proposito, ritenendo io che sia indispensabile il sollecito allontanamento di questo pericoloso e sfacciato (sic) forestiero.„
Il Paüer non se lo fece dire due volte, e lo stesso giorno ottenne dal Granduca (il quale, poveretto! pare che se ne vivesse rincantucciato a Palazzo Pitti per mettere la sabbia sui provvedimenti presi dai suoi ministri) l’ordine di sfratto del D’Azeglio, che lo stesso giorno, a tamburo battente, fu comunicato all’autore della Disfida di Barletta, all’albergo di Porta Rossa, ove egli aveva preso alloggio.
Il D’Azeglio, la sera di quel giorno medesimo, rispondeva al capo d’ufficio dei passaporti col seguente biglietto:
„Il sottoscritto ha l’onore di accusarle ricevuta del di Lei foglio in data 19 corrente, col quale lo avverte non esser per prorogarsi la carta sua di soggiorno scadente il 26 detto.
„Ringraziandola dei termini cortesi di tale partecipazione, ha l’onore di dirsi
Dev.mo obbl.mo servo |
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L’indomani (20 marzo) l’Ispettore di Polizia scriveva al Presidente del Buon Governo: „Il conte (sic) Massimo d’Azeglio, piemontese, cognito scrittore di romanzi, giunse in Firenze, il 19 gennaio p. p. e prese alloggio alla locanda di Porta Rossa, ove trovasi tuttora. Dicesi che avesse incominciato a scrivere in Pisa l’opuscolo: Degli Ultimi ecc. e che qui l’abbia terminato, regalandolo poi ad una società di distinti romagnoli e nostri liberali da esso avvicinati onde fosse stampato e venduto come esso proponevasi, a vantaggio di alquanti profughi pontifici che tuttavia si celano in questa città: dicesi altresì che la stampa dell’opuscolo medesimo avesse luogo per opera del sig. Le-Monnier, il quale ne abbia fatto smercio a diversi librai che l’hanno in principio venduto riservatamente a 3 paoli e 20 crazie la copia; ma è certo che adesso nessuno di detti librai ne ritiene, sopratutto il Le-Monnier, che intimorito per l’arresto e la perquisizione fatta ad un suo dipendente, negava di somministrarne altre. In proposito di detto Azeglio è da avvertirsi avere egli frequentato più d’ogni altro il marchese Gino Capponi e la sua società, della quale fan parte l’avv. Salvagnoli e il prof. Niccolini col conte Orsini, genero d’Orloff, col marchese Martellini, col priore Ricasoli ed altri nobili presso i quali è intervenuto spesso a pranzo. E che anche in casa del marchese Zappi, ove hanno luogo riunioni di romagnoli distinti, è intervenuto.
„Si dice ch’egli sia bene affetto al re di Torino (sic) come il marchese (sic) Balbo al quale ha dedicato l’opuscolo che sopra; e si vuole che lo stesso Re sia disposto a favorire le mire dei rivoluzionari italiani essendo già stata coniata una medaglia con la di lui effigie da una parte e dall’altra l’emblema della Costituzione: voce che va ora aumentandosi fino al punto di asserire che si organizza in Piemonte un’armata di 100,000 uomini comandata da generali che si son dichiarati per la causa italiana, fra i quali alcuni esseri bene accolti dal Re, il quale va vociferandosi che presto sarà proclamato Re costituzionale d’Italia. Vien pure detto che il conte (sic) D’Azeglio ha lasciato a Pisa la moglie, la quale viene corteggiata dai più caldi partigiani del liberalismo, specialmente dal noto poeta satirico avv. G. Giusti.„
Fissato il giorno della partenza dell’autore degli Ultimi Casi di Romagna, i liberali fiorentini non vollero che Massimo d’Azeglio lasciasse Firenze senza che prima non ricevesse il loro addio. I pubblici banchetti, che nella vicina Francia servivano a manifestare idee ed opinioni, avevano già acquistate le segrete simpatie dei capi del nuovo movimento nella penisola, perchè non si afferrasse con premure la prima occasione per trapiantarli in Italia. E parve che questa dello sfratto del D’Azeglio fosse un’occasione da non trascurarsi, anche nella fiducia che la Polizia toscana, in vista dei suoi continui tentennamenti e del suo vecchio costume di far seguire una misura repressiva da una liberale, non avrebbe proibito il banchetto. E questo, infatti, fu indetto per la sera del 29 marzo essendo fra gli altri promotori di quella dimostrazione che aveva un carattere apertamente politico, il Salvagnoli, il marchese Carlo Luigi Torrigiani, il barone Bettino Ricasoli e il dott. Ferdinando Zannetti. Luogo del banchetto, la locanda di Porta Rossa.
Intanto il Bologna che non aveva avuto il coraggio di proibire il banchetto, stava sulle spine. Il pover’uomo, che non capiva un’acca di tutto quel movimento che da qualche tempo si andava operando sotto i propri occhi, dispose che un accurato e sapiente servizio di spionaggio fosse ordinato per la circostanza; e non potendo per codesto delicato e rispettabile ufficio incaricare nessuno dei commensali, fu costretto di accaparrarsi l’opera dei camerieri dell’Albergo, elevati così in quel giorno all’importante e geloso ufficio d’informatori di Sua Eccellenza l’illustrissimo signor commendatore presidente del Buon Governo. Epperò, la mattina di quella memorabile giornata, il Regio commissario Tassinari scriveva al Bologna: „Il pranzo verrà imbandito nella locanda di Porta Rossa. Il prof. Del Pegno (sic) è il protagonista di questo tripudio, e i commensali saranno da 50. L’avv. Salvagnoli si è già fatto vedere nella locanda e forse per dare delle disposizioni. Il simposio avrà principio alle ore 6 pom. È stato provveduto in modo onde non manchi la speciale e circospetta vigilanza, e ciò all’effetto di conoscere quel più che si potrà di questo grandioso convito, e delle persone che v’interverranno.„
Con altra nota dello stesso giorno, il Tassinari annunziava al Presidente del Buon Governo: „Fra i promotori del banchetto, oltre all’avv. Salvagnoli, c’è il marchese Carlo Torrigiani. Quest’ultimo però non è dei peggiori in materia di tendenze politiche.„
Le seguenti due note riservate del Regio Commissario, l’una del 30 e l’altra del 31, riassumono la storia del banchetto:
„Il pranzo ebbe luogo lo scorso giorno. Incominciò alle 6 1/2 e terminò alle 10 di sera. Erano 45 a tavola essendone mancati 5, fra i quali dicesi il prof. Zannetti. Azeglio sedeva in mezzo al marchese Luigi Torrigiani e ad un personaggio piemontese di cui non si conosce per ora il nome (che povero reportage aveva messo su quel disgraziato Commissario Regio!) e che pagò il conto a ragione di 10 paoli a testa, essendo state bevute sole 12 bottiglie di Sciampagna. (Quanta temperanza nei banchettanti del 1846!). Fra i commensali, oltre il Torrigiani, furono conosciuti: il marchese (sic) Ubaldino Peruzzi, il barone Ricasoli (Bettino) di via del Cocomero, il marchese Farinola Gentile, il cav. Del Rosso, il prof. Bartolini (lo scultore), il figliastro di S. E. Fossombroni, due nipoti di G. P. Vieusseux, il figlio dell’avv. Lamporecchi, un giovane Antinori. Il rimanente pare fossero giovani nobili ed avvocati, sui quali si avranno delle notizie in seguito (Come aveva impiegato male i suoi quattrini la Polizia!). Durante il pranzo fu parlato del re Luigi Filippo, dell’Inghilterra ed Irlanda, ma non si conosce il senso preciso dei discorsi, perchè le persone che servivano a tavola andavano e venivano, e poterono poco ascoltare. Assicurano però che non intesero parlare della Toscana.„
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„Le ulteriori indagini, hanno fatto conoscere che il professore (sic) piemontese da cui fu sborsato il denaro era il conte Collegno (il generale); che fra i commensali eranvi anche l’avv. Salvagnoli, il giovine ebreo Della Ripa, il nob. Luigi Mannelli, Lorenzo Foresti, di Piacenza, il marchese Tempi, Gaspare Bonci, G. B. Vieusseux. Il marchese (sic) D’Azeglio partì la scorsa mattina alla volta di Pisa e Livorno, e prima della partenza furono a salutarlo molti di quelli intervenuti al pranzo, durante il quale il D’Azeglio disse ridendo: „Adagio colle bottiglie di Sciampagna; non voglio che questi giovani si riscaldino troppo la testa!„
⁂
Un incidente, intanto, era accaduto durante il banchetto, e che offrì materia a molti commenti da parte dei liberali.
Diffusasi la notizia dell’ordine di sfratto intimato al D’Azeglio, la gioventù toscana, specie quella di Pisa, avvampò di sdegno. Parve ad essa che quello sfratto ingiunto a chi aveva rivolto parole di prudenza ai popoli ed ai principi, fosse una strana ed inesplicabile arte di governo. Cosicchè, se la pubblicazione dell’opuscolo aveva cattivato al D’Azeglio le simpatie di tutti gli uomini onesti e ragionevoli, l’odiosa misura che lo colpiva non fece che vieppiù aumentare codesta simpatia. Il D’Azeglio, in quei giorni, poteva dire giustamente d’essere diventato l’uomo più popolare d’Italia, specie che Giovanni Mastai-Ferretti non era ancora uscito dalla sua oscurità per relegare nell’ombra, o per lo meno nel secondo piano, le rumorose e spesso effimere riputazioni che si andavano formando in quei primordi del risorgimento italiano. Difatti, saputosi a Pisa insieme alla nuova dello sfratto che il D’Azeglio avrebbe attraversato quella città per andarsi ad imbarcare a Livorno, la gioventù universitaria dichiarò che si sarebbe recata in corpo a ricevere fuori porta l’illustre uomo. Simile giovanile proposito non poteva piacere nè all’autorità pisana, nè al Governo centrale; e l’auditore del Governo, informando il 28 marzo il capo della Polizia del Granducato delle onoranze decretate al D’Azeglio, pregava il Bologna che ordinasse all’autore degli Ultimi Casi d’evitare, nel suo viaggio, Pisa. Lo stesso Governatore della città, il marchese Luigi Serristori, si univa alla preghiera dell’auditore.
Lo stesso giorno del banchetto, il presidente del Buon Governo, rispondendo al Governatore di Pisa, gli faceva conoscere che avrebbe in giornata inibito al D’Azeglio di passare da quella città, ed a lui ordinava che ove l’autore dell’Ettore Fieramosca si presentasse alle porte, fosse pure respinto. Gl’ingiungeva inoltre che chiamasse a sè i promotori della dimostrazione, e severamente li ammonisse.
Bisognava far conoscere al D’Azeglio il divieto d’entrare a Pisa; e il François, segretario all’ufficio dei passaporti, d’ordine del Presidente del Buon Governo, con un suo biglietto, pregava il D’Azeglio che „prima della sua partenza passasse da lui per fargli un’urgente e importantissima comunicazione.„
Al biglietto del François, il D’Azeglio rispose:
„Il sottoscritto essendo tornato a casa alle ore 6, ora nella quale gli si dice chiuso l’ufficio dei forestieri, non può recarsi, secondo l’invito trovato nella lettera del sig. Segretario, nel detto ufficio.
„Lo prega per conseguenza a volergli indicare quando e dove desidera sia fatta la comunicazione indicata nella lettera suddetta, essendo sua intenzione partire da Firenze domani lunedì alle 10 a. m.
„Dalla Locanda di Porta Rossa lì 29 marzo.
„Massimo d’Azeglio.„
Ricevuto il biglietto del D’Azeglio, il François, presi gli ordini del Bologna, mandò a dire all’autore degli Ultimi Casi, per mezzo d’un agente di polizia in borghese, che l’avrebbe ricevuto alle nove. Il messo del Buon Governo trovò il D’Azeglio a tavola, e fattolo chiamare a sè, gli espose il messaggio. Ma il portatore di questo non potè conservare l’incognito; ed essendo stato riconosciuto, la sua apparizione a quell’ora, durante il banchetto, e più ancora l’invito che recava, suscitarono fra i commensali di Porta Rossa, benchè non riscaldati dallo Sciampagna bevuto, come si è visto, con ammirabile parsimonia, dei commenti gli uni più vivaci degli altri. La partenza del D’Azeglio dalla sala del convito per recarsi al palazzo della Polizia, mise il colmo alle dicerie. L’indomani quell’incidente prese tutte le proporzioni d’un avvenimento; e il marchese Carega, ministro sardo, ne parlò, fra l’agro e il dolce, al Paüer, il quale, della mancanza di tatto mostrata dalla Polizia in quella circostanza, se ne lamentò col Bologna, che non seppe rispondere altro se non con una nota discretamente evasiva, ch’egli stesso compendiò di tutto suo pugno in calce al biglietto del D’Azeglio al François:
„Al presente biglietto fu subito replicato che il sig. François avrebbe potuto ricevere il sig. D’Azeglio dalle 8 alle 9 ore, essendosi calcolato che a quest’ultima ora avrebbe potuto essere terminato il pranzo ordinato per le sei; e difatti il sig. D’Azeglio venne alla Presidenza alle ore 9, suonate di qualche minuto, di buonissimo umore, tenendo decentissimo contegno e ricevendo in buona parte la fattagli comunicazione (quella di non entrare a Pisa) sino al punto di asserirla conforme ai suoi desideri e di ringraziare per essergli stata fatta, protestando d’essere alienissimo da qualsivoglia vistosa dimostrazione e d’aver tutto l’interesse di non compromettere sè ed altri, e di non disgustare il Governo d’un paese nel quale ha molto dimorato fino dalla sua più fresca età, e dove nutre la speranza che in altro tempo gli sia concesso di ritornare.„
Ecco una prosa che scritta da un uomo che pochi giorni prima aveva chiamato sfacciato il D’Azeglio, può chiamarsi piena di garbo! Il Bologna non era per nulla gesuita!
⁂
Nonostante le precauzioni prese dalla Polizia, la dimostrazione decretata dalla gioventù universitaria di Pisa ebbe luogo. Soltanto invece che a Pisa, essa avvenne a Pontedera.
„Giungeva da Empoli — scriveva il 30 marzo l’agente di polizia di Pontedera al Buon Governo — alle ore 2 1/2 pom. il marchese D’Azeglio. Alle 4 successive pervennero circa 40 giovani dell’Ateneo pisano che già erano stati preceduti da due signore di fresca età (Luisa d’Azeglio e Vittorina Manzoni) e da una fanciulla (Rina, la figlia di Massimo) di dieci anni, qui sconosciute. Tutti sono corsi all’albergo (il Leon d’oro) e le seconde hanno abbracciato con lagrime di gioia il forestiero, che stava con molta premura attendendole, mentre gli altri esprimendogli omaggio ed affezione, non lasciavano di manifestare una unanime e profonda emozione. A ciascuno il D’Azeglio ha corrisposto con meste espressioni di gratitudine. Quindi gli studenti lo lasciarono, dicendogli che lo avrebbero riveduto a Livorno. Lo stesso forestiero quasi subito rimontando, insieme alle tre donne, in vettura, si è diretto veramente a Livorno.„
Lo stesso dì 30 marzo, il Governatore di Pisa scriveva: „L’auditore Mori dice che ha disposto un cauto servizio per impedire l’entrata in città al D’Azeglio. L’asserta malattia della moglie di questo forestiero è favolosa, giacchè questa signora fu veduta anche ieri fuori di casa.„
Il 31 marzo il Bologna, scrivendo al Governatore di Livorno, dopo d’averlo informato del proposito manifestato dagli studenti pisani d’andare a salutare il D’Azeglio in quella città, soggiungeva: „In caso che dai detti studenti venga portato ad esecuzione il loro progetto, la invito a dare quelle disposizioni che ravviserà più convenienti perchè non avvengano vistose dimostrazioni.„
Come si vede. Sua Eccellenza Bologna, in quegli ultimi giorni, aveva posto molta acqua nel suo vino reazionario. Dopo d’aver provocato lo sfratto del pericoloso e sfacciato forestiero, acconsentiva che a Livorno lo si festeggiasse. Solo voleva che le dimostrazioni fossero poco vistose.
A Pisa, dunque, il D’Azeglio non entrò; ma ciò non impedì che la mattina del 31 la Polizia non trovasse attaccati ai muri della città numerosi cartelli col motto: Viva D’Azeglio! Morte ai Gesuiti!
Quanto al soggiorno del D’Azeglio a Livorno, ecco cosa scriveva, il 1 aprile, il Commissario di S. Marco, Filippo Zannetti, al Bologna.
„Non appena il D’Azeglio fu qui arrivato che le persone conformi ai sentimenti dell’autore degli Ultimi Casi, si videro in un certo movimento, ed un Mayer Enrico e un Malenchini avv. Vincenzo pei primi si avvicinarono a lui. Il prof. Giuseppe Montanelli non mancò di recarsi a vederlo. Stamattina hanno preso stanza alla stessa locanda (la Gran Brettagna), il prof. G. B. Giorgini e il sig. Giuseppe Giusti conosciutissimo pei suoi celebri ed ingegnosi componimenti poetici, e vi si recano continuamente per comunicare col D’Azeglio altri individui ignoti agli osservatori (il lettore legga: spie.) Nella scorsa sera il D’Azeglio intervenne al R. Teatro Carlo Lodovico e formava l’attenzione e l’ammirazione del pubblico. Dicesi che domani mattina vogliasi dare al medesimo dagli apprezzatori del suo merito banchetto all’albergo dell’Aquila Nera. Si parla anche dell’arrivo degli studenti pisani.„
Gli umori liberali che animavano in quei giorni gli studenti di Pisa, e parte dei professori di quell’Ateneo, non potevano piacere al Bologna, il quale, il 2 aprile, scriveva al Paüer: „Dalla comunicazione del Governatore di Livorno rileverà come e quanto vada progredendo la sfacciata indisciplinatezza dei soliti professori pisani (segnatamente dei professori Giorgini e Montanelli che erano andati a Livorno a salutare il D’Azeglio). Come potrebbe farsi rimprovero agli studenti che in massa si disponessero a recarsi a Livorno, dopo che ne hanno ai medesimi indicato la via i professori? Senza un riparo che restituisca l’impero alla legge e all’ordine così stranamente conculcati, dove andranno a fermarsi questi sfrenati cavalli, che credono d’avere vinta la mano al guidatore e di poterlo trarre fra ogni sorta di pericoli e disastri. Dio sa dove? Verrò da V. E. anche per poter sapere se al sig. D’Azeglio debba farsi sentire, come a me sembrerebbe, che il di lui soggiorno a Livorno non può estendersi al di là di tre giorni.„
Avendo anche il Paüer sentito il bisogno che l’autore degli Ultimi Casi di Romagna non prolungasse oltre tre giorni il suo soggiorno a Livorno, il Bologna, lo stesso di 2 aprile, scrisse al Governatore di quella città perchè „in modo conveniente e col debito riguardo facesse sentire al sig. D’Azeglio che la di lui dimora a Livorno non potrebbe estendersi al di là del giorno quattro.„
Frattanto, non alla locanda della Gran Brettagna, ma a quella dell’Isole Brittaniche, aveva luogo il banchetto che i liberali livornesi davano al D’Azeglio. La Polizia, al solito, non mancò di mettersi sopra pensiero per quel pranzo e fu con una soddisfazione, che poteva anche nascondere il dispetto, che il Carpanini, auditore del Governo, il 30 aprile, ne scrisse al Bologna, rilevandone l’insuccesso cagionato dalla poca o niuna notorietà delle persone intervenute al simposio, quasi che Livorno, città per eccellenza mercantile e tutta dedita agli affari, avesse potuto inviarvi qualche cosa di meglio. „Nel decorso giorno ebbe luogo il pranzo in onore di D’Azeglio. Gl’invitati erano quaranta, ma non ne intervennero che ventitrè.... Erano a tavola, oltre D’Azeglio, Enrico Mayer, Giuseppe Giusti, Vincenzo Malenchini, Antonio Padovani, Francesco Pachò, Michele Palli, l’avv. Giuliano Ricci, l’avv. Cercignani, Francesco Saverio Orlandini ed altri meno conosciuti. Tutti i convitati si contennero con molta riserva, astenendosi da discorsi politici. Il D’Azeglio si mostrò piuttosto serio che lieto, forse per essere poco soddisfatto della qualità delle persone convitate, le quali ben poche sono di qualche valore sociale. Difatti, togliendo il Mayer e il Giusti, ben noti per potenza d’ingegno e per opinioni liberali, nonchè il Padovani, probo e distinto cittadino, e l’avv. Cercignani celebre pel suo ingegno e la sua eloquenza, ma altrettanto noto pel suo amore alla gozzoviglia, tutti gli altri sono delle nullità. Il Malenchini, pazzo e stravagantissimo, fa il liberale per moda; il Palli, un ricco greco, è un ozioso e spensierato; il Ricci è più distinto per le sue stravaganze, che terribile come liberale; l’Orlandini è un giovine che vive come può dando lezioni.„
Quasi tutti codesti giudizî erano esagerati o addirittura falsi; ma quell’aria di soddisfazione che trapelava dal rapporto, benchè taluno vi avrebbe potuto rinvenire un certo non so che d’amaro, mise di buonumore il Bologna, il quale con tono di convinzione che non doveva andare al di là delle labbra, scrisse il 4 aprile al Paüer: „Il pranzo a Livorno ebbe un esito meschino e ridicolo anzichè no, e il martire protagonista non sembrò rimanere soddisfatto e si tenne serio e malinconico. (Ecco, la melanconia l’aggiungeva di suo il sor Presidente!) Il detto D’Azeglio avrebbe voluto gingillare forse anche a consiglio dell’autore del Gingillino (quanto spirito in S. E. Bologna!) per differire la partenza, e per gettarsi nel solito granaio lucchese; non di rado il temporeggiare giova, ed ha giovato, parmi, anche nel caso nostro, tenendo a rimuovere non poca parte del prestigio (che meschinità di propositi in un’Eccellenza!), che procurò al D’Azeglio la prima mossa del Governo. Si è detto ch’egli si stia preparando il ritratto in litografia, e che tra i faccendieri anche per questa nuova dimostrazione siavi il prof. Montanelli.„
Finalmente la Polizia potè respirare. Massimo d’Azeglio, il 4 aprile, s’imbarcò sul battello a vapore Maria Cristina facendo rotta per Genova.
Il 6 dello stesso mese un’ordinanza del Presidente del Buon Governo, diramata alle autorità di polizia, interdiceva all’autore della Disfida di Barletta di rientrare negli Stati del Granduca.
⁂
Non venne, intanto, meno la caccia che si dava all’opuscolo. Già della prima edizione fatta eseguire clandestinamente da Felice Le-Monnier, erano stati sequestrati cinquecento esemplari; ed avendo saputo la Polizia che nella tipografia Passigli si ristampava l’opuscolo coll’aggiunta di una lettera di Gino Capponi, si eseguì una perquisizione, la quale riuscì infruttuosa. La seconda edizione, però, si faceva non a Firenze, ma in Corsica, a cura e spese del Le-Monnier; la qual cosa, essendo arrivata all’orecchio del Bologna, il capo della Polizia scriveva al Paüer: „Penso di far richiamare questo malanno del Le-Monnier e farlo seriamente ammonire con minaccia di sfratto. È naturalizzato? (Lo sfratto non poteva decretarsi che contro gli stranieri). Il legatore del Le-Monnier, fu sorpreso nell’atto in cui legava la prima copia della seconda edizione degli Ultimi Casi; e fu arrestato.„ —