< Monarchia < Libro II
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Dante Alighieri - Monarchia (1312)
Traduzione dal latino di Marsilio Ficino (1468)
Libro II - Capitolo I
Libro II Libro II - Capitolo II
Proemio del secondo libro della Monarchia di Dante, et
preparatione a mostrare se ’l popolo romano di ragione s’à
presa la degnità dello inperio, che ·ssi dicie ’monarchia’.

«Perché hanno fatto rimore le genti, et e popoli hanno pensato cose vane? Sonsi fatto innanzi e re della terra, e e prencipi sono concorsi inn–uno, contro al Signiore et contro a Cristo suo. Adunque ronpiamo e loro leghami, e rimoviamo da ·nnoi el g[i]ogho loro».

Chome quando noi non pervegniamo alla faccia della chagione comunemente ci maravigliamo del nuovo effetto, così quando noi conosciano la chagione, con una certa deresione dispreziamo quegli che restano in amiratione. Io g[i]à mi maravigliavo del romano popolo, che sanza alcuna resistenza nel circhulo della terra fussi perfetto, quando solamente secondo la superficie risguardavo; ché quello, non co ragione, ma con forza d’arme, mi pareva che avessi hottenuto el principato. Ma poiché io ho e fondamenti meglio veduti, et per eficaci segni ho conosciuto questo essere fatto dalla divina providenza, non mi maraviglio più, ma con derisione disprezo, avendo io conosciuto le genti contro alla preminenza del popolo romano fare romore, et vedendo e popoli pensare le cose vane, com’io solevo, e massime dolendomi che e re et e principi in questo s’accordino: a ·ccontraporsi al signiore suo, et allo unico principe romano. Per la qual cosa con deresione et con dolore posso chiamare insieme con colui pel glorioso popolo et per Cesare, che ·cchiamava pel Principe del cielo: «Perché hanno fatto rimore le genti, et e popoli hano pensato cose vane? Sonsi fatto innanzi e re della terra, et e principi sono concorsi in uno, contro al Signore et contro a Cristo suo». Ma perché el naturale amore non patissce che ·lla deresione sia lungha, come el sole di state non patisce e nuvoli, lasc[i]ata adietro la deresione, vuole spargere luce di corretione, per ronpere e leghami della ingnoranza di tali re et principi, per mostrare la generatione humana essere libera dal loro g[i]ogho. E però io col profeta santissimo mi conforterò, così dicendo: «Ronpiamo e loro leghami, et rimoviamo da ·nnoi el g[i]ogho loro». Queste due cose sufficientemente faremo, se io seguiterò la seconda parte del nostro proposito, et mosterrò la verità della presente quistione. Inperò che, mostrando el romano inperio essere stato rag[i]onevole, non solamente si leverà la nebbia degli occhi de’ principi e quali usurpano a ·ssé el ghoverno et mendacemente stimano questo del popolo romano, ma etiandio tutti gli huomini riconosceranno sé essere liberi dal g[i]ogho di questi husurpatori. La verità di questa quistione può essere manifesta non solo per lume di ragione humana, ma etiandío per razo della autorità divina: le q[u]ali due cose quando insieme concorono, è necessario che cielo et terra v’aconsentischa. Adunque con questa fidanza, et pel testimone della rag[i]one et della autorità, la seconda quistione dichiareremo.

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