< Morgante maggiore
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Canto primo
Prefazione dell'annotatore Canto secondo

IL MORGANTE MAGGIORE.




CANTO PRIMO.




ARGOMENTO.

     Vivendo Carlo Magno imperadore
Co’ Paladini in festa e in allegria,
Orlando contra Gano traditore
S’adira, e parte verso Pagania:
Giunge a un deserto, e dal bestial furore
Di tre giganti salva una badia.
Che due n’uccide, e con Morgante elegge
Di buon sozio e d’amico usar la legge.


1 In principio era il Verbo appresso a Dio,
     Ed era Iddio il Verbo, e il Verbo Lui1:
     Quest'era nel principio, al parer mio,
     E nulla si può far sanza costui:
     Però, giusto Signor, benigno e pio,
     Mandami solo un degli Angeli tui,
     Che m’accompagni, e rechimi a memoria
     Una famosa, antica e degna storia.

2 E tu, Vergine2, figlia, e madre, e sposa
     Di quel Signor, che ti dette la chiave
     Del cielo, e dell’abisso, e d’ogni cosa;
     Quel dì che Gabriel tuo ti disse Ave;
     Perchè tu se’ de’ tuoi servi pietosa,
     Con dolce rime e stil grato e soave
     Aiuta i versi miei benignamente,
     E ’nsino al fine allumina la mente.

3 Era nel tempo3 quando Filomena
     Con la sorella si lamenta e plora,
     Che si ricorda di sua antica pena,
     E pe’ boschetti le ninfe innamora;
     E Febo il carro temperato mena,
     Chè ’l suo Fetonte l’ammaestra ancora;
     Ed appariva appunto all’orizzonte,
     Tal che Titon si graffiava la fronte:

4 Quand’io varai la mia barchetta,4 prima
     Per ubbidir5 chi sempre ubbidir debbe
     La mente, e faticarsi in prosa e in rima,
     E del mio Carlo imperador m’increbbe;
     Che so quanti la penna ha posto in cima,
     Che tutti la sua gloria prevarrebbe:
     È stata questa istoria6 , a quel ch’ i’ veggio,
     Di Carlo male intesa, e scritta peggio.

5 Diceva già Lionardo Aretino,
     Che s’egli avessi avuto scrittor degno,7
     Com’ egli ebbe un Ormanno il suo Pipino,
     Ch’avessi diligenzia avuto e ingegno;
     Sarebbe Carlo Magno un uom divino,
     Però ch’egli ebbe gran vittorie e regno,
     E fece per la Chiesa8 e per la Fede
     Certo assai più che non si dice, o crede.

6 Guardisi ancora a San Liberatore,
     Quella badia là presso a Menappello
     Giù nell’Abruzzi fatta per suo onore,
     Dove fu la battaglia e ’l gran flagello
     D’un re pagan, che Carlo imperadore
     Uccise, e tanto del suo popol fello;
     E vedesi tante ossa, e tanti il sanno,
     Che tante in Giosaffà non ne verranno.

7 Ma il mondo cieco e ignorante non prezza
     Le sue virtù, com’io vorrei vedere:
     E tu, Fiorenzia9, della sua grandezza
     Possiedi, e sempre potrai possedere
     Ogni costume ed ogni gentilezza,
     Che si potessi acquistare o avere
     Col senno, col tesoro, o colla lancia,
     Dal nobil sangue venuto di Francia.

8 Dodici paladini aveva in corte
     Carlo, e ’l più savio e famoso era Orlando;
     Gan traditor lo condusse alla morte
     In Roncisvalle, un trattato ordinando;
     Là dove il corno sonò tanto forte
     Dopo la dolorosa rotta, quando
     Nella sua Commedia Dante qui dice10,
     E mettelo con Carlo in ciel felice.

9 Era Per pasqua, quella di Natale11:
     Carlo la corte avea tutta in Parigi;
     Orlando, com’io dico, il principale
     Evvi, il Danese, Astolfo ed Ansuigi.
     Fannosi feste e cose trionfale,
     E molto celebravan San Dionigi;
     Angiolin di Baiona, e Ulivieri
     V’era venuto, e ’l gentil Berlinghieri.

10 Eravi Avolio, ed Avinò, ed Ottone
     Di Normandia, Riccardo paladino,
     E ’l savio Namo, e ’l vecchio Salamone,
     Gualtier da Monlione, e Baldovino,
     Ch’era figliuol del tristo Ganellone:
     Troppo lieto era il figliuol di Pipino,
     Tanto che spesso d’allegrezza geme,
     Veggendo tutti i paladini insieme.

11 Ma la fortuna attenta sta nascosa
     Per guastar sempre ciascun nostro effetto:
     Mentre che Carlo così si riposa,
     Orlando governava in fatto e in detto
     La corte e Carlo Magno ed ogni cosa;
     Gan per invidia scoppia il maladetto,
     E cominciava un dì con Carlo a dire:
     Abbiam noi sempre Orlando a ubbidire?

12 Io ho creduto mille volte dirti:
     Orlando ha in sè troppa presunzione;
     Noi siam qui Conti, Re, Duchi a servirti,
     E Namo, Ottone, Uggieri e Salamone,
     Per onorarti ognun, per ubbidirti;
     Che costui abbi ogni reputazione,
     Nol sofferrem, ma siam deliberati
     Da un fanciul non esser governati.

13 Tu cominciasti insino in Aspramonte
     A dargli a intender che fussi gagliardo,
     E facessi gran cose a quella fonte.
     Ma se non fussi stato il buon Gherardo,
     Io so che la vittoria era d’Almonte;
     Ma egli ebbe sempre l’occhio allo stendardo,
     Che si voleva quel dì coronarlo:
     Questo è colui c’ha meritato Carlo12.

14 Se ti ricorda, già sendo in Guascogna,
     Quando e’ vi venne la gente di Spagna,
     Il popol de’ Cristiani avea vergogna,
     Se non mostrava la sua forza magna:
     Il ver convien pur dir, quand’ e’ bisogna:
     Sappi ch’ognuno, imperador, si lagna:
     Quant’io per me, ripasserò que’ monti,
     Ch’io passai ’n qua con sessantaduo conti.

15 La tua grandezza dispensar si vuole,
     E far che ciascun abbi la sua parte;
     La corte tutta quanta se ne duole:
     Tu credi che costui sia forse Marte?
     Orlando un giorno udì queste parole,
     Che si sedeva soletto in disparte;
     Dispiacquegli di Gan quel che diceva,
     Ma molto più che Carlo gli credeva.

16 E volle colla spada uccider Gano;
     Ma Ulivieri in quel mezzo si mise,
     E Durlindana gli trasse di mano,
     E così il me’ che seppe gli divise.
     Orlando si sdegnò con Carlo Mano,
     E poco men che quivi non l’uccise;
     E dipartissi di Parigi solo,
     E scoppia, e ’mpazza di sdegno e di duolo.

17 A Ermellina moglie del Danese
     Tolse Cortana, e poi tolse Rondello,
     E ’n verso Brava il suo camin poi prese.
     Alda la bella come vidde quello,
     Per abbracciarlo le braccia distese.
     Orlando, che smarrito avea il cervello,
     Com’ella disse: Ben venga il mio Orlando;
     Gli volle in su la testa dar col brando.

18 Come colui che la furia consiglia,
     E’ gli pareva a Gan dar veramente:
     Alda la bella si fe meraviglia;
     Orlando si ravvide prestamente:
     E la sua sposa pigliava la briglia,
     E scese del caval subitamente;
     Ed ogni cosa diceva a costei,
     E riposossi alcun giorno con lei.

19 Poi si partì portato dal furore,
     E terminò13 passare in Pagania;
     E mentre che cavalca, il traditore
     Di Gan sempre ricorda per la via;
     E cavalcando d’uno in altro errore,
     In un deserto truova una badia
     In luoghi oscuri e paesi lontani,
     Ch’era a’ confin tra Cristiani e Pagani.

20 L’abate si chiamava Chiaramonte,
     Era del sangue disceso d’Anglante;
     Di sopra alla badia v’era un gran monte,
     Dove abitava alcun fero gigante,
     De’ quali uno avea nome Passamonte,
     L’altro Alabastro, e ’l terzo era Morgante:
     Con certe frombe gittavan da alto,
     Ed ogni dì facevan qualche assalto.

21 I monachetti non potieno uscire
     Del monistero, o per legne, o per acque.
     Orlando picchia, e non voleano aprire
     Fin che all’abate alla fine pur piacque:
     Entrato dentro, cominciava a dire,
     Come Colui, che di Maria già nacque,
     Adora, ed era Cristian battezzato,
     E come egli era alla badia arrivato.

22 Disse l’abate: Il ben venuto sia:
     Di quel ch’io ho, volentier ti daremo,
     Poi che tu credi al figliuol di Maria;
     E la cagion, cavalier, ti diremo,
     Acciò che non la imputi a villania,
     Perchè all’entrar resistenza facemo,
     E non ti volle aprir quel monachetto:
     Così interviene a chi vive in sospetto.

23 Quand’io ci venni al principio abitare
     Queste montagne, benchè sieno oscure,
     Come tu vedi, pur si potea stare
     Sanza sospetto, che l’eran sicure;
     Sol dalle fiere t’avevi a guardare:
     Feronci spesso di strane paure;
     Or ci bisogna, se vogliamo starci,
     Dalle bestie dimestiche guardarci.

24 Queste ci fan piuttosto stare a segno14:
     Sonci appariti tre fieri giganti,
     Non so di qual paese, o di qual regno;
     Ma molto son feroci tutti quanti:
     La forza, e ’l malvoler giunt’ allo ’ngegno15
     Sai, che può il tutto; e noi non siam bastanti:
     Questi perturban sì l’orazion nostra,
     Ch’io non so piú che far, s’altri nol mostra.

25 Gli antichi padri nostri nel deserto,
     Se le loro opre sante erano e giuste,
     Del ben servir da Dio n’avean buon merto:
     Nè creder, sol vivessin di locuste:
     Piovea dal ciel la manna, questo è certo;
     Ma qui convien che spesso assaggi e guste
     Sassi, che piovon di sopra quel monte,
     Che gettano Alabastro e Passamonte.

26 E ’l terzo, che è Morgante, assai piú fiero,
     Isveglie e pini, e faggi, e cerri, e gli oppi16,
     E gettagli insin qui, questo è pur vero;
     Non posso far, che d’ira non iscoppi.
     Mentre che parlan così in cimitero17,
     Un sasso par che Rondel quasi sgroppi,
     Che da’ giganti giú venne da alto,
     Tanto ch’e’ prese sotto il tetto un salto.

27 Tirati dentro, cavalier, per Dio,
     Disse l’abate, chè la manna casca.
     Rispose Orlando: Caro abate mio,
     Costui non vuol che ’l mio caval piú pasca;
     Veggo che lo guarrebbe18 del restio;
     Quel sasso par che di buon braccio nasca.
     Rispose il santo padre: Io non t’inganno,
     Credo che il monte un giorno gitteranno.

28 Orlando governar fece Rondello,
     Ed ordinar per sè da colezione:
     Poi disse: Abate, io voglio andare a quello,
     Che dette al mio caval con quel cantone.
     Disse l’abate: Come? car fratello,
     Consiglierotti sanza passione:
     Io ti sconforto, baron, di tal gita,
     Ch’io so che tu vi lascerai la vita.

29 Quel Passamonte porta in man tre dardi,
     Chi frombe, chi baston, chi mazzafrusti;
     Sai che giganti piú di noi gagliardi
     Son, per ragion che sono anco piú giusti:
     E pur se vuoi andar, fa che ti guardi,
     Chè questi son villan molto robusti.
     Rispose Orlando: Io lo vedrò per certo;
     Ed avviossi a piè su pel deserto.

30 Disse l’abate col segnarlo in fronte:
     Va, che da Dio e me sia benedetto.
     Orlando, poi che salit' ebbe il monte,
     Si dirizzò, come l’abate detto
     Gli aveva, dove sta quel Passamonte,
     Il quale Orlando veggendo soletto,
     Molto lo squadra di drieto e davante:
     Poi domandò, se star volea per fante;

31 E prometteva di farlo godere.
     Orlando disse: Pazzo Saracino,
     Io vengo a te, come è di Dio volere,
     Per darti morte, e non per ragazzino;
     A’ monaci suoi fatto hai dispiacere,
     Non può piú comportarti, can mastino.
     Questo gigante armar si corse a furia,
     Quando sentì ch’ e’ gli diceva ingiuria.

32 E ritornato ove aspettava Orlando,
     Il qual non s’era partito da bomba,
     Subito venne la corda girando,
     E lascia un sasso andar fuor della fromba,
     Che in sulla testa giugnea rotolando
     Al conte Orlando, e l’elmetto rimbomba:
     E cadde per la pena tramortito,
     Ma piú che morto par, tanto è stordito.

33 Passamonte pensò che fussi morto,
     E disse: Io voglio andarmi a disarmare;
     Questo poltron, per chi m’aveva scorto?
     Ma Cristo i suoi non suole abandonare,
     Massime Orlando, ch’egli arebbe il torto.
     Mentre il gigante l’arme va a spogliare,
     Orlando in questo tempo si risente,
     E rivocava e la forza e la mente.

34 E gridò forte: Gigante, ove vai?
     Ben ti pensasti d’avermi ammazzato!
     Volgiti a drieto, che s’alia non hai,
     Non puoi da me fuggir, can rinegato:
     A tradimento ingiuriato m’hai.
     Donde il gigante allor maravigliato,
     Si volse a drieto, e riteneva il passo;
     Poi si chinò, per tor di terra un sasso.

35 Orlando avea Cortana ignuda in mano,
     Trasse alla testa, e Cortana tagliava:
     Per mezzo il teschio parti del Pagano,
     E Passamonte morto rovinava19;
     E nel cadere il superbo e villano
     Divotamente Macon bestemmiava:
     Ma mentre che bestemia il crudo e acerbo,
     Orlando ringraziava il Padre e ’l Verbo,

36 Dicendo: Quanta grazia oggi m’hai data!
     Sempre ti sono, o Signor mio, tenuto;
     Per te conosco la vita salvata,
     Però che dal gigante era abbattuto:
     Ogni cosa a ragion fai misurata,
     Non val nostro poter sanza il tuo aiuto;
     Priegoti, sopra me tenga la mano,
     Tanto che ancor ritorni a Carlo Mano.

37 Poi ch’ebbe questo detto, sen’andòe,
     Tanto che truova Alabastro più basso,
     Che si sforzava, quando e’ lo trovòe,
     Di sveglier d’una ripa fuori un masso.
     Orlando, com’e’ giunse a quel, gridòe:
     Che pensi tu, ghiotton, gittar quel sasso?
     Quando Alabastro questo grido intende,
     Subitamente la sua fromba prende.

38 E trasse d’una pietra molto grossa,
     Tanto ch’Orlando bisognò schermisse20;
     Che se l’avessi giunto la percossa,
     Non bisognava il medico venisse.
     Orlando adoperò poi la sua possa,
     Nel pettignon21 tutta la spada misse;
     E morto cadde questo badalone22,
     E non dimenticò però Macone.

39 Morgante aveva al suo modo un palagio
     Fatto di frasche, e di schegge, e di terra;
     Quivi, secondo lui, si posa ad agio,
     Quivi la notte si rinchiude e serra.
     Orlando picchia, e daràgli disagio,
     Per che il gigante dal sonno si sferra;
     Vennegli aprir come una cosa matta23,
     Ch’un’aspra vision aveva fatta.

40 E’ gli parea ch’un feroce serpente
     L’avea assalito, e chiamar Macometto;
     Ma Macometto non valea niente,
     Ond’e’ chiamava Gesù benedetto;
     E liberato l’avea finalmente.
     Venne alla porta ed ebbe così detto:
     Chi bussa qua? pur sempre borbottando.
     Tu ’l saprai tosto, gli rispose Orlando.

41 Vengo per farti, come a’ tuo' fratelli,
     Far de’ peccati tuoi la penitenzia;
     Da’ monaci mandato cattivelli24,
     Come stat’è divina providenzia,
     Pel mal ch’avete fatto a torto a quelli:
     È dato in ciel così questa sentenzia:
     Sappi, che freddo già più ch’un pilastro
     Lasciato ho Passamonte e ’l tuo Alabastro.

42 Disse Morgante: O gentil cavaliere,
     Per lo tuo Dio non mi dir villania:
     Di grazia, il nome tuo vorrei sapere;
     Se se’ Cristian, deh dillo in cortesia.
     Rispose Orlando: Di cotal mestiere
     Contenterotti per la fede mia;
     Adoro Cristo, ch’è Signor verace,
     E puoi tu adorarlo, se ti piace.

43 Rispose il Saracin con umil voce:
     Io ho fatta una strana visione,
     Che m’assaliva un serpente feroce;
     Non mi valeva per chiamar Macone25;
     Onde al tuo Dio, che fu confitto in croce,
     Rivolsi presto la mia intenzione:
     E’ mi soccorse, e fui libero e sano,
     E son disposto al tutto esser Cristiano.

44 Rispose Orlando: Baron giusto e pio,
     Se questo buon voler terrai nel core,
     L’anima tua arà quel vero Dio,
     Che ci può sol gradir26 d’eterno onore;
     E stu vorrai, sarai compagno mio,
     Ed amerotti con perfetto amore:
     Gl’Idoli vostri son bugiardi e vani;
     Il vero Dio è lo Dio de’ cristiani.

45 Venne questo Signor sanza peccato
     Nella sua madre vergine pulzella;
     Se conoscessi quel Signor beato,
     Sanza ’l qual non risplende sole, o stella,
     Aresti già Macon tuo rinnegato,
     E la sua fede iniqua, ingiusta e fella:
     Battézzati al mio Dio di buon talento.
     Morgante gli rispose: Io son contento.

46 E corse Orlando subito abbracciare.
     Orlando gran carezze gli facea,
     E disse: Alla badia ti vo’ menare.
     Morgante: Andianvi presto, rispondea,
     Co’ monaci la pace si vuol fare.
     Della qual cosa Orlando in sè godea,
     Dicendo: Fratel mio divoto e buono,
     Io vo’ che chiegga all’abate perdono.

47 Da poi che Iddio ralluminato t’ha,
     Ed accettato per la sua umiltade,
     Vuolsi che tu ancor usi umiltà.
     Disse Morgante: Per la tua bontade,
     Poi che il tuo Dio mio sempre omai sarà,
     Dimmi del nome tuo la veritade;
     Poi di me dispor puoi al tuo comando.
     Ond’e’ gli disse, com’egli era Orlando.

48 Disse il gigante: Gesù benedetto
     Per mille volte ringraziato sia;
     Sentito t’ho nomar, Baron perfetto,
     Per tutti i tempi della vita mia:
     E com’io dissi, sempremai soggetto
     Esser ti vo’ per la tua gagliardia.
     Insieme molte cose ragionaro,
     E ’n verso la badia poi s’inviaro.

49 E fer la via da que’ giganti morti;
     Orlando con Morgante si ragiona:
     Della lor morte vo’ che ti conforti,
     E poi che piace a Dio, a me perdona;
     A’ monaci avean fatto mille torti,
     E la nostra Scrittura aperto suona:
     Il ben remunerato, e ’l mal punito;
     E mai non ha questo Signor fallito.

50 Però ch’egli ama la giustizia tanto,
     Che vuol, che sempre il suo giudicio morda
     Ognun, ch’abbi peccato tanto o quanto;
     E così il ben ristorar27 si ricorda,
     E non saria sanza giustizia santo:
     Adunque al suo voler presto t’accorda,
     Chè debbe ognun voler quel che vuol questo,
     Ed accordarsi volentieri e presto.

51 E sonsi i nostri dottori accordati,
     Pigliando tutti una conclusione,
     Che que’ che son nel ciel glorificati,
     S’avessin nel pensier compassione
     De’ miseri parenti che dannati
     Son nello inferno in gran confusione,
     La lor felicità nulla sarebbe:
     E vedi, che qui ingiusto Iddio parrebbe.

52 Ma egli hanno posto in Gesú ferma spene,
     E tanto pare a lor, quanto a lui pare28;
     Afferman, ciò ch’e’ fa, che facci bene,
     E ch’e’ non possi in nissun modo errare:
     Se padre o madre è nell’eterne pene,
     Di questo non si posson conturbare;
     Chè quel che piace a Dio, sol piace a loro:
     Questo s’osserva nello eterno coro.

53 Al savio suol bastar poche parole,
     Disse Morgante: tu il potrai vedere,
     De’ miei fratelli, Orlando, se mi duole,
     E s’io m’accorderò di Dio al volere,
     Come tu di’ che in ciel servar si suole:
     Morti co’ morti29; or pensian di godere;
     Io vo’ tagliar le mani a tutti quanti,
     E porterolle a que’ monaci santi.

54 Acciò ch’ognun sia più sicuro e certo,
     Com’e’ son morti, e non abbin paura
     Andar soletti per questo deserto;
     E perchè veggan la mia mente pura
     A quel signor30, che m’ha il suo regno aperto,
     E tratto fuor di tenebre sì oscura.
     E poi tagliò le mani a’ duo fratelli,
     E lasciagli alle fiere, ed agli uccelli.

55 Alla badia insieme se ne vanno,
     Ove l’abate assai dubbioso aspetta:
     I monaci, che ’l fatto ancor non sanno,
     Correvano all’abate tutti in fretta,
     Dicendo paurosi e pien d’affanno:
     Volete voi costui drento si metta?
     Quando l’abate vedeva il gigante,
     Si turbò tutto nel primo sembiante.

56 Orlando, che turbato così il vede,
     Gli disse presto: Abate, datti pace;
     Questi è Cristiano, e in Cristo nostro crede,
     E rinegato ha il suo Macon fallace.
     Morgante i moncherin mostrò per fede,
     Come i giganti31 ciascun morto giace;
     Donde l’abate ringraziava Iddio,
     Dicendo: Or m’hai contento, Signor mio.

57 E risguardava e squadrava Morgante,
     La sua grandezza e una volta e due;
     E poi gli disse: O famoso gigante,
     Sappi ch’io non mi maraviglio piue,
     Che tu svegliessi e gittassi le piante,
     Quando io riguardo or le fattezze tue;
     Tu sarai or perfetto e vero amico
     A Cristo, quanto tu gli eri nimico.

58 Un nostro Apostol, Saul già chiamato,
     Perseguì molto la fede di Cristo;
     Un giorno poi dallo spirto infiammato:
     Perchè pur mi persegui? disse Cristo:
     E si ravvide allor del suo peccato;
     Andò poi predicando sempre Cristo,
     E fatto è or della fede una tromba,
     La qual per tutto risuona e rimbomba.

59 Così farai tu ancor, Morgante mio;
     E chi s’emenda, è scritto nel Vangelo,
     Che maggior festa fa d’un solo Iddio,
     Che di novantanove altri su in cielo:
     Io ti conforto ch’ogni tuo disio
     Rivolga a quel Signor con giusto zelo,
     Chè tu sarai felice in sempiterno,
     Ch’eri perduto e dannato all'inferno.

60 E grande onore a Morgante faceva
     L’abate, e molti dì si son posati.
     Un giorno, come ad Orlando piaceva,
     A spasso in qua ed in là si sono andati;
     L’abate in una camera sua aveva
     Molte armadure e certi archi appiccati.
     Morgante gliene piacque un che ne vede,
     Onde e’ sel cinse, bench'oprar nol crede.

61 Avea quel luogo d’acqua carestia.
     Orlando disse come buon fratello:
     Morgante, vo’ che di piacer ti sia
     Andar per l’acqua; ond'e’ rispose a quello:
     Comanda ciò che vuoi, chè fatto fia:
     E posesi in ispalla un gran tinello
     Ed avviossi là verso una fonte,
     Dove solea ber sempre appiè del monte.

62 Giunto alla fonte, sente un gran fracasso
     Di subito venir per la foresta.
     Una saetta cavò del turcasso,
     Posela all’arco, ed alzava la testa:
     Ecco apparire una gran gregge al passo
     Di porci, e vanno con molta tempesta,
     E arrivorno alla fontana appunto,
     Donde il gigante è da lor sopraggiunto.

63 Morgante alla ventura a un saetta,
     Appunto nell’orecchio lo ’ncarnava;
     Dall’altro lato passò la verretta,
     Onde il cinghial giù morto gambettava:
     Un altro, quasi per farne vendetta,
     Addosso al gran gigante irato andava;
     E perchè e’ giunse troppo tosto al varco,
     Non fu Morgante a tempo a trar coll’arco.

64 Vedendosi venuto il porco addosso,
     Gli dette in su la testa un gran punzone32,
     Per modo che gl’infranse insino all’osso,
     E morto allato a quell’altro lo pone:
     Gli altri porci, veggendo quel percosso,
     Si misson tutti in fuga pel vallone;
     Morgante si levò il tinello in collo,
     Ch’era pien d’acqua, e non si muove un crollo.

65 Dall’una spalla il tinello avea posto,
     Dall’altra i porci, e spacciava il terreno;
     E torna alla badia, ch’è pur discosto,
     Ch’una gocciola d’acqua non va in seno.
     Orlando, che ’l vedea tornar sì tosto
     Co’ porci morti, e con quel vaso pieno,
     Maravigliossi che sia tanto forte;
     Così l’abate: e spalancan le porte.

66 I monaci veggendo l’acqua fresca,
     Si rallegrorno, ma più de’ cinghiali;
     Ch’ogni animal si rallegra dell’esca;
     E posono a dormire i breviali33:
     Ognun s’affanna, e non par che gl’incresca,
     Acciò che questa carne non s’insali,
     E che poi secca sapessi di vieto;
     E le digiune si restorno a drieto.

67 E ferno a scoppia corpo34 per un tratto,
     E scuffian35, che parien dell’acqua usciti;
     Tanto che ’l cane sen doleva e ’l gatto,
     Chè gli ossi rimanean troppo puliti.
     L’abate, poi che molto onore ha fatto
     A tutti, un dì dopo questi conviti,
     Dette a Morgante un destrier molto bello,
     Che lungo tempo tenuto avea quello.

68 Morgante in su ’n un prato il caval mena,
     E vuol che corra, e che facci ogni pruova,
     E pensa che di ferro abbi la schiena,
     O forse non credeva schiacciar l’uova;
     Questo caval s’accoscia per la pena,
     E scoppia, e ’n sulla terra si ritruova.
     Dice Morgante: Lieva su, rozzone36;
     E va pur punzecchiando collo sprone.

69 Ma finalmente convien ch’egli smonte,
     E disse: Io son pur leggier come penna,
     Ed è scoppiato; che ne di’ tu, conte?
     Rispose Orlando: Un arbore d’antenna
     Mi par piuttosto37, e la gaggia la fronte38;
     Láscialo andar, chè la fortuna accenna,
     Che meco a piede ne venga, Morgante.
     Ed io così verrò, disse il gigante.

70 Quando sarà mestier, tu mi vedrai,
     Com’io mi proverrò nella battaglia.
     Orlando disse: Io credo tu farai
     Come buon cavalier, se Dio mi vaglia,
     Ed anco me dormir non mirerai.
     Di questo tuo caval non te ne caglia;
     Vorrebbesi portarlo in qualche bosco,
     Ma il modo nè la via non ci conosco.

71 Disse il gigante: Io il porterò ben io,
     Da poi che portar me non ha voluto,
     Per render ben per mal, come fa Dio;
     Ma vo’ ch’a porlo addosso mi dia aiuto.
     Orlando gli dicea: Morgante mio,
     S’al mio consiglio ti sarai attenuto,
     Questo caval tu non vel porteresti,
     Chè ti farà come tu a lui facesti.

72 Guarda che non facessi la vendetta,
     Come fece già Nesso39, così morto:
     Non so se la sua istoria hai inteso, o letta:
     E’ ti farà scoppiar, dátti conforto.
     Disse Morgante: Aiuta ch’io mel metta
     Addosso, e poi vedrai s’io ve lo porto:
     Io porterò, Orlando mio gentile,
     Con le campane là quel campanile.

73 Disse l’abate: Il campanil v’è bene,
     Ma le campane voi l’avete rotte.
     Dicea Morgante: E’ ne porton le pene
     Color che morti son là in quelle grotte:
     E levossi il cavallo in sulle schiene,
     E disse: Guarda s’io sento di gotte,
     Orlando, nelle gambe, o s’io lo posso;
     E fe duo salti col cavallo addosso.

74 Era Morgante come una montagna;
     Se facea questo, non è maraviglia:
     Ma pure Orlando con seco si lagna,
     Perchè pure era omai di sua famiglia:
     Temenza avea non pigliassi magagna40.
     Un’altra volta costui riconsiglia:
     Posalo ancor, nol portare al deserto.
     Disse Morgante: Il porterò per certo.

75 E portollo, e gittollo in luogo strano,
     E tornò alla badia subitamente.
     Diceva Orlando: Or che più dimoriano?
     Morgante, qui non facciam noi niente;
     E prese un giorno l’abate per mano,
     E disse a quel molto discretamente,
     Che vuol partir dalla sua reverenzia,
     E domandava e perdono e licenzia.

76 E degli onor ricevuti da questi
     Qualche volta potendo arà buon merito;
     E dice: Io intendo ristorare e presto
     I persi giorni del tempo preterito;
     E' son più dì che licenzia arei chiesto,
     Benigno padre, se non ch’io mi perito:
     Non so mostrarvi quel che drento sento,
     Tanto vi veggo del mio star contento.

77 Io me ne porto per sempre nel core
     L’abate, la badia, questo deserto,
     Tanto v’ho posto in piccol tempo amore;
     Rendavi su nel ciel per me buon merto
     Quel vero Dio, quell'eterno Signore,
     Che vi serba il suo regno al fine aperto:
     Noi aspettiam vostra benedizione,
     Raccomandianci alle vostre orazione.

78 Quando l’abate il conte Orlando intese,
     Rintenerì nel cor per la dolcezza,
     Tanto fervor nel petto se gli accese;
     E disse: Cavalier, se a tua prodezza
     Non sono stato benigno e cortese,
     Come conviensi alla gran gentilezza,
     Chè so, che ciò ch’i’ ho fatto, è stato poco;
     Incolpa la ignoranzia nostra, e il loco.

79 Noi ti potremo di messe onorare,
     Di prediche, di laude, e paternostri,
     Piuttosto che da cena, o desinare,
     O d’altri convenevol che da chiostri:
     Tu m’hai di te sì fatto innamorare
     Per mille alte eccellenzie che tu mostri,
     Ch’io me ne vengo, ove tu andrai, con teco,
     E d’altra parte tu resti qui meco.

80 Tanto ch’a questo par contradizione,
     Ma so che tu se’ savio, e 'ntendi, e gusti,
     E intendi il mio parlar per discrizione:
     De’ beneficj tuoi pietosi e giusti
     Renda il Signore a te munerazione41,
     Da cui mandato in queste selve fusti;
     Per le virtù del qual liberi siamo,
     E grazie a lui, e a te noi ne rendiamo.

81 Tu ci hai salvato l’anima e la vita:
     Tanta perturbazion già que’ giganti
     Ci detton, che la strada era smarrita
     Da ritrovar Gesù con gli suoi santi;
     Però troppo ci duol la tua partita,
     E sconsolati restiam tutti quanti:
     Nè ritener possianti i mesi e gli anni,
     Chè tu non se’ da vestir questi panni;

82 Ma da portar la lancia e l’armadura;
     E puossi meritar con essa, come
     Con questa cappa; e leggi la Scrittura:
     Questo gigante al Ciel drizzò le some42
     Per tua virtù: va’ in pace a tua ventura
     Chi tu ti sia, ch’io non ricerco il nome,
     Ma dirò sempre, s’io son domandato,
     Ch’un angiol qui da Dio fussi mandato.

83 Se c' è armadura, o cosa che tu voglia,
     Vattene in zambra43, e pigliane tu stessi,
     E cuopri a questo gigante la scoglia44.
     Rispose Orlando: Se armadura avessi,
     Prima che noi uscissim della soglia,
     Che questo mio compagno difendessi,
     Questo accetto io, e sarammi piacere.
     Disse l’abate: Venite a vedere.

84 E in certa cameretta entrati sono,
     Che d’armadure vecchie era copiosa;
     Dice l’abate: Tutte ve le dono.
     Morgante va rovistando45 ogni cosa,
     Ma solo un certo sbergo gli fu buono,
     Ch’avea tutta la maglia rugginosa:
     Maravigliossi che lo cuopra appunto,
     Chè mai più gnun forse glien’era aggiunto.

85 Questo fu d’un gigante smisurato,
     Ch’alla badia fu morto per antico
     Dal gran Milon d’Anglante, ch’arrivato
     V’era, s’appunto questa istoria dico;
     Ed era nelle mura istoriato,
     Come e’ fu morto questo gran nimico,
     Che fece alla badia già lunga guerra:
     E Milon v’è, com’e’ l’abbatte in terra.

86 Veggendo questa istoria, il conte Orlando
     Fra suo cor disse: O Dio, che sai sol tutto;
     Come venne Milon qui capitando,
     Che ha questo gigante qui distrutto?
     E lesse certe letter lacrimando,
     Che non potè tener più il viso asciutto,
     Com’io dirò nella seguente istoria:
     Di mal vi guardi il Re dell’alta gloria.

  1. [p. 37 modifica]In principio era il Verbo appresso a Dio. E’ non è certo lodevole il modo con che il nostro Poeta va del continuo frammettendo al Poema, massime nel principio, e nel fine di ciascun canto, ora delle invocazioni alla Divinità, ora dei passi di Sacre Carte tradotti, o parafrasati. Pur tale sconcezza è molto da condonare ai tempi; e se il Pulci errò, può dirsi che errò coi più sommi, e con Dante medesimo, il quale non ebbe a schifo nemmeno di appropriare le parole di un Inno della Chiesa alle insegne diaboliche, e dire:

    Vexilla regis prodeunt inferni.

    Senzachè volle forse il Pulci imitare quei rozzi Poeti vissuti probabilmente nel decimoterzo secolo, i quali avendo pur fatto argomento dei lor Poemi o Carlo Magno, o Orlando, o i primi Re di quella famiglia, usarono dar principio o fine quasi a ciaschedun Canto con una preghiera, o con una invocazione a Dio. E di ciò può a suo agio accertarsi chiunque abbia la pazienza di leggere il Buovo d’Antona, o la Regina Ancroja, i cui autori in ciò solo somigliarono Omero, nell’esser cioè oppressi dalla miseria, e nell’andar cantando per le vie e per le piazze i proprii versi.

  2. [p. 38 modifica]E tu. Invoca la Vergine Santissima al modo che i poeti del gentilesimo, e i Cristiani puranche, avevano in uso di invocare le Muse. Omero stesso fu il primo a dare un tale esempio; e se il Pulci mal fece a introdur qui la Madonna, non fecero certo bene altri poeti cristiani, che in principio dei lor poemi si rivolsero a immaginarie Divinità, addivenute oramai ridicole.
  3. [p. 38 modifica]Era nel tempo. Era di primavera; e descrive tale stagione coi colori soliti di tutti i poeti. Le favole alle quali si allude in questa ottava sono sì note che me ne passo senz’altro.
  4. [p. 38 modifica]Quand’io varai la mia barchetta. Quando incominciai l’opera mia, quando impresi a cantare. Concetto, e figura tolta da Dante:

    O voi che siete in picciletta barca,
         Desiderosi d’ascoltar, seguiti
         Dietro al mio legno che cantando varca,
    Tornate a riveder li vostri liti.
                                  Parad., canto II.

  5. [p. 38 modifica]prima Per ubbidir ec. Appella a Lorenzo il Magnifico, e alla madre di lui, per comandamento de’ quali il Pulci scrisse questo Poema.
  6. [p. 38 modifica]È stata questa istoria, ec. La storia di Carlo Magno era stata scritta da Alcuino, e da Eginardo istoriografo di quell’imperatore, e da Turpino, dalla cui cronaca furono tratti tutti i Romanzi e Poemi che su tale argomento furono scritti in appresso, e i più noti de’ quali sono i Reali di Francia, la Spagna, la Regina Ancroja, e simili altri.
  7. [p. 38 modifica]Che s’egli avesse avuto scrittor degno. Anche Alessandro Magno lamentava che le imprese sue sarebbero state reputate di minor conto che quelle d’Achille, perchè mancava a lui un Omero che a’ posteri le tramandasse, ed invidiava al Pelide una tal sorte.
  8. [p. 38 modifica]E fece per la Chiesa. In servigio della Romana Chiesa, Carlo fece guerra a Desiderio re de’ Longobardi, e lo vinse, e liberò l’Italia dalla dominazione longobarda. Onde Dante ebbe a dire:

    E quando il dente longobardo morse
         La Santa Chiesa, sotto alle sue ali
         Carlo Magno, vincendo, la soccorse.
                                  Parad., canto VI.

  9. [p. 38 modifica]E tu, Fiorenza. Carlo Magno, venuto in Firenze, l’abbellì di varii monumenti, fra’ quali è da notare la chiesa dei Santi Apostoli. Quando poi ne partì, lasciovvi alcuni della miglior nobiltà francese, e tra questi vuolsi che fossero anche gli antenati del Poeta.
  10. [p. 38 modifica]quando nella sua Commedia Dante qui dice. Cioè quando

    Carlo perdè la santa gesta,
    Non sonò sì terribilmente Orlando.

    E questa santa gesta fu l’impresa di cacciare i Mori di Spagna. Nella rotta di Roncisvalle, per tradimento di Gano, furono trucidati trentamila uomini, ivi lasciati da Carlo Magno.

  11. [p. 38 modifica]Era per Pasqua, quella di Natale. Πασχα è voce d’origine caldea, e vale transitus; ed è così detta perchè l’Angelo sterminatore, da Dio mandato a uccidere i primogeniti degli Egiziani, passò oltre, e non si fermò alle case degli Ebrei, le cui porte erano, a distinguerle, tinte di sangue. Fu allora che il popolo d’Israele celebrò la prima Pasqua, e poi ne fece una solennità annuale, che cadeva in primavera. I Cristiani chiamaron Pasqua il dì della Resurrezione, ed è la vera Pasqua; ma l’uso ha poi estesa tal denominazione ad altre delle maggiori solennità della Chiesa, chiamando Pasqua di rugiada, o rosata (perchè viene nel tempo in che più abbondevoli cadono le mattutine rugiade, e quando sono fiorite le rose), la festa di Pentecoste; Pasqua di Natale, quella della Natività di Cristo ec. E qui appunto il Poeta parla di questa ultima, che è detta anche Pasqua di Ceppo, perchè in tal giorno i fattorini delle botteghe di Firenze solevan rompere quella cassetta di legno, detta anche Ceppo (un quidsimile dei moderni salvadanai e della corbona; se non che quella era propria dei soli sacerdoti ebrei, e anche cristiani), nella quale gettavano le mance che raccoglievano nell’anno, e se le spartivano.
  12. [p. 38 modifica]c’ha meritato Carlo. Cui Carlo ho ricompensato, guiderdonato.
  13. [p. 38 modifica]terminò. Si determinò, risolvette.
  14. [p. 39 modifica]stare a segno. Star con timore; e vale anche stare a obbedienza, dentro a’ termini dè’ convenevoli, ἐμμένειν τοῖς λελεγμένοις.
  15. [p. 39 modifica]La forza, e ’l malvoler ec. Da quel di Dante:
    Che dove l’argomento della mente
    S’aggiugne al malvolere ed alla possa,
    Nessun riparo vi può far la gente.
  16. [p. 39 modifica]e gli oppi. L’oppio è albero cui si marita la vite. Lat.: opulus. Si trova usato invece di pioppo, altro albero a cui pure suole maritarsi la vite.
  17. [p. 39 modifica]in cimitero. Qui forse è preso, come suol farsi comunemente, per quel ripiano, o prato, o checchessia che sta davanti all’ingresso delle chiese. Cimitero veramente è il Camposanto; e i primitivi Cristiani così chiamarono il luogo ove seppellivano i morti, da κοιμάομαι, dormire; avendo forse l’occhio a quel passo d’Isaia, ove appella camere i sepolcri dei giusti. Vade, populus meus, intra in cubicula tua, claude ostia tua super te, abscondere modicum ad momentum, donec pertranseat indignatio.
  18. [p. 39 modifica]guarrebbe. Guarirebbe.
  19. [p. 39 modifica]morto rovinava. Passamonte, nel cadere giù, potea ben dirsi che ruinasse piuttosto che egli cadesse, in riguardo della sua gigantesca corporatura.
  20. [p. 39 modifica]schermisse. Si schermisse.
  21. [p. 39 modifica]pettignon. La parte del corpo tra la pancia, o le parti che l’uom cela, pubes.
  22. [p. 39 modifica]badalone. Scioccone, buono a nulla, perdigiorni. Qui per grande e grosso semplicemente. Così il Vocabolario.
  23. [p. 39 modifica]come una cosa matta. Quasi fuor di sè per l’avuta visione.
  24. [p. 39 modifica]cattivelli. Miseri, infelici, o come direbbesi, poveretti.
  25. [p. 39 modifica]Non mi valeva per chiamar Macone. Valere ha qui forza di aver valore, possanza: e significa «per quanto io chiamassi Macone, ei non aveva possanza di liberarmi».
  26. [p. 39 modifica]gradir. Ricompensare. Il Vocabolario dà solo questo esempio.
  27. [p. 39 modifica]ristorar. Ricompensare.
  28. [p. 39 modifica]E tanto pare a lor, quanto a lui pare.

    E ciò che vuole Iddio, e noi volemo.
                                       Dante, Parad.

  29. [p. 39 modifica]E tanto pare a lor, quanto a lui pare.

    E ciò che vuole Iddio, e noi volemo.
                                       Dante, Parad.

  30. [p. 39 modifica]A quel signor. Verso quel signore.
  31. [p. 38 modifica]
  32. [p. 39 modifica]punzone. Forte colpo di pugno, pugni ictus.
  33. [p. 39 modifica]breviali. Breviarii.
  34. [p. 39 modifica]E ferno a scoppia corpo. Mangiarono a crepapelle.
  35. [p. 39 modifica]scuffian. Scuffiare vale mangiar molto, e con ingordigia. Il Minucci, nelle sue note al Malmantile, fa venire questa voce da scuffina. che è una certa lima, o [p. 40 modifica]raspa, che leva molto legno per volta, e che è perciò detta anche ingordina. Il Biscioni poi la fa invece venir da cuffia, quasi tor la cuffia, o il di sopra allo vivande, e allega che in questo stesso senso dicesi anche sgonnellare, quasi tor la gonnella. Qui indica quel certo suono che mandan fuori dalla bocca, in masticando, quei che mangiano ingordamente; e par quasi un russare, ed imita anche il suono che manda chi è stato alcun tempo sott’acqua.
  36. [p. 40 modifica]Lieva su, rozzone. Quasi dicesse carognone, da rozza, che vale bestia di trista razza, che dicesi anche carogna.
  37. [p. 40 modifica]Lieva su, rozzone. Quasi dicesse carognone, da rozza, che vale bestia di trista razza, che dicesi anche carogna.
  38. [p. 40 modifica]Mi par piuttosto. Mi pari, mi sembri. — e la gaggia la fronte. La gaggia è la gabbia della nave, che sta in cima all’albero maestro. Greco, κόφινος.
  39. [p. 40 modifica]Nesso. Nesso Centauro, ferito da una freccia d’Ercole, per vendicarsi di ciò, dette, in sul morire, la propria veste a Dejanira moglie di Ercole stesso, facendole credere che, ove egli se la fosse posta in dosso, lo avrebbe tosto ricondotto al suo amore, se mai per altra l’avesse abbandonata. Avvenne che Ercole si invaghì d’Iole, e Dejanira mandògli subito quella veste; ma non sì tosto se l’ebbe egli posta, che si sentì compreso da un tal fuoco divoratore, che montato in furore andò a gettarsi tra le fiamme apparecchiate per un sacrifizio, e in esse si morì; contuttochè Filottete e Licas facessero ogni sforzo per rattenerlo. Dejanira a questo caso si uccise. Vedi Ovidio, Metamorf., lib. IX, e Eroidi, epist. IX.
  40. [p. 40 modifica]non pigliassi magagna. Non si facesse del male.
  41. [p. 40 modifica]munerazione. Remunerazione.
  42. [p. 40 modifica]al ciel drizzò le some. Figuratamente per si rivolse al cielo, si convertì alla vera religione. Soma è veramente il carico che si pone a’ giumenti, e viene dal gr. σάγμα.
  43. [p. 40 modifica]zambra. È voce antica; lo stesso che camera.
  44. [p. 40 modifica]scoglia. È la pelle che ogni anno le serpi gettano via, e deriva dal gr. σκύλον, che ha lo stesso significato. Qui sta per pelle; e forse il Poeta si pensò che la pelle di un gigante dovesse esser dura come la scoglia d’una serpe. Comunemente chiamasi scaglia.
  45. [p. 40 modifica]rovistando. Rovistare significa muovere le masserizie di una stanza, o altro luogo, per cercare alcuna cosa, e dicesi anche rifrustare, trambustare.

Note

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