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Questo testo fa parte della raccolta L'Empedocle ed altri versi


MORS ET VITA



I.


Su su dalla tenebra fitta,
     Che sopra alle cose si stende,
     La Morte, fantasima invitta,
     Al trono dei secoli ascende.

Al gelido soffio dell’ale
     Abbrivida l’ampia Natura,
     Vacilla la face vitale,
     L’aureola dei Numi si oscura.

Che fuga di trepidi dorsi!
     Che eccidio di glorie, d’amori!
     Su’ campi mietendo trascorsi
     L’oblio sparge i nivei suoi fiori.


Silente ella sorge, ella ingombra
     Del cielo la vivida mole;
     E immane allargandosi, adombra
     Gli specchi flammanti del sole.


II.


Ma come di nubila balza,
     Che fosca nell’aria torreggia,
     Se il croceo mattino s’inalza,
     Indorasi l’orlo e flammeggia;

Così dietro all’ombra solenne,
     Se un raggio d’amore la invita,
     Furtiva, tenace, perenne
     Si affaccia, si spande la Vita.

Ignara di fato, di dio,
     Di luogo, di tempo, di mira.
     Beata in un florido oblio
     L’eterno presente respira.


E mentre ogni cosa in lei muta,
     E il Tutto di lagrime stilla,
     Sul torbido oceano seduta,
     Com’iride immota essa brilla.


III.


O tenero verde ridente
     Per l’avide rime de’ lidi;
     O appeso alla roccia imminente
     Fecondo tripudio di nidi;

O anima umana, fanciulla
     Che il nume fuggevole agogni,
     E assisa fra un’urna e una culla
     Ritessi la tela dei sogni;

O armato pensiero, che movi
     Di strani castelli all’assalto,
     E attorto da serpi e da rovi
     Prorompi svolgendoti in alto;


La Vita e la Morte abbracciate
     Vi guardan dall’arduo sentiero,
     E al baratro immenso piegate
     Le fronti, susurran: Mistero!

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