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Milano, la grande città lavoratrice, ormai quasi interamente assorta nelle industrie e nei commerci, pure sentì qual forza intellettuale si era spezzata fra le sue mura, e rese alla bara dell’estinto un commovente omaggio di affetto, di cordoglio, di riconoscenza.
Isaia Ghiron trasse i natali a Casalmonferrato, nel 1837. Compiuti con lode gli studî liceali in Torino, vi intraprese quelli universitarî, che prosegui per qualche tempo in Napoli, ma che poi troncò per entrare nella carriera amministrativa. Impiegato al Ministero della Pubblica Istruzione, fu segretario particolare di Mancini, di Matteucci e dell’illustre Michele Amari, che conservò sempre per lui la più calda amicizia, e che (dolorose bizzarrie del destino!) doveva ora precederlo di soli due giorni nella tomba, mentre egli, ignaro di tanta sciagura, giaceva agonizzante sul letto di morte.
Il Ghiron fu anche segretario particolare di Giorgio Pallavicino, quando questi era governatore di Palermo.
Nel 1866, Isaia Ghiron venne nominato vice-bibliotecario a Milano, in “quella stessa Braidense” — (come ben disse il bibliotecario Fumagalli nelle nobili parole che pronunciò dinanzi alla sua bara) — “in quella stessa Braidense, ch’egli doveva più tardi far miracolosamente rinascere a novella vita”. Nell’anno 1877 fu meritamente promosso a bibliotecario; nel 1882 fu chiamato a Roma, alla nuova Biblioteca Vittorio Emanuele, dove l’opera sua riuscì preziosissima. Nel 1884 infine, ritornò a Milano, essendogli stata affidata la direzione della Braidense.
Quale sia stata, in questo alto ufficio, l’operosità del Ghiron, lo ha delineato vigorosamente l’amico suo Torelli-Viollier: “La Braidense ora un cadavere, una necropoli di libri vecchi, frequentata quasi esclusivamente da scolaretti e da qualche mattoide. Il Ghiron ne fece in poco tempo una cosa viva, una Biblioteca informata ai tipi più moderni e migliori, ricca di libri nuovi, di collezioni varie, di riviste e periodici esteri, frequentata assiduamente da veri studiosi, da letterati e scienziati, che vi trovano tutto quanto loro abbisogna, e la quiete e le agiatezze che lo studio esige, ed una schiera d’impiegati colti e premurosi. Il buon ardore di cui egli era acceso seppe comunicarlo al Governo, al Municipio, ai Corpi morali milanesi, e seppe ottenere i mezzi necessari all’attuazione dei suoi disegni. Sostituì al gas la luce elettrica, e potè così tenere aperta la Biblioteca anche nelle ore di sera, con grande vantaggio di coloro ohe debbono dar le ore del giorno al lavoro; aprì una nuova sala di lettura, comodissima; ideò e creò la sala manzoniana.”
Isaia Ghiron fu il tipo perfetto del bibliotecario moderno: nulla vi era in lui di pedantesco, di repulsivo, di scoraggiante pel pubblico, che anzi si sentiva attratto dalla sua squisita e dignitosa cortesia di vero gentiluomo. Nè egli rifuggiva infatti dal consorzio sociale, e la sua svariata cultura, la piacevolezza de’ suoi modi, lo rendevano ben accetto dovunque, come le doti della mente e del cuore gli avevano cattivato amici innumerevoli in ogni parte d’Italia.
“Giovare agli altri”, avrebbe potuto essere la sua divisa; e l’attività sua come Prefetto della Braidense, attività veramente mirabile, fu tutta rivolta infatti allo scopo di rendere utili, accessibili al pubblico i tesori anche più riposti della Biblioteca, di invogliare i cittadini a frequentarla, di invitarli a dissetarsi alla fonte della scienza.
Nessuno più di lui ebbe in orrore quel vieto concetto egoistico, che di tali cariche faceva altrettante comode nicchie per attendere imperturbabilmente ai proprî studî speciali. Ed egli soleva ripetermi, con quel suo fine umorismo, che irradiava talora di un sorriso così buono e luminoso il suo volto abitualmente severo: “Noialtri bibliotecari dobbiamo essere i cuochi del pubblico, dobbiamo ammannire le vivande, ma non dobbiamo mangiarle noi.”
E questa sentenza egli la rafforzava coi fatti, coll’esempio vivo ed efficace.
Mi ricordo quando, lo scorso anno, fu di passaggio per Milano un giovane frate straniero, che si recava pedestre a Roma, seguendo l’itinerario di non so qual pellegrino del Medio Evo. Egli venne a Brera per consultare alcune opere relative a quel viaggio, e Ghiron gli fu largo di ogni informazione e di ogni cortesia, talchè quegli si trattenne varî giorni in città, fermandosi molte ore in biblioteca, dove Ghiron discuteva animatamente con lui e lo aiutava a tutt’uomo nelle sue ricerche. Ed era uno spettacolo bello e commovente il vedere l’abito dell’uomo di mondo accanto alla rozza tonaca, due uomini così diversi tra loro di fede e di condizione, curvi sullo stesso volume, affratellati nello stesso studio.
Lo zelo insuperabile pel suo ufficio di bibliotecario, come già le cure per gli altri ufficî da lui antecedentemente sostenuti, non vietarono tuttavia al Ghiron di attendere con plauso a svariate pubblicazioni, linguistiche, storiche, popolari, delle quali sarebbe fuor di luogo il dar qui l’elenco. Accennerò soltanto all’idea che egli strenuamente e tenacemente propugnava, e per qualche tempo tradusse anche felicemente in atto: quella di pubblicare in Milano una grande rivista, simile alla Nuova Antologia. La Rivista Italiana di scienze, lettere ed arti, fondata e diretta dal Ghiron (1874-75), ebbe vita breve ma splendida, e fra i suoi collaboratori annoverò alcuni de’ più chiari scrittori d’Italia.
Cosi quando, sul principio dello scorso anno, si stavano gettando le basi della presente Rivista di Numismatica, Isaia Ghiron, che anche a questa disciplina si era dedicato con amore, accolse con benevolenza e con lieto viso l’invito ch’io gli feci di entrare a formar parte del Consiglio di Redazione. E se la fatale malattia che da due anni lo andava martoriando glielo avesse concesso, egli avrebbe scritto certamente più d’un interessante articolo per la nostra Rivista, come spesso vagheggiava, e come aveva anche tentato di attuare intraprendendo l’esame delle monete arabe non ancor classificate di questo Gabinetto.
La numismatica non fu che una faccia della sua multiforme attività letteraria; tuttavia l’acume dell’ingegno, la esemplare esattezza, e sopratutto la preziosa conoscenza dell’arabo, che gli era stato insegnato da Michele Amari, conferiscono singolare importanza alle sue poche pubblicazioni in questa materia, le quali si riducono alle seguenti:
Di alcuni Conii Osmani del Museo di Modena (con una tav. in rame). — Firenze, 1869. — (Nel Periodico di Numismatica e Sfragistica del March. Strozzi, Anno II, Fasc. III).
Di una moneta cufica con immagine (con un disegno). — Ivi, 1870. — (Period. di Num. e Sfrag., Anno II, Fasc. VI).
Monete omeiade e abbaside del Gabinetto Numismatico di Milano (con due tav. lit.). — (Nell’Annuario della Società Italiana per gli Studi Orientali, Anno I, 1872).
Monete arabiche del Gabinetto Numismatico di Milano. — Milano, Hoepli, 1878. — (In-4°, con tre tav. fotolit.).
Inoltre, nel Mediolanum edito dal Vallardi nel 1881 (vol. I, pag. 318-25) leggesi un suo articolo storico-descrittivo intorno al Gabinetto Numismatico di Milano.
A cinquantadue anni, nella pienezza delle facoltà intellettuali, Isaia Ghiron dovette soccombere al terribile morbo che minava la sua esistenza, così preziosa per la diletta famiglia, per gli amici, per quanti in Milano desiderano la diffusione della cultura e l’incremento delle scienze. All’uomo d’ingegno e di cuore, al collega immaturamente rapito, mi si conceda di porgere l’estremo addio in nome di questa Rivista, ch’egli aveva veduto sorgere con sì vivo interesse, e che dopo meno di due anni è costretta purtroppo a deplorare la sua precoce dipartita.