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Questo testo fa parte della raccolta La Priapea


NICCOLÒ FRANCO.


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PRENCIPI.


Prencipi, io v’ho parlato in rima, ed ora vi parlo in prosa. Che parte abbiate fra tante infamie d’un infame, ve lo potrete conoscere sè la vostra trascuraggine non fia così cieca in leggere, come è stata in donare. Che ciò ve ne segua con ogni ragione, ragionevolmente si può conoscere, vedendosi che non altro che la corriva e vostra istessa ignoranza, spaventata dalla carogna d’una lingua insipida ve ne è cagione, sì che i suoi vituperj mai non si leggeranno, che i vostri parimente non v’abbiano luogo, de’ quali tanto più la chiarezza ne fia palese, quanto si vedrà chiaro, che timorosi per la coscienza de’ vizj che vi rimordea, abbiate cercato di ricoprirveli con l’amicizia del viziosissimo, perciocchè il prencipe che buono è, e che tiranno non è, non dee, nè può temere la malignità delle lingue. Era Pietro Aretino infame, nè d’altro sollecito che dell’infamare altrui, e sendo sì, non dovevate farvi ismovere da’ suoi bajari, poiché il tutto si saría attribuito non alla colpa de’ vostri vizj, ma a quella del suo difetto. Che gloria sarà a quest’ora de’ romani prelati, poiché la loro costanza ha pur vinto alfine la sfacciata malignità del ribaldo, sì che la lor prodezza ha voluto del continuo più tosto farsi pasto della sua lingua, che nutrimento de i suoi vizj. Che trionfo esalterà l’intemerata bontà del reverendissimo Gioan Matteo Giberto, poichè egli cercò sradicare la vergogna di mezzo agl’uomini, e voi fra gl’uomini tenerla viva. Maravigliasi il mondo se i vizj così germogliano. Re nino dunque e crescano, poichè coloro che dovrebbero spegnerli ne vogliono il seme che più rinascano. Restisi dunque impunita la sodomía, poiché la giustizia de’ prencipi ha voluto che a i dì nostri sia ita vestita in oro, non pure vissuta libera ed esenta nelle sue voglie. Viva dunque l’ignoranza, nè sia più chi spenda l’ore nella cognizione delle buone lettere, poichè per la liberale sciocchezza de’ prencipi i consumati ingegni sono in tal pregio, che non de i più purgati inchiostri, ma de i più disutili si tien conto. Ahi vituperj non pur dell’Italia, ma dell’universo insieme. Se ardore alcuno di mostrarvi magnanimi v’infiamma, dovevate malgrado dell’avara natura, naturarvici in ogni opportuna occorrenza, non solamente negli affronti fattivi dal vituperosissimo aggiuntatore. Quanti ne sono tra le nostre schiere (perche di quelli intendo) che per liberali si sono scoperti con niuna altra apparenza, che l’aver dato a Pietro?

Eccovi il generosissimo Alfonzo Davalo (tal che conosciate come io l’ho tuttavia escluso dall’infame armento di tutti voi). Eccovi, dico, quel vero prencipe, verissimo specchio della liberalissima splendidezza, nel quale sè specchiati vi foste, la dapocaggine dell’aver dato ad un solo, a quest’ora si scolperebbe dalla virtù del saper dare a tutti. Dona il magnanimo Alfonso a chiunque della sua magnanimità fa prova; apre le sue mani il nobile Alfonso a dotti parimente e a virtuosi. Porge l’invitto Alfonso a’ musici; trovano soccorso nel reale Alfonso i pittori con gli scultori; si riparano coll’onorato Alfonso tutti i valorosi guerrieri. Mostra il fedele Alfonso il zelo della carità sua a’ poveri che di pietà sian degni. Opra l’immortale Alfonso ciò che è possibile oprarsi da benigno animo, onde di lui veggiamo avvenire quel medesimo, che della provvidenza divina avviene, la quale nel soccorrere alle piante terrene non meno alle sterili che alle feconde, ugualmente comparte le gocciole della celeste sua influenza. Nè sarebbe il divino Alfonso così chiaro e cotanto splendido, se non imitasse il Sole, il quale quei luoghi non illumina con la virtù de’ suoi raggi, che per repugnanza d’avverso sito non ne vogliono ricevere. Nè sarebbe il gran marchese fuori de’ vostri greggi, nè richiamato nel catalogo degli eroi, se egli nella guisa d’ogniuno di voi, nell’ozio d’un principato, come nel chiuso d’un porcile partisse l’industria de’ suoi giorni con le crapole, con gli stupri, con l’estorsioni sì, che non le fatiche della milizia, ma le piume delle trabacche, non la gloria dell’armi, ma quella d’un’ingorda tirannide, non i pensieri d’ampliarsi l’onore, ma quelli dell’imporre a’ sudditi nuovi dazj, fussero i suoi pregi.

Arrossirei dirne più pel sospetto dell’adulargli, se il testimonio di quel che dico non fusse ne’ dieci libri della mia voglar istoria in gran parte tessuta, de’ quali i primi due fra pochi giorni si mostreranno sacrati a quel sacro Alfonso, non già per arricchirci le mie miserie, ma per abbellirci le mie fatiche, sì perche vegga il suo buon giudizio quel che i buoni e dotti ingegni san fare dove appare il merito della vera gloria, e l’infamia del giusto biasimo. Perciocchè i gesti memorabili e i vituperosi fatti avvenuti nell’età mia, sono i due soggetti dell’ampio volume, ove di che vaghi ornamenti vi coronerò il nome; l’effetto vel mostrerà, poiché se non fusse la larghezza del vostro dare ove non è il merito, mille chiari spirti sotterrati nel letame del disagio non se ne dorrebbero, nè piangerebbero come fanno. Nè io provocato dall’arroganza insuperbita del vostro dare sarei stato offeso, nè perciò avrei rivolta la penna a cose non degne della mia vita, nè dicevoli alla mia virtù. Chi sarà più de’ poveri virtuosi (poiché così vi è piaciuto) che degnerà d’esser da voi raccolto vedendo che l’infamia d’un infame debba aver fatto il varco alla fama loro? Diciamo il tutto. Sè le dicerie del trist’uomo vi parevano baleni e tuoni, onde per ciò v’è convenuto di tributargli, fate che ora paragonandosi vi dia a vedere, che siccome ha saputo mordere malignamente coloro che gli fuggivano innanzi senza difendersi, così pur ora sappia con acutezza rintuzzare gli morsi altrui, e se ciò non vi mostrerà si come bastevole non fia mai, qual maschera porrete al volto della vostra vergogna, che non vi vergogniate di voi medesimi, avendo preso terrore d’un vil cane, il quale abbia sol fiato da latrarne gli oltraggi altrui, e non denti da vendicarsi gli oltraggi suoi? Ma che più dico di voi a che più mi riscaldo in vituperarvi? Bastinvi per ora i vituperj, ove v’ha posti colui che voi cotanto onorate, finchè io scorto da quella virtù che la bontà d’Iddio a qualche buon fine m’ha data, avendo prima sotterrati i suoi vizj, abbattuta l’invidia de’ suoi seguaci, confusa l’ignoranza di quei pochi che l’amano, vendicatomi de’ miei falsi amici, potrò a più bell’agio rivolgermi a tutti voi, sì che alla fine vi si facci conoscere qual sia stato il più vero di voi flagello.



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