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Un nostro concittadino mi raccomandò, mentr’io militava fuori d’Italia, tre suoi manoscritti affinchè se agli uomini dotti parevano meritevoli della stampa, io ripatriando li pubblicassi. Egli andava pellegrinando per trovare un’università, «dove s’imparasse a comporre libri utili per chi non è dotto, ed innocenti per chi non è per anche corrotto; da che tutte le scuole, com’ei dicevami, erano piene o di matematici, i quali standosi muti s’intendevano fra di loro; o di grammatici che ad alta voce insegnavano il bel parlare e non si lasciavano intendere ad anima nata; o di poeti che impazzavano senza far nè piangere, nè ridere il mondo, e però come fatui nojosi, furono più giustamente d’ogni altro esiliati da Socrate, il quale, secondo Didimo, era dotato di spirito profetico, specialmente per le cose che accadono all’età nostra.»