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Canto IV.
e i poveri di spirito
in quel fetor di frati zoccolanti
4che rivolta lo stomaco
a goder le graziette tabaccose
de le beghine sudice,
ed a baciar le stimmate schifose
8de le badesse idropiche.
Ivi ne ’l cielo che non ha mai notte,
dormir non è possibile.
Ivi su ’l capo de’ beati, a frotte
12i cherubini ronzano.
Perchè Dio non li acciechi, a ’l guardo schermo
fan de l’ala gli arcangeli,
e cantano in latino a canto fermo
16i salmi del breviario.
A l’eterno rumor de’ tamburelli,
de’ cembali e de’ timpani,
friggon de’ santi i poveri cervelli
20sotto i nimbi che scottano,
ed abbagliati de ’l Signore il viso
eternamente guardano...
Che rottura di tasche il Paradiso!
24Che divina seccaggine!
Talor compreso da ’l bisogno ardente
di un po’ di refrigerio,
Iddio permetterà, ma raramente
28una qualche accademia.
Con lieti squilli l’aspettato avviso
daran le tube angeliche;
immenso tuonerà ne ’l paradiso
32un clamore di giubilo.
Abbandonato l’inginocchiatoio
dove stavan da’ secoli,
voleranno i beati a ’l Serbatoio
36de la celeste Arcadia.
Con l’ala a ’l dorso, dentro l’ampia sala
pioveranno le monache
e i gesuiti co ’l cappel di gala,
40e i poeti virginei.
Sopra un palco di stelle, in lunga schiera
aspettan gli accademici.
I cherubini accendon la lumiera.
44Comincia lo spettacolo.
Zitti, zitti! Lisciandosi il ciuffetto
e i baffi aristocratici,
un bel signore recita un sonetto
48morale in questi termini: