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IL BANDELLO
a l’illustre signora
la signora
camilla bentivoglia e gonzaga
salute
Io credo che siano pochi giorni ne l'anno nei quali gli uomini non facciano qualche beffa a le donne e che altresí le donne non ingannino gli uomini, e parmi che la cosa stia bene quando quale dá l’asino ne la parete tal riceve. È ben vero che il piú de le volte gli uomini fanno de le vendette che a le donne non è cosí lecito fare, non per altro se non che l’uomo si prende piú di libertá e cerca sempre tener la donna soggetta che per compagna da Dio gli è data. Onde un di questi giorni a Diporto, ove madama illustrissima di Mantova, come sapete, suole tutta la state diportarsi per l’aria ch’assai temperata gli spira e per la comoditá de le sue belle ed agiate stanze che ella ci ha fatto, di questa materia ragionandosi e vari casi dicendosi, la gentil e discreta madrona madonna Leonora Buonavicina e Malchiavella verso madama rivolta disse: — Egli mi pare, madama, che tutto il di questi uomini si prendano piacere d’ingannare le semplici donne, e come l’hanno fatta qualche truffa non cessano mai fin che a tutto il mondo narrata non l’hanno, parendo loro di trionfare. E se talora per sorte vien loro da donna qualche beffa fatta, maravigliosamente s’attristano e con tutte le forze s’ingegnano di vendicarsi. Dove, pur che la vendetta non sovramontasse l’offesa, si potrebbe passare; ma eglino di picciola vendetta non si contentano, come infinite volte s’è veduto. Perciò non si deveno meravigliare se talvolta le donne gli rendono a doppio la pariglia, come ho inteso per lettere del nostro dotto e vertuoso messer Carlo Agnello, che da Napoli questi di mi scrisse esser in Ispagna accaduto. — E cosí la n6 PARTE PRIMA Buonvicina narrò un meraviglioso accidente, il quale avendo io scritto ho voluto che sotto il vostro nome tra le mie novelle sia veduto. Degnatevi adunque quello accettare con quella vostra innata umanità, sapendo per vera esperienza quanto il Bandello è vostro e del valoroso signor vostro consorte. Feliciti nostro signor Iddio di tutti dui i pensieri. State sana. NOVELLA XLII 11 signor Didaco Centiglia sposa una giovane e poi non la vuole e da lei è ammazzato. Valenza, quella dico di Spagna, è tenuta una gentile e nobilissima città dove, si come più volte io ho da mercadanti genovesi udito dire, sono bellissime e vaghe donne, le quali si leggiadramente sanno invescar gli uomini che in tutta Catalogna non è la più lasciva ed amorosa città. E se per aventura ci capita qualche giovine non troppo esperto, elle di modo lo radeno che le siciliane non sono di loro megliori né più scaltrite barbiere. Quivi è la famiglia dei Centigli, in quella città sempre stata molto famosa e d’assai ricchi ed onorati cavalieri piena, ne la quale non sono ancor molt’anni fu un cavaliero molto ricco, d’età di ventitré anni, che si chiamava Didaco. Egli in Valenza aveva il nome del più liberal e cortese cavaliero che ci fosse e che più onoratamente ai giuochi de le canne, a l’ammazzar tori e a l’altre feste comparisse. Costui veduta un giorno una giovanetta di basso legnaggio, ma molto bella e sovra modo avvenente e costumata, di lei fieramente s’innamorò. Aveva la giovane la madre e dui fratelli che erano orefici, ed ella lavorava di sua mano su tele bellissimi lavori. Il cavaliero sentendosi de l'amor di costei tanto acceso che non aveva bene o riposo se non quando di lei pensava o la vedeva, cominciò assai sovente a passarle per dinanzi la casa e con ambasciate e lettere sollecitarla. Ella a cui sovra modo piaceva Tesser vagheggiata dal primo cavaliero de la città, né in tutto dava orecchie a le domande del cavaliero né in tutto le rifiutava, ma tenevalo cosi tra due. Egli che d’altro aveva voglia che d'esser pasciuto NOVELLA XLII 117 di parole e sguardi e d’ora in ora più di lei s’invaghiva e sperava con san Giovanni bocca d'oro incarnar il suo dissegno, ebbe modo di fare ch'ella fosse contenta di ridursi con lui a parlamento ove più le piacesse, impegnandole quanta fede aveva che da lui non riceverebbe ingiuria né forza alcuna. La giovine com- inunicò il tutto con la madre la quale, ai preghi de la figliuola mossa, fu contenta che in casa il giovine le venisse a parlare. Il cavaliero ottenuto questo, ci venne e con Violante, ché cosi era la giovanetta nomata, sempre a la presenza de la madre assai lungamente ragionò. E ben clic egli fosse molto eloquente e bel parlatore, e promettesse a la madre e a la figliuola cose assai, e volesse innanzi tratto buona somma di danari darle, e quando poi si volesse maritare prò vederle di conveniente e ricca dote, nondimeno altra risposta da Violante aver non puoté se non che ella se gli conosceva molto esser ubligata per l’amore che egli diceva di portarle, e che ne le cose oneste ella era presta di compiacerli, ma che viveva con questo animo deliberato di prima voler morire che perder la sua onestà. La madre altresì con molte parole aiutava la figliuola. Il povero amante che era tócco di buona sorte e senza fine Violante amava, e seco d’appresso parlando più particolarmente l’aveva considerata e più del solito oltre ogni credenza gli era piaciuta, perciò che in vero ella era bellissima e leggiadra, veggendo che a patto nessuno, per arte che sapesse usare, per amante ottener non la poteva, deliberò prenderla per moglie. Egli la vedeva compita di beltà, di leggiadria, di grazia, di belle maniere e in tutto avveduta e gentile, e giudicava se bene era di bassa schiatta, che avendola egli per donna, ella poteva stare al paro di quante ne erano in Valenza, e che non aveva né padre né madre che lo devessero di questo suo parentado che far voleva, sgridare. Stimolavalo poi il grande amore che a Violante portava e gli persuadeva a deverlo fare, perciò che altro non ci è in questo mondo di maggior importanza che contentarsi, e che si può ben comprar un cavallo a stanza d’un amico ed anco far de l’altre cose assai, ma che le mogli si vogliono prender secondo il cor suo. Sovvengagli anco aver udito dire ch’uno re di Ragona n8 PARTE PRIMA non era molto tempo aveva preso per moglie la figliuola d’un suo vassallo catalano. E cosi varie cose tra sé rivolgendo e non sapendo da l’amor di costei levarsi, anzi parendogli che l’amor suo verso lei si facesse di punto in punto maggiore, la deliberazione che ne l'animo suo fatto aveva, cosi le manifestò dicendole: — Signora Violante, a ciò che possiate conoscer l’amor ch’io vi porto esser vero e quanto vi ho detto esser dal core proceduto, quando voi vogliate perpetuamente esser mia, io mentre che viverò sempre sarò vostro prendendovi per mia legitima sposa. — Udendo questo la madre e la figliuola divennero molto allegre e ringraziarono Dio di tanto buona ventura, commendando senza fine questa sua umanità. E Violante molto modestamente gli disse: —Signor Didaco, onestando voi I’amor vostro come onestate, ancor ch’io mi conosca indegna di tal cavaliero qual voi séte, essendo voi di legnaggio antico e in questo paese nobilissimo ed io di poveri e bassi parenti discesa, io vi sarò sempre leal consorte e fedelissima serva. — E cosi restarono in questa conchiusione: che egli ad ogni piacer suo sposaria a la presenza de la madre e dei fratelli, quando volesse, Violante. Piacendo al cavaliero la partita, egli quindi partendosi con un basciar di mano a la giovane a casa se ne ritornò. La madre come i figliuoli furono a casa narrò loro tutto quello che con il cavaliero s’era ordinato, di che i dui giovini fecero meravigliosa festa parendogli una bella cosa cosi onoratamente aver la sorella maritata e non convenire darle dote. Non stette il signor Didaco dui giorni che egli rivenne, e a la presenza de la madre, dei dui fratelli e d’un suo servidore che seco aveva condotto, del quale molto si fidava, sposò solennemente per parole di presente la sua tanto desiata Violante, pregando perciò ciascun di loro che per alcuni convenevoli rispetti questo sposalizio fin che egli lo publicasse tenessero segreto. Sposata che egli l’ebbe, la notte seguente seco se n’andò a giacere e con grandissimo piacer suo e soddisfazione di Violante consumò il santo matrimonio. E cosi perseverando in amarla stette più d’un anno che quasi ogni notte seco andava a dormire. Egli l’aveva in questo tempo messa riccamente in ordine di vestimenta e NOVELLA XL1I 119 di gioie, ed ai fratelli di lei aveva buona somma di danari donata. 11 che fu cagione che molti che non sapevano come il fatto si stesse, veggendo lei superbamente abbigliata stimarono che il cavaliero avesse l’amor de la giovane per prezzo comperato e che quella come amante o amica si godesse. E tanto più facilmente pareva loro che il vero stimassero, quanto che il cavaliero spesse fiate di giorno domesticamente in casa le andava. Ella ancora che qualche cosa di questo mormorar sentisse, nulla se ne curava sapendo come il fatto era e sperando in breve col publicamento del matrimonio sgannar ciascuno. Il medesimo facevano la madre ed i fratelli di lei, i quali quella sovente stimolavano che appresso al marito facesse instanzia che il matrimonio si publicasse. Violante più volte, quando in piacer si trovava col suo sposo, quello pregava che oramai a casa come aveva promesso volesse menarla. Egli diceva di farlo e tuttavia non faceva altro sembiante di condurla. Era già passato l’anno che insieme dopo lo sposalizio amorosamente si godevano, quando il cavaliero, o che del basso sangue di Violante si vergognasse o che di lei fosse sazio o che altro a ciò lo spingesse, cominciò a far pratica d’aver per moglie una figliuola del signor Ramiro Vigliaracuta, cavaliero d’una de le prime famiglie di Valenza. Onde continuando questa pratica, non dopo molto essendosi tra loro de la dote convenuti, egli questa altra publicamente prese per moglie. Il che essendo in Valenza notissimo e quel giorno medesimo avendo Violante sentito, tutta se ne stordi, e se rimase di mala voglia non è da dire. Ella fuocosamente e senza fine amava il cavaliero che per marito e signore teneva, e avendosi già tanto tempo imaginato di venire ad onor del mondo tanto onoratamente come sperava ed ora ritrovandosi schernita, non sapeva ritrovar via alcuna di consolarsi. La sera vennero i dui fratelli a casa i quali parimente avevano il nuovo matrimonio udito dire, e trovata la sorella che amaramente piangeva né consolazione alcuna voleva ricevere, quella a la meglio che puoterono insieme con la madre si sforzarono acquetare e dal pianto levarla. Ma ella fuor di misura afflitta e da estremo dolore occupata non dava orecchie 120 PARTE PRIMA a cosa che detta le fosse, ma di continovo sospirando e lamentandosi, acerbissimamente la sua disgrazia piangeva. E cosi quasi tre giorni questa vita senza mangiare e senza bere e senza dormir facendo, a poco a poco si consumava. Astretta ultimamente da naturai necessità prese un poco di cibo ed alquanto dormendo si riposò; e veggendo che il pianto nulla le giovava cominciò sovra i casi suoi a pensare, e non si potendo disporre a tolerar l’ingiuria che il cavaliero l’aveva fatta, deliberò se possibil era di fare che altri anco la ragionevol pena ne portasse, e prenderne tal vendetta quale a si biasimevol sceleraggine si conveniva, a ciò che per l’avvenire gli uomini non fossero cosi facili ad ingannar le povere donne. E a nessuno il suo fiero proponimento manifestando, aspettava qualche oportuna occasione, dandole l’animo che il cavaliero le caderebbe a le mani. Deliberata adunque di farne altissima vendetta, andava tra sé imaginando il modo che tener deveva, e in questo mezzo, lasciato il pianto, attendeva a viver più allegramente che poteva. Era in casa una schiava, femina grande e molto gagliarda di circa trenta anni, la quale voleva tutto il suo bene a Violante, avendola da fanciulla allevata e nodrita. Ella non si poteva dar pace che di questa maniera la giovanetta restasse schernita e seco assai pietosamente lagrimato ne aveva. A questa propose Violante manifestare il concetto de l’animo suo, conoscendo che ella sola non bastava a far quanto ¡maginata s’era di mandar ad essecuzione, e tanto più quanto che costei le pareva più a proposito che altra che ci fosse. E cosi il tutto le scoperse, la quale non solamente accettò d’esserle compagna, ma sommamente il suo fiero proponimento le commendò. Determinato tra lor due quanto intendevano di fare, altro non aspettavano che la comodità, la quale si dice esser madre de le cose. Non erano ancor quindici di passati dopo che il cavaliero aveva la seconda moglie sposata, che egli andando a diporto a cavallo per la città passò dinanzi la casa di Violante, la quale si ritrovò a la finestra come quella che per fermo teneva che egli sarebbe gran cosa che il cavaliero non passasse per la contrada. Come ella il vide, tutta nel viso arrossi aspettando ciò che egli devesse dire. Il cavaliero anco egli, come s’accorse che NOVELLA XLII 121 la giovane era a la finestra, alquanto di colore si mutò; ma fatto buon viso, come le fu dinanzi fermò il giannetto e riverentemente le disse: — Buona vita, signora mia; come state voi? egli mi par un anno che io non v’abbia veduta. — La giovane udendo questo alquanto sorrise e cosi gli rispose: — Voi mi date la buona vita con parole, e d’effetti me l’avete già data molto trista. E come io mi stia, sapete voi cosi bene com’io. Ma sia con Dio, poi che altramente esser non puote. Voi m'avete pur del tutto abbandonata, e poi dite che vi par un anno che non m’abbiate veduta. Io mi avveggio bene che più di me non vi cale, e vo- gliovi dire che io sempre di questo dubitai, perciò che non era diventata cosi cieca né perduto tanto l’intelletto che io non conoscessi la mia bassezza non esser de la vostra grandezza degna. Nondimeno io vi prego che degnate talora di me ricordarvi, ché vogliate o no, io fui e sarò sempre vostra. — Il cavaliero inteso questo e veggendo che la donna non faceva maggior romore, si pensò averne buon mercato e cosi le disse: — Quello che io ho fatto, signora mia, è stato necessario farlo per metter una perpetua pace tra la famiglia mia e la Vigliaracuta, tra le quali sono state sanguinose mischie e il tutto adesso con questo parentado s’è acconcio. Né per questo sarete mai da me abbandonata, perciò che in ogni cosa che per me si potrà a beneficio vostro operare io sempre il farò di buon core, e per l'avvenire v'accorgerete che l'amor mio verso di voi non è punto mancato. — Io me n'avvedrò — soggiunse alora Violante — se talvolta voi vi lasciarete vedere e godervi. — Il cavaliero dicendo di farlo si parti, e non essendo cinquanta passi da la casa dilungato, chiamò a sé quel servidore che era del tutto consapevole e gli disse: — Ritorna a dietro e di’ a la signora Violante che a ciò che conosca che io l’amo e tengo conto di lei, che non le dando disagio io me ne verrò questa notte a starmi buona pezza seco. — Fece il messo l’ambasciata a la donna, de la quale ella mostrò meravigliosamente allegrarsi. Ora veggendo Violante che il disegno suo principiava a pigliar la qualità ch’ella voleva, subito chiamò a sé la schiava e diede ordine a quanto già aveva deliberato di essequire. Venuta la notte, poi che il signor Didaco 122 PARTE PRIMA buona pezza fu stato con la nuova sposa con cui cenato aveva e seco ancora non s’era congiunto, con buona licenza di quella si parti ; e mandati via tutti i servidori che seco aveva, ritenne quel solo che sapeva il fatto, e a casa di Violante se n'andò, da la quale molto lietamente fu ricevuto. Il servidore accompagnato in casa di Violante il suo signore, andò ad albergo altrove. E perché l'ora era alquanto tarda, il signor Didaco e Violante s’andarono al letto ed amorosamente l'un de l'altro prendendo piacere ragionarono assai di questo nuovo matrimonio. Ma la deliberata giovane pareva che ad altro non attendesse eccetto che a pregarlo che di lei per l’avvenire tenesse conto. Egli che pur l'amava, perché era bellissima e molto graziosa, largamente le prometteva di tenerla sempre per amica. Ora poi che molte fiate insieme amorosamente si trastullarono e fattosi carezze più de l’usato grandissime, il cavaliero che stracco si sentiva, altamente s’addormentò. Come ella il senti che fortemente dormiva, si levò quanto più puoté chetamente di letto e apri la camera, introducendo la schiava che a la porta l’attendeva. Presero adunque la preparata fune ed ebbero cosi la fortuna amica che il misero cavaliero prima con mille adamantini nodi annodarono che egli di nulla s’accorgesse. Destatosi poi tutto sonnacchioso, subito fu da le due audacissime donne in modo con un cavicchio sbadagliato che egli gridar non poteva. Era nel mezzo de la camera fermato un travicello per aita del trave del soffitto di quella. A questo travicello elle a mal grado di lui il cavaliero strettissimamente in piede legarono cosi ignudo come il di che nacque. Ed ecco la indiavolata schiava recar un radente coltello con un paio di tanaglie picciole con altri ferri taglienti. Che animo crediamo noi che devesse esser alora quello di cosi infelice gentiluomo? che pensiero il suo, veggendo innanzi agli occhi suoi le due donne spiegar quei taglienti ferri ed arditamente prepararsi, come fa il beccaio quando nel macello vuol scorticare un bue od altra bestia, contra di lui? Veramente io penso che egli si trovasse molto mal contento d’aver mai offesa Violante. Ma il pentirsi da sezzo talora poco vale, dico appresso agli uomini, ché innanzi a Dio ho io sentito più fiate predicare che il pentirsi di core sempre NOVELLA XLI1 123 vale. Ora essendo ¡1 giovine in questa maniera legato, la disperata Violante prese in mano le tenaglie e con fiero viso tanto fece che la lingua del tremante cavaliero intenagliò e gli disse: — Ahi, sleale, perfido, villano e crudel cavaliero, non più per le scelerate opere tue cavaliero ma vilissimo uoirfo, quanto mi duole che io di te non possa publicamente negli occhi di tutta la città quella vendetta prendere che la sceleraggine tua merita ! Ma di modo si fatto ti punirò che a quanti ci sono e che dopo noi verranno sarai essempio, a ciò che di beffar le semplici ed incaute fanciulle debbiano guardarsi, e quando volontariamente hanno fatto una cosa che nel cospetto di Dio è accetta, che la conservino. Non conosci, traditore, questo luogo, ove con simulate parole il matrimoniale anello mi desti e con più falsi parlari la mia verginità mi rapisti? Ecco, mancator di fede, il letto geniale che tu si leggermente hai violato. Ahi, quante bugie tutte a mio danno ordinate questa falsa lingua m'ha detto! Ma lodato Iddio, ella nessun'altra più ne ingannerà. — Dicendo questo con un paio di forbici gli tagliò più di quattro dita di lingua. Pigliando poi con le tenaglie le dita de le mani diceva: — Slealissimo, perché con queste dita mi desti il matrimoniai anello? perché mi sposasti? perché dopoi con le braccia il collo m’avvinchiasti, se ad altri elle devevano un non legitimo anello donare? — Tagliatogli adunque con le forbici tutte le sommità dei diti, dopo questo ella pigliò un acutissimo stiletto e rivolta agli occhi cosi disse: — Io non so, occhi ladri che degli occhi miei séte qualche tempo stati tiranni, ciò che di voi mi dica. Voi mi mostraste quando io vi mirava una infinita pietà, un immenso amore e un ardentissimo desiderio di sempre compiacermi. Ove son quelle false lagri- mette che per amor mio mi deste ad intendere che avevate sparse? Quante fiate vi sforzaste voi a farmi credere che altra beltà che la mia non miravate, che altra leggiadria non era possibile a vedere che a par de la mia fosse, e che in me come ne lo specchio d’ogni gentilezza, d’ogni bel costume e di quanta mai grazia fu in donna, vi specchiavate? Si oscuri questo falso lume — e questo dicendo tutti dui gli occhi gli accecò — a ciò che mai più non veggia la luce del sole. — Né di questo contenta, poi che 124 PARTE PRIMA qualche altra parte del corpo che per onestà mi taccio gli recise e quasi per ogni membro de l’infelicissimo cavaliero ebbe i suoi taglienti ferri adoperati, al core si rivolse. Era il povero giovine per le ricevute ferite più morto che vivo e fieramente si contorceva, ma nulla gli giovava. Elle l’avevano si fattamente legato che indarno si scoteva. Orrendo spettacolo certamente era a veder un uomo ad un travicello legato con le membra fieramente lacerate non si poter aiutare né domandar mercé. Ora essendo Violante più tosto stracca che sazia de la crudel vendetta che del falso marito pigliava, a lui il quale non so se poteva intendere disse: — Didaco, io ho preso di te quella vendetta che ho potuto, non quella che tu meritavi, ché il tuo fallo deveva negli occhi di tutto il popolo esser con l’ardenti fiamme purgato. Tu ti potrai almeno gloriare che per mano d’una donna che amasti, ed ella te senza fine amava, sei morto. Il che di me non avverrà, ché quando si potesse fare, io volentieri per le tue mani morrei. Ma poi che esser non può, Iddio farà di me ciò che più gli parrà espediente. Io non ti vo’ più tormentare. — Questo dicendo, due e tre volte il sanguinolente coltello in mezzo il core fin al manico gli piantò, e il misero giovine a queste ultime percosse quanto poteva distendendosi, di subito mori. Come elle il conobbero di questa vita passato, il sangue sparso per la camera asciugarono e slegato il corpo morto, quello in un gran cestone con le tronche membra collocarono e d’un pannolino copersero, riponendolo sotto il letto. Fatto questo, Violante a la schiava rivolta disse: — Giannica — tal era de la serva il nome, — io non ti potrei mai ringraziare a bastanza de l’aita che data m’hai a far questa mia si desiderata vendetta, la quale senza te impossibile era che io potessi prendere. Ora che io ho sodisfatto al mio immenso desiderio, restami solamente provedere a la tua salvezza, a ciò dopo me resti chi possa di qual maniera io mi sia vendicata al mondo far manifesto. Pertanto io vorrei che tu ti partissi e trovassi modo di passar in Affrica, che assai facile ti sarà, perciò che io ti darò tanti danari che comodamente andar vi potrai e per sempre ricordarti di me. Io ho qui — ed apersele uno coffanetto — tanti danari, oro battuto e gioie, che NOVELLA XLII 125 passano la valuta di mille e cinquecento ducati. Prendeli tutti, ché di core te li dono, e non perder tempo a salvarti, lo terrò tutto oggi la cosa celata, si che attendi al tuo scampo. — Giannica sentendo queste amorevoli parole che la giovane le diceva, si mise dirottamente a piangere, e a modo nessuno non la voleva intendere di partirsi da lei, affermando che 1’¡stessa fortuna che ella correrebbe anco ella voleva passare e che per amor suo non stimava la vita. Non puoté mai tanto persuaderla che Giannica volesse partire. Onde Violante veggendo che indarno si affaticava e che quella era pur disposta di voler morir seco, propose il resto de la notte dormire, che era poco spazio. E cosi tutte due in quella camera quel poco di tempo riposarono. Destate poi che furono, di nuovo Violante essortò Giannica a fuggire, ma senza frutto. Quella matina d’un pezzo avanti desinare venne il servidore de l’infortunato cavaliero secondo ch'era solito, per accompagnar il padrone a casa de la nuova sposa. Come Violante lo vide cos¡ gli disse: — Se tu vuoi intendere ove il tuo signore è ito, va’ e conduci qui il signor viceré se tu vuoi, perciò che ho commissione di manifestarlo a lui e non ad altri. Altrimenti facendo tu ti affatichi indarno. — Partissi il servidore, e trovati uno zio ed un cugino del cavaliero disse loro quanto Violante detto gli aveva. Questi dui sapevano de l’amore del signor Didaco e di Violante, ma non già che fossero insieme maritati, perciò che egli strettissimamente aveva comandato al servidore che a nessuno il manifestasse. I dui parenti mai non averebbero pensato il fatto com’era. Onde di brigata andarono a trovar Violante, la quale con viso allegro fattasi loro incontro gli disse: — Signori miei, che cercate voi? — Noi vorremmo — risposero — che voi ne dicessi ove è ito il signor Didaco. — Perdonatemi, signori, io non vo’ romper il suo comandamento. Andate e menate qui il signor viceré e il tutto intenderete, perché da lui cosi ho commissione. — Era alora viceré il signor duca di Ca- lavria, figliuolo del re Federico di Ragona che a Torsi in Francia mori. — Non è conveniente — dissero quei signori —che il signor viceré venga qua. — Fate adunque — disse ella — o che venga o che mandi per me. — Non potendo eglino altro da la giovane 126 PARTE PRIMA cavare, andarono a parlare al viceré. Violante che con la schiava il tutto che deveva occorrere aveva considerato, si vesti più riccamente che puoté e fece altresì che Giannica si vestisse, e stava aspettando il messo del viceré. La madre veduti venir quei signori, dimandò a la figliuola che cosa fosse questa. Ella le disse certe favole, né cosa alcuna del fatto le volle scoprire. Ed eccoti venir un sergente del viceré, il quale comandò a Violante che si devesse innanzi ad esso viceré presentare. Ella che altro non aspettava, senza far motto a la madre, con la Giannica a parlar al viceré andò. Era col signor viceré la maggior parte dei cavalieri e gentiluomini del paese. Quivi Violante arrivata e fatta la conveniente riverenza, fu dal viceré dimandata che ella devesse dir ciò che dal signor Didaco Centiglia aveva in commissione. La giovane alora non come dolente o timida femina, ma come allegra e valorosa così al viceré animosamente rispose: — Signor viceré, voi devete sapere che il signor Didaco Centiglia già più d’un anno passato, poi che vide che il mio amor altramente aver non poteva, deliberò di prendermi per moglie e a la presenza dì mia madre, dei miei fratelli e di Pietro suo servidore che é qui, in casa mia mi sposò e meco più di quindici mesi quasi ogni notte come mio marito si giacque. Egli poi non avendo riguardo che io era sua legitima moglie, questi di, come per tutta Valenza si sa, apertamente la figliuola del signor Ramiro Vigliaracuta ha sposato, la quale esser non poteva sua, essendo io prima di lei legitimamente sposata. Né bastandogli questo, come se io sua putta e bagascia stata fossi, ieri sfacciatamente venne a trovarmi e mille favole e menzogne mi disse sforzandosi darmi ad intender il nero per il bianco. Ed a pena da me partito mi mandò Pietro che qui si vede, a dirmi che questa notte passata egli voleva venir a giacersi meco. Il che, come Pietro può testificare, io gli concessi, parendomi esser aperta la via a prender di lui quella vendetta che per me si poteva. Perciò son qui venuta, giustissimo viceré, a ciò che da me voi il tutto intendiate. Io né a negar né a pregare mi saprei disporre, parendomi che troppo gran vigliaccheria sarebbe d’una cosa volontaria e pensatamente operata temer punizione. Voglio adunque, NOVELLA XLII il vero con buon viso liberamente confessando, diffender la fama mia, a ciò che se nessuno per il passato ha di me sinistra ope- nione avuta, sappia ora certissimamente che io del signor Didaco Centiglia moglie vera sono stata £ non bagascia. Mi basta che l’onor mio sia salvo, avvenga mò ciò che si voglia. Io, signor viceré, questa notte passata, con l'aiuto di questa schiava che meco è, da la ricevuta ingiuria stimolata quella vendetta ho preso che m'è paruta convenevole a l’ingiuria che egli fuor d’ogni ragione, non l’avendo io offeso, m’ha fatta e con queste mani da quello scelerato corpo ho la vituperosa anima cacciata. Egli l’onore tolto m’aveva ed io ho a lui la vita levata. Ma quanto più si debbia l’onore che la vita apprezzare è troppo manifesto. — E quivi puntalmente il modo che tenuto aveva in ammazzarlo e come voleva far fuggir la schiava, narrò. Rimasero udendo questa tragedia tutti quei signori fuor di loro, e giudicarono la donna esser di più grand’animo che a femina non apparteneva. Fu mandato a tórre il miserando corpo del cavaliero che a tutti diede un orrendo spettacolo. Furono essaminati la madre, i fratelli ed il servidore, e si trovò che in effetto egli non poteva di ragione sposar la seconda moglie. E sovra la morte del cavaliero fatta inquisizione diligentissima, altri non si trovarono colpevoli che Violante e Giannica, le quali publicamente furono decapitate, e andarono tutte due cosi allegramente a la morte come se fossero andate a la festa e, per quanto s’intese, la schiava nulla di se stessa curando, solamente essortava la padrona a sopportar in pace la morte, poi che cosi altamente s’era vendicata.