< Novelle (Bandello, 1910) < Parte III
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Novella LXVI - Un mercadante vuole ingannare un Fiorentino; ed egli resta l’ingannato, ed è dalla giustizia punito
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IL BANDELLO

al magnifico

messer agostino aldegatto


Egli è pur mirabil cosa il considerar la malignitá di molti uomini, i quali in modo alcuno non vogliono astenersi da falle sconcie e vituperose opere, ancor che tutto il di veggiano uno esser impiccato; uno, tagliatogli il capo, esser smembrato in quattro parti; altri esser abbrusciati ed altri col tormento crudelissimo de la rota esser fatti penare, morendo miseramente; ed altri con mille altre specie di supplici perder la vita, che a noi deveria sovra ogni tesoro terreno esser cara: il che c’insegna la natura, la quale ci spinge con tutti i modi che a noi sono possibili.’Quella debbiamo conservare, come gli animali senza ragione creati fanno, i quali piú che ponno, per non lasciarsi prendere od ammazzare, con quelle armi si difendono che loro la natura ha concesso. Era stato, non è molto, in Tolosa da quel senato fatto squartare uno, di sangue gentiluomo, per suoi misfatti che commessi aveva; il quale in vero aveva vituperosissimamente tralignato, per i suoi pessimi costumi, da l’antica nobiltá dei suoi maggiori. Del caso di costui ragionandosi in una buona compagnia di molte persone, vi si ritrovò uno mercadante inglese, per nome chiamato Edimondo Eboracense, il quale praticava molto spesso in Francia e massimamente a Bordeos, ove ogni anno, quando è pace tra Francia ed Inghilterra, suole venire per comprar vini e condurgli a Londra. Egli in persona vien qui su l’Agenense a Bassens, al Porto Santa Maria, e qua intorno in queste contrade, ove si ricogliono i piú generosi vini de l’Aquitania, e gli va scegliendo a suo modo. Qui adunque narrò egli certe magre astuzie, che 54 PARTE TERZA volle usar un raercadante di Santonge, e la punizione che ne guadagnò. Ora essa novella ho voluto, al nome vostro intitolata, donarvi, a ciò che per effetto conosciate che io di voi e di tante vostre cortesie a me usate sono ricordevole. E veramente la natura v'ha fatto tale, quale a me pare che ogni leale e da bene mercadante deveria sforzarsi d’essere. Feliciti nostro signor Iddio tutte le cose vostre. State sano. NOVELLA LXVI Un mercadante vuol ingannare un fiorentino, ed egli resta l'ingannato ed è da la giustizia punito. Fu un mercadante fiorentino, che teneva casa in Parigi e trafficava in molti luoghi, non solamente di Francia, ma in Italia ed in Ispagna anco aveva pratiche con mercadanti. E volendo egli levar casa da Parigi e ritornar a Firenze, cominciò a ristringer le sue ragioni e ricoglier più danari che poteva. E so 10 che buona somma per lettere di cambio ne ritrasse da Londra, e gli fece pagar ai suoi agenti a Firenze. Egli aveva un suo giovine toscano, che lungo tempo adoperato aveva in riscuoter danari in vari luoghi, al quale, tra molti debitori che gli diede in lista, vi pose un mercadante di Santonge, uomo vecchio ma di mala vita e che faceva fascio d’ogni erba, e per suoi misfatti era stato stroppiato d’una gamba. Egli era debitore di mille ducati del mercadante fiorentino, e già di molti mesi il termine del pagamento era passato. Onde, avendo inteso che il giovine deveva in breve venire a Santes per riscuotergli, e non si trovando alora il modo di pagare tanta somma a un tratto, si lambiccava nel cervello, chimerizzando di che modo potesse fare a non esser astretto a pagar cosi tosto i mille ducati. Egli conosceva benissimo il giovine, perché altre volte erano praticati insieme, cosi in Santes come in altri luoghi, e tra gli altri a la Rocella. Quivi, avendo i sergenti de la corte assalito 11 vecchio per metterlo in prigione, era seco Giovan Battista — ché tal era il nome del giovine, — il quale, dato di mano a l’arme, fece fuggire egli solo tutta quella sbirraglia e gli levò NOVELLA LXVI 55 da le mani ¡1 vecchio, il quale subito, cosi zoppo come era, se n’usci fuori de la Rocella e disse a Gian Battista che facesse il simile. 11 giovine, conoscendo il periglio in che era se fosse stato posto in mano de la giustizia, deliberò lasciarsi consigliare. Egli aveva il suo cavallo e la valige in casa d'un borghese de la Rocella suo grand'amico, e sapeva il tutto esser in buone mani e che nulla si perderebbe; onde, seguendo le pedate del veglio, trovò che egli era in una osteria fuor de la Rocella. E trovandosi Gian Battista senza un quattrino a dosso, ché i danari aveva chiavati dentro la valige, richiese il vecchio che lo accommodasse d’otto o dieci ducati per tórre un cavallo a nolo e farsi le spese. Ebbe dieci ducati, e del ricevuto ne fece una cedola al vecchio, obligandosi di rendergli ad ogni di lui domanda. Cosi montarono a cavallo e andarono fuori de la giurisdizione de la Rocella, dove il fiorentino mandò uno con sue lettere a l’amico che aveva il cavallo e la valige, e cosi riebbe il tutto. Questo era avvenuto di circa dui anni innanzi che egli andasse a Santes per riscuoter i mille ducati, e non aveva ancora pagati i dieci ducati presi in prestito. V’ ho fatta questa poca narrazione, perché viene molto al proposito di quanto sono per narrarvi. Chimerizzado adunque il vecchio e pensando mille cautele e modi per ¡schifare il pagamento in cosi poco tempo, gli venne in mente la cedola del giovine, e con il mezzo di quella pensò di prevalersi e fargli un’alta beffa. Ma, come si suol dire, una ne pensa il ghiotto e l’altra il ta- vernaro. Arrivato Gian Battista a Santes, andò al suo solito albergo, ove, prese le sue cedule, cominciò a parlare con i debitori del suo maestro e pregargli a voler metter ad ordine i devuti danari, a ciò che non avesse poi cagione di perder tempo ed intertenersi più del devere a Santes. Ritrovò anco il vecchio zoppo e gli disse il medesimo; dal quale ebbe buone parole. Ma il ribaldo vecchio, che aveva fatto conto senza l’oste, s’aveva imaginato, per vigore de la cedula dei dieci ducati prestati fuori de la Rocella a Giovan Battista, farlo da la giustizia sostenere, non ad altro fine se non per menar il pagamento dei mille ducati più in lungo che poteva. Sperava anco ridurre la cosa dal 56 PARTE TERZA civile al criminale, e con questo trascorrere cinque o sette mesi senza pagare. Andò adunque al luogotenente de la città e gli disse che erano passati circa dui anni che egli aveva prestati alcuni danari ad un giovine italiano e che ancora non era stato pagato; ma che ora, essendo esso debitore ne la città, lo pregava a dargli alcuni dei sergenti de la corte per farlo ritenere, allegandolo straniero e fuggitivo, e gli mostrò la cedola. Il luogotenente, che era grande amico del zoppo, senza altrimenti considerar il tenore de la cedola, gli concesse la presa del corpo del giovine, senza far menzione de la quantità dei danari, ma che per debiti fosse preso come straniero e fuggitivo. Avuto cotal mandato, il vecchio prese sei sergenti e loro consegnò lo scritto, e gli mostrò il giovine che voleva che mettessero prigione. Per esser stato Gian Battista lungo tempo in Santes in diverse volte, era da tutti assai ben conosciuto e si sapeva per tutto che egli era animoso e gagliardo, e che l’arme gli stavano benissimo in mano, essendosi alcuna volta ritrovato in qualche mischia di notte e di giorno, ove valorosamente s’era diportato e reso di sé buonissimo conto. Credeva adunque il malvagio vecchio che, subito che il giovine si vedeva dagli sbirri attorniato, devesse cacciar mano a l’arme e nel difendersi, per non lasciarsi far prigione, ferire alcuno di quelli de la corte ed a la fine esser imprigionato, di modo che si venisse a proceder contra di lui de crimine laesae maiestatis, per aver date de le ferite ai sergenti reali. Ma il pensiero a questa volta gli andò fallito. Erano alcuni giovini amici di Gian Battista seco, che per la città l’accompagnavano, e andavano ragionando di varie cose. Gli sbirri, che per l’ordinario non son troppo valenti ma timidi e poltroni, incontrarono più volte il giovine né mai ebbero ardire di porli le mani a dosso, si perché lo conoscevano valente e si ancora perché lo vedevano benissimo accompagnato; nientedimeno gli andavano facendo la ruota attorno. Era tra quelli de la compagnia del giovine uno, che pochi di innanzi aveva fatto questione con uno e gli aveva date tre ferite, ma non perigliose de la vita. Egli, veggendo gli sbirri che l’andavano attorniando, disse ai compagni: — Questi sergenti gaglioffi mi NOVELLA LXVI 57 vanno facendo la ruota per ghermirmi per la mischia di questi di; ma se mi s’accostano, io darò loro di quello che non vanno forse cercando. — A queste parole Gian Battista, rivolto ai sergenti, disse loro molto arditamente:,— Compagni, volete voi nulla, che ci andate cosi attorniando? — I sergenti alora con le berrette in mano: — Signore — risposero, — noi abbiamo commissione da la corte di condurvi in prigione. — Me? — disse Giovan Battista. — Se la cosa è criminale, non v’accostate, perché, al corpo di Cristo, io vi darò de le croste e vi gratterò la rogna, insegnandovi a trescar con i par miei. Se la cosa è civile, io liberamente verrò al signor luogotenente a presentarmi. — Ella è — soggiunsero gli sbirri — per debiti che in questa città devete pagare. — Oh, questo è un nuovo caso! — disse il giovine. — Io son qui per riscuoter danari e debbo aver una gran somma, e mò si vorrà ch’io sia il debitore! Andate, andate, ch’io vengo mò mò a Palazzo. — Partiti gli sbirri, trovarono il vecchio che gli attendeva, il quale, come gli vide senza il pri- gionero, domandò loro per qual cagione non avevano preso il giovine. Eglino si scusarono che sempre l'avevano trovato con buona compagnia. Il maladetto vecchio, veggendo le sue volpine malizie non gli esser riuscite, si trovò molto di mala voglia e, quasi presago de la sopravegnente rovina, non sapeva che farsi. Gian Battista se n’andò di lungo a Palazzo e, presentatosi al giudice, disse: — Signore, io sono il tale, cui contra concesso avete presa di corpo. Eccomi per sodisfar a tutto quello di che con ragione sarò debitore. — Il giudice, veggendo il buon aspetto del giovine e cosi ben vestito, gli disse: — Gentiluomo, io ho data la commessione ad instanzia del tal mercadante. — Fu fatto venir il zoppo in palazzo, che vi venne come la biscia a l’incanto. Alora Gian Battista, rivolto al giudice, disse: — A ciò che voi conosciate la malignità e ribalderia di costui, eccovi la cedula di sua mano, sottoscritta dal notaro e testimoni, come egli è debitore al mio maestro di mille ducati. Eccovi la mia procura di riscuotergli. E perché conosciate che io non son fuggitivo e confesso essergli debitore di dieci ducati, leggete questo mio scritto, ove da una parte del foglio scritto è il suo 5« PARTE TERZA debito, ed a l’incontro al credito suo ho posto i dieci ducati avuti da lui in prestito, — ché queste scritture portava seco in petto il giovine. Il povero vecchio nulla seppe negare, e stava mutolo né sapeva che dire. Ad instanzia poi del giovine fu il vecchio imprigionato, non avendo chi li facesse securtà. Protestò poi Gian Battista dei danni ed interessi e de l'onore, per esser accusato fuggitivo. Ed in somma la cosa andò di modo che il misero vecchio fatto fu prigionero e fu astretto, se volle uscire, a pagar tutto il debito con danni ed interessi, e publicamente disdirsi d’aver appellato il giovine « fuggitivo », di maniera che l’inganno tornò sovra l’ingannatore. E cosi si vide verificato il proverbio che dice: « Chi ha a far con tòsco, non vuol esser losco ».

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