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IL BANDELLO
a messer
tomaso castellano
salute
Messer Antonio Castellano vostro zio, come voi meglio di me sapete, è uomo molto eloquente e nei communi parlari molto pronto, ché sempre ha qualche nuovo motto a le mani. Egli per esser stato affezionatissimo a la fazione bentivogliesca fu da Giulio secondo pontefice massimo di Bologna bandito, e stette lungo tempo in Milano in casa del signor Alessandro Bentivoglio, che dopo la perdita de lo stato di Bologna s’era ridutto a Milano, ove la signora Ippolita Sforza sua consorte aveva castella e possessioni de la ereditá paterna. E perché esso vostro zio era gran parlatore e che sempre a tutti i propositi che si dicevano aveva qualche istoria o novella da dire, avvenne che un giorno, essendo inferma la detta signora Ippolita, il Firenzuola, medico in Bologna molto famoso, che era stato fatto a posta venire, disse una piacevole novelletta del Barbaccia, dottore siciliano che lungo tempo aveva in Bologna Ietto ragione civile, a la quale subito esso messer Antonio ne aggiunse un’altra, che non meno di quella del Firenzuola ci fece ridere. Diceva adunque il Firenzuola che avendo il Barbaccia fatto un conseglio ad uno dei Ghisiglieri per certa lite che aveva con un suo nipote, il Ghisiglieri mandò venticinque ducati al detto Barbaccia; il quale, ritrovandone sette od otto che non erano cosí di peso come egli averebbe voluto, tutti rimandòglieli a casa, dicendo che voleva buona moneta e non oro che mancasse di peso. Il buon Ghisiglieri, avuti i ducati, menò il Barbaccia d’oggi in dimane, parendogli che per quattro fogli che aveva scritto non devesse M. Bandeli.o, Novelle. i7s PARTE TERZA mostrar tanta ingordigia del danaro, e mai più non gli volle dare un quattrino. Di che il Barbaccia piangendo, non faceva se non dire che meritava cento staffilate ad aver rimandato indietro i ducati. Messer Antonio, come ho detto, narrò subito un'altra novella; la quale, avendola io scritta, mi pare convenevole che si debbia dar a voi, essendo frutto nasciuto per opera di vostro zio. Ve la dono anco a ciò che vi sia pegno de la nostra amicizia. State sano. NOVELLA Vili Don Bartolomeo da Bianoro rimanda indietro un ducato doppio avuto d’elemosina e non lo riavendo si fa dar de le staffilate. Se il Barbaccia, signori miei, si lamentava del nostro cittadino come ora qui ha narrato l’eccellente Firenzuola, a me pare ch'egli n'avesse qualche ragione, perciò che essendo egli dottore famosissimo e di cui i consegli erano molto stimati, credere verisimilmente si deve che si fosse assai affaticato a rivolger tanti libri quanti le loro verbose leggi n'hanno, e che si fosse sforzato di trovar ragioni al proposito, si per onor suo come per profitto del suo clientulo. Né io osarei dire che il nostro Ghisiglieri sia da lodare avendosi i danari ritenuti. E secondo che questo non sono oso di dire, affermerò bene e santamente giurerò che una nostra gentildonna, chiamata madonna Giovanna dei Bianchi, merita lodi grandissime, avendo ad un prete avarissimo fatto una piacevol beffa, che fu di questa maniera. Non è ancora molto che essendo il tempo de la quadragesima, nel quale tutti i buoni e veri cristiani si deveriano al sacerdote confessare, che la detta madonna Giovanna andò a confessarsi ne la chiesa di San Petronio ad un prete chiamato don Bartolomeo da Bianoro, che aveva nome d’esser assai dotto ed uomo di buona vita, ma era più vago d’un soldo che non è il gatto del topo. Fece diligentemente la sua confessione la nostra gentildonna; e ricevuta la penitenza e l'assoluzione, diede al prete un doppio ducato d'oro, di quelli che al buon tempo faceva stampare il signor Giovanni Bentivoglio. Il prete allegramente prese NOVEI.I.A Vili 179 il doppione e andossene a la camera, ove, come se avesse ven dato pepe e cannella, pesò il danaro. E trovandolo che mancava del giusto peso quasi duo grani, se ne ritornò in chiesa e ritrovò che la donna ancor ci era dicendo le sue orazioni. Egli ebbe pur tanto di discrezione che aspettò che fu levata. Come la vide levare, cosi frettolosamente le andò incontro e le disse: — Madonna, voi m’avete dato un doppio ducato il quale non è di peso. Io vi prego che vogliate cambiarmelo. Eccovelo qui. — La donna il prese e, conoscendo a questo atto l’ingordigia del prete, gli disse: — Sere, in buona verità che io ora non ho altri danari meco, perché pigliai questo a posta, pensando che fosse buono, avendomelo dato messer Taddeo Bolognino che sapete esser gentiluomo da bene. Ma io ve ne recherò un altro doma- tina. — Il prete le credette e restò in aspettazione di riaverne un migliore. Ella quel giorno ¡stesso andò a San Domenico, si riconfessò di nuovo con uno di quelli frati e gli diede il doppione, pregandolo che facesse dir le messe di San Gregorio per l’anima di suo padre. Egli il prese e, chiamato il sagrestano, gli mostrò l'elemosina e gli impose che facesse dire le messe che ella aveva richiesto, e il doppione gittò ne la cassa de le elimosine, come è il costume dei religiosi osservanti. 11 giorno seguente madonna Giovanna andò a la predica a San Petronio, come ella era solita. Finita che fu la predicazione, messer lo prete si fece innanzi e disse a la donna con un certo modo che teneva più de l’imperioso che altrimenti: — Madonna, avete voi recati i danari? — Ella, veggendo questa sua presunzione, gli rispose: — Messere, a dirvi il vero, veggendo che voi rifiutaste il mio oro, io andai a confessarmi con 1111 altro sacerdote, che l’ha trovato buono e di peso. — A questa voce il misero prete rimase mezzo morto e non sapeva che fare né che dire, parendogli che il soffitto de la chiesa gli fosse cascato a dosso. Onde cosi mutolo se n’andò a la sua camera e quella matina desinò molto poco, mangiando pili sospiri che pane. Dopo, non si potendo dar pace d’aver perduto tanti danari per la troppa ingordigia che aveva, chiamò un suo chierico che era di valle di I.amone, che era assai giovine ma forte scaltrito e malizioso; e iSo l'ARTE TERZA chiuso l’uscio de la camera, si gittò a traverso una panca con le natiche scoperte e gli disse: — Naldello — ché tale era il nome del chierico, — piglia quello staffile che è su la tavola, e dammi venticinque buone staffilate sul culo, e non aver rispetto veruno. — 11 chierico, veduto scoperto il culiseo di Roma, gli domandò che cosa era questa. Egli altro non rispose se non: — Dammi, dammi, ti dico, e non cercar altro. — Il chierico a questo, sentendo la determinata volontà del padrone, gli diede venticinque buone sferzate con pesante mano, a misura, come si dice, di carbone, di maniera che il culiseo aveva molti segni sanguigni. Avute le brave staffilate, il prete si levò suso e con voce pietosa disse: — Figliuolo, non ti meravigliare se io ho voluto che tu mi sferzi, ché io ho commesso un grandissimo errore, che meritava molto maggior castigo di quello che dato m’hai. — E narrò al chierico la perdita del doppio ducato. Come il giovine senti la pazzia del messere, se gli rivolse con il più brutto viso che puoté e disse: — Oimè, che sento ! che vi vengano tremila cacasangui ! E ch’avete voi voluto fare, uomo da poco e da meno assai ch’io non dico? Voi adunque avete restituito un doppione perché non era cosi di peso come la vostra avara ingordigia arebbe voluto, avendolo voi guadagnato col far un segno di croce in capo ad una femina? Che vi venga il gavocciolo! e forse che non l’avevate venduto zafferano? Al corpo che io non vo’ ora dire, se al principio io avessi questa cosa saputa, io ve ne dava un centinaio con la fibbia de lo staffile. Andate, andate, ché non sapete vivere. — E cosi il povero prete restò con le sferzate e con le beffe.