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Novella VII - Arnolfo fiandrese si finge esser di gran legnaggio, ed inganna una fanciulla: con altri accidenti e morte di lui
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IL BANDELLO

al gentilissimo

messer sigismondo olivo


Chi con dritto pensiero considera 1 ’instabilitá de le cose mondane conoscerá di leggero che l’uomo di rado ha piacer alcuno che lungamente duri, e non è dolce alcuno in questa nostra vita ove fortuna avversa non ineschi de l’amarezze, che ella suole tutto il di dare a chi punto in lei si confida. Il che è manife- festissimo argomento che di sotto al globo lunare non è cosa stabile, e perciò che in queste basse cose non si può trovar la nostra felicitá, ma che ella è ai buoni dal nostro signor Iddio colá su ne l’empireo cielo apparecchiata. Nondimeno noi ci lasciamo cosí abbagliare da le apparenti dolcezze che crediamo esser vere, massimamente ne le cose amorose, che noi, ingannati da quelle, ci lasciamo trasportare a mille inconvenienti e bene spesso a miserabil morte. E di simil errori tutto il di n'ac- cadeno assai essempi, come nuovamente a Bruggia di Fiandra è avvenuto, secondo che questi di messer Niccolò Nettoli mer- cadante fiorentino, che lungo tempo in Fiandra ha negoziato, in una buona compagnia con una novella dimostrò. La quale io, avendola scritta, vi mando e dono, a ciò veggiate che di voi sono ricordevole, e medesimamente del magnifico vostro fratello il capitano Gian Battista Olivo, al quale desidero questa esser commune. State sano. 174 PARTI: TERZA NOVELLA VII Arnolfo fi and rese si finge esser di gran legnaggio ed inganna una fanciulla, con altri accidenti e morte di lui. Fu già Bruggia in Fiandra terra molto famosa e mercantile, frequentata da tutti i mercadanti de 1’ Europa; ma poi che in Anversa i mercadanti hanno fatto la residenza loro, le cose di Bruggia sono assai mancate. Nondimeno, quanto appartiene a le lane, il medesimo traffico oggidì vi si fa che prima era consueto di farvisi. Ci sono ancora di ricchi gentiluomini, i quali molto splendidamente vivono. Avvenne non è molto che Arnolfo nato in Guant, che latinamente Gandavum si chiama, essendo povero giovine, andò a Bruggia per trovar padrone. Egli era di buonissimo e molto generoso aspetto e di civili costumi ornato, di modo che dimostrava esser figliuolo d’alcuno gran gentiluomo. Ora s’acconciò egli in Bruggia per servidore d'un ricchissimo mercadante, e in casa serviva tanto accomodatamente che non ci era persona che non l’amasse. Aveva il padrone tra gli altri figliuoli una figliuola di quindeci anni, tutta gentile ed avvenente e molto bella. Di lei Arnolfo fieramente e più assai che a lui non si conveniva s’innammorò e seco, essendosi domesticato, cominciò a poco a poco a manifestarle il suo amore, e con si fatto modo le sue passioni le discoperse che la giovanetta volentieri l’ascoltava. Egli, per meglio inescarla e condurla a far ciò che averebbe voluto, le diede ad intendere come era gentiluomo di Guant, figliuolo del più ricco gentiluomo che ci fosse, e che avendogli il padre voluto dar per moglie una ricca e nobile giovane, s'era partito per non prenderla. Le diceva poi che egli era unico del padre e che tutta la roba toccava a lui, perché suo avo l'aveva instituito erede e lasciato il padre, fin che vivesse, usufruttuario. Perciò la pregava che volesse accettarlo per servidore, promettendole che mai altra moglie non sposeria che lei. Con queste sue pappolate e finzioni seppe si ben fare che indusse l’incauta giovanetta a compiacergli, di modo che ogni volta che ci era commodità si godevano amorosamente insieme, prendendo NOVELLA VII ■75 l’uno e l'altra quel carnai diletto che tanto in amor si ricerca. Ad Arnolfo pareva d’aver il paradiso in questa vita, e quanto più la sua amante godeva tanto più di goderla bramava. Ma avvenne che una ciambrera di casa, giovane assai appariscente, s’avvide dei congiungimenti degli amanti e minacciò loro d’av- visarne il messere. La giovanetta, smarrita, tanto pregò la ciambrera che la pacificò, con questo però: che ella voleva esser partecipe degli abbracciamenti del fiandrese. A questo mal volentieri la giovanetta s’accordava, parendole troppo duro e strano che un’altra devesse goder il suo amante. Nondimeno a ciò che la ciambrera tacesse, fu contenta, ed ella medesima portò i polli al suo Arnolfo e gli persuase che si contentasse di far di sé copia a la ciambrera, a ciò che non rivelasse al padre ciò che facevano. Arnolfo, per cambiar vivanda e restar sicuro di non esser dicelato, vi s’accordò e cominciò con la ciambrera a giuocar a le braccia e mettersela sotto. E cosi, vicendevolmente or questa or quella godendo, si dava il meglior tempo del mondo. Ma mentre che indiscretamente trescavano insieme, la vecchia de la cucina, brutta, unta e sdentata, s’avvide degli amori loro. Onde a far che tacesse fu necessario, parte con lusinghe e carezze de le due donne e parte col corno d’Arnolfo, d’acquetarla. E cosi Arnolfo in poco di tempo si trovò due papere ed un'oca avere, a cui dava beccare. Ma se piacere con le due papere aveva, eragli un grandissimo cordoglio a mischiarsi con l'oca vecchia, e faceva il peccato e la penitenza insieme. Ora quando Arnolfo era in un mare di gioia e li pareva toccar col dito il cielo, la figliuola del padrone ingravidò; del che accortasi la madre, lo disse al marito. Tutti dui colsero la figliuola a 1’improviso, la quale, piangendo, non seppe negare il suo fallo e l’onestava con dire che Arnolfo era gentiluomo e ricco e che le aveva promesso di sposarla. Fu subito fatto pigliar Arnolfo e dato in mano de la giustizia, il quale confessò non saper chi fossero i suoi parenti e che per venir al suo intento s’era finto esser di nobil legnaggio; onde fu condannato a perder la testa. E non molto dopo su la piazza di Bruggia publicamente gli fu mózzo il capo. \ Tj-ir ■ r-wirr; VI J. !l*V

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