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NOTA.
La gioja della liberazione dal carcere fu dall’autore espressa in questo
Quante volte lo sognai
Questo giorno avventurato,
Poi svegliato disperai
4Che dovesse più brillar!
Vi saluto o conscie stanze
Di domestici contenti,
D’incolpabili speranze,
8Di tranquillo meditar.
Questa notte, nel mio letto,
Rotti i sogni non mi fiéno
Dal fracasso, dall’aspetto
12D’esplorante carcerier:
Nè sull’alba in suono atroce
Chiavi e sbarre ripercosse,
Ma de’ miei la cara voce
16Desterammi a bei pensier.
O mie carte, o libri amati,
Dolce causa de’ miei guai,
Quanto mai non v’ho bramati
20Fra l’inerzia che passò!
Al colloquio non temuto
Riederò d’un labbro amico;
Ciò che dico fia creduto:
24Ciò che ascolto crederò.
Diletti a questo cor,
Al vostro sen stringetemi:
27Ecco son salvo ancor.
Ditemi la parola
Che tempera le lagrime,
30Che il lungo duol consola.
E nostra madre ov’è?
Misera, quanto piangere
33Dal dì che mi perdè!
Ristoro ai gravi affanni,
Sua compiacenza e gaudio,
36Speme de’ tuoi tardi anni,
Nuovo a’ suoi figli padre,
Perdermi, e così perdermi...
39Deh quanto duolo, o madre!
Ti sovvien quante volte, alle mie cure
Benedicendo, dolcemente mesta,
42Il ciel (dicevi) sosterrà te pure?
Ed io che rispondevo? Ah non è questa
La terra dove sia compenso ai buoni;
45Terra al tristo benigna, al pio funesta.
Ma s’abbia il mondo i suoi venali doni;
E a chi la viltà sua svelar non teme
48Tòrsi al brago volgar mai non perdoni.
A meta più sublime ergiam la speme:
Ad un premio maggior d’ogni desio;
Lo sposo tuo lassù ci attende, e insieme
52Là canteremo unitamente a Dio.
Quei detti oh sovente ti corsero a mente
Allor che il tradito tuo figlio innocente
Udisti rapito coi ceppi sui piè.
Piangesti, pregasti: ma il prego, ma i pianti
Che il forte respinse, del Santo dei santi
58Ascesero al soglio, trovaron mercè.
Son salvo! deh cessa le lunghe querele;
Son salvo; abbia posa la tema crudele:
Il figlio redento deh corri abbracciar:
Coi pochi che fidi provò la sventura,
Con questa risorta famiglia sicura
64D’un gaudio implorato deh vieni esultar!
Voi piangete, o fratelli, o sorelle,
Come il dì che fui svelto a’ miei lari?
Questo è pianto di gioja; ma quelle,
68Strida furon di duol, di terror,
Io tacente, col volto dimesso,
A me stesso, a’ miei cari pensava.
Là da canto a chi il pianto inaccesso
72Di tumulto imputava il dolor.
E partirmi, e lasciarvi, sicuro
Di lasciarvi ai bisogni, all’ambascia,
Nè veder su alcun giorno futuro
76Del ritorno la speme brillar!
Se soffersi! L’udrete al loquace
Focolar nelle placide sere.
Abbian essi il perdon, noi la pace
80Qui raccolti al domestico altar.
All’altare di Maria
Qua concordi ad inneggiar.
Adjutrice e madre mia,
84S’io la debbo ringraziar!
Quando l’ansia e lo sgomento
Tenebravami il pensier:
Quando sogni di spavento
88Fean di spine l’origlier:
Dell’iniquo allor che il braccio
M’addoppiavu un vil rigor,
Minacciando un ceppo, un laccio
92Con sogghigno insultator,
Sollevai con fe la palma
Alla madre di Gesù.
E sentii conforto all’alma
96Di pacifica virtù.
— Tanto duol sul capo mio
Cumular, Maria perchè!
Avea colpa il figlio mio?
100Par soffrì tanto per te.
— E mia madre? Ahi trista! solo
Vive al pianto i pigri dì.
Ancor io fui madre; e duolo
104Pari al mio chi mai soffrì?
— E ai fratelli, anzi miei figli,
Chi più il pan dividerà?
Quel Signor che veste i gigli
108L’orfanel non lascerà.
— Spunterà mai giorno lieto?
Riederà la gioja al cor?
Non si sale all’Oliveto
112Che pel calle del dolor.
A te s’alzarono
Concordi i voti;
Concordi or sorgono
116Gl’inni devoti,
O madre, figlia,
Sposa all’Eterno,
Che a pro del passero
120Mitiga il verno.
Me la tua grazia
Salvò; ma quanti
Ancor nel carcere
124Gemono in pianti!
Quante t’innalzano
Voci dogliose
E suore italiche,
128E madri e spose!
Ti piaccia accogliere
Fausta que’ lai,
E poni un termine
132Ai fieri guai.
Apri ai lor miseri
L’orrenda stanza:
Rendi alla patria
136Tanta speranza:
Di quei che soffrono
Tempra il martire,
O madre, e mitiga
140Chi fa soffrire.
1834 |