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VII. Allegoria sull'Amicizia
VI. Allegoria VIII. Le due pantofole

VII.


Allegoria sull’Amicizia.


Un ricco mercatante avea un figliuolo unico, da lui sopra ogni cosa affettuosamente amato; onde lo fece allevare con grandissima cura, e ogni cosa adoperò per fornirgli di bei sentimenti l’animo, e di cognizioni l’ingegno. Essendo l’educazione di lui quasi pervenuta al fine, stabilì di farnelo viaggiare; ed avutolo a sè, gli disse un giorno così: Figliuol mio, sappi che fra gl’infiniti bisogni della vita, il maggiore di tutti gli altri è quello di un buon amico. Il troppo largo spendere ci porta via le ricchezze; un’improvvisa contrarietà di fortuna abbatte, a un vedere e non vedere, i più potenti; ma la morte sola ci può togliere un buon amico, come toglie a noi stessi; questo è quel solo bene che da autorità umana veruna non ci può essere rapito1: trova un amico solo in tutto il corso della vita, e avrai ritrovato il principalissimo ed ottimo di tutt’i beni. Io vorrei, figliuol mio, che tu vedessi il mondo: i viaggi sono la sperienza vera; quanto più uno avrà veduto degli uomini, saprà meglio vivere fra loro. Il mondo è un gran libro che ammaestra colui che sa leggere; è specchio fedele che ci presenta tutti quegli oggetti che, scoperti e ben conosciuti, possono insegnarci. Figliuol mio, va, che tu sia benedetto, e pensa ne’ tuoi viaggi pel mondo a procacciarti un amico vero, e s’egli ti abbisogna, spendi in ciò quanto hai di più prezioso e caro.

Il giovane dal padre si licenziò, e ne andò ad un paese molto lontano da quello donde si era partito. Non vi durò lungo tempo, e ritornò alla patria. Oh, non ti aspettava io già così tosto, gli disse il padre maravigliato di così presto ritorno. Voi mi commetteste, gli rispose il figliuolo, ch’io andassi in traccia di un amico; ne condussi qua cinquanta, i quali sono modello di vera amicizia.

Figliuolo mio, ripigliò il mercatante, non dar loro così spensieratamente e largamente questo sacro titolo: ti sei tu dimenticato di quello che dice il poeta persiano? Non esaltare tanto l’amico tuo, se prima non ne hai fatto esperienza. Egli è cosa rara: quasi tutti coloro che vagheggiano questo titolo e lo vogliono, non hanno altro dell’amico fuorchè la maschera: somigliano ad una nuvola di state che ad un menomo raggio di sole si rompe e svanisce: il fatto loro con gli amici è quello de bevitori con una secchia di vino, i quali, finch’essa ha dentro di cotesto liquore che ammalia, l’abbracciano amorosamente, e la gittano a terra di subito quando vôta rimane. Dubito grandemente e temo che coloro, de’ quali tu sei cotanto contento, somiglino a quelle anime ingannevoli, delle quali ti feci ora uno schizzo. Padre mio, rispose il giovane, ingiusto è il vostro sospetto: coloro che sono da me stimati amici, se io cadessi nelle avversità, avrebbero sempre lo stesso cuore.

Io sono vissuto già sessant’anni, rispose il mercatante, ed ho provato che cosa sia la buona e la contraria fortuna: molti sono gli uomini da me veduti e praticati; appena in giro di anni così lungo ho potuto fare acquisto di un amico vero. Come hai tu potuto in così fresca età averne oggimai trovati cinquanta? Impara da me a conoscere gli uomini.

Il mercatante sgozzò un montone, lo pose in un sacco e tinse col sangue di questa bestia le vesti del figliuolo; ed avendo in tal forma ordinato ogni cosa, rimise l’effettuarla alla notte. Allora prese il sacco, in cui era il corpo del montone, ne caricò le spalle al giovane da lui ammaestrato di quello che avesse a fare, ed in tal modo acconci uscirono l’uno e l’altro di casa.

Il giovane picchia all’uscio di uno de’ suoi cinquanta amici, che in fretta apre, e gli dimanda per qual cagione sia venuto. Nelle disgrazie, rispose il figliuolo del mercatante, si provano le persone, alle quali si porta amore. Spesse volte mi avrai udito parlare di una nimicizia che regnava fra la mia famiglia e quella di un signore della corte: fece il caso che ci riscontrammo in un luogo solitario; l’odio ci pose le arme in mano; l’atterrai morto a’ miei piedi. Temendo di essere dalla giustizia inseguito, presi il corpo morto e lo posi in questo sacco che ora vedi sulle mie spalle: io ti prego che tu tenga celato questo cadavere in tua casa finchè l’affare sia sopito. La casa mia è così picciola, gli rispose l'amico con viso malinconico ed impacciato, che appena può contenerci quei vivi che sono in essa: come vuoi tu che io vi alloghi un morto? Sa ognuno il rancore e l’odio fra te e quel signore che hai ammazzato: tu verrai in un momento sospettato per l’uccisore, si faranno esami, ed essendo pubblica l’amicizia nostra, si comincerà dal fare l’inchiesta in mia casa, e non ti farebbe pro impacciarmi della tua disgrazia: io non potrei farti per ora migliore servigio, che tenerti segreto.

Il giovane prega e riprega di nuovo: parlò ad un sordo: e non isperando omai più di piegare l’animo di quell’ingrato, andò da uno in uno a ritrovare quei cinquanta, nei quali mattamente si era fondato, e cinquanta volte ebbe la stessa accoglienza.

Vedi finalmente, o figliuol mio, diss’egli il mercatante, il poco conto che si dee fare degli uomini. Dov’è andato il fervore di coloro ch’erano da te con altissime lodi esaltati? tutti nella tua disgrazia ti hanno abbandonato; tutti cotesti tali sono mura dipinte, nuvole senza pioggia, alberi che non portano frutto: ora io intendo di farti vedere la differenza che passa tra un solo amico che io ho ed i tuoi cotanti. Così ragionando giunsero all’uscio di colui che dal mercatante era stato rappresentato al figliuolo come modello di perfettissima amicizia: gli raccontò l’inventata sciagura accaduta al figliuolo. Oh mille volte fortunato giorno, esclamò colui, il quale mi apre 1’opportunità di farvi vedere quanto io vi sia affezionato! Se avete fede in me, mi fate giustizia. Se capace è la casa mia, che potrebbe tenere celati mille morti, non che uno; pure quando anche ci fosse per me pericolo, l’affronterei contento colla speranza di potervi salvare. Andatevene col figliuolo alla mia campagna: quivi vivrete tranquillo, sconosciuto e sicuro da tutte le inchieste della giustizia.

Il mercatante, ringraziato l’amico delle sue generose offerte, gli disse che quanto era andato a raccontargli non era altro che una favola inventata per far imparare al suo figliuolo a riconoscere gli amici falsi dai veri.

  1. Questo è un pensiero somigliante a quello di Cicerone nel suo Dialogo dell’Amicizia, cap. 15: «Può fare, dic’egli, maggior pazzia l’uomo ricco ed al caso di procacciarsi tutte le grazie della vita, di quella di cercare tutto quello che può aversi co’ danari, belle terre, begli equipaggi, palagi pomposamente forniti, e non piuttosto pensare a farsi degli umici? Ogni altro acquisto gli può sfuggire di mano e diventar preda del più forte: il solo possedimento degli amici non ci può essere contrastato.»

Note

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