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I Qui comincia il secondo libro della edificazione di Firenze la prima volta: come di primo fue edificata la città di Firenze.
Distrutta la città di Fiesole, Cesere con sua oste discese al piano presso alla riva del fiume d’Arno, là dove Fiorino con sua gente era stato morto da’ Fiesolani, e in quello luogo fece cominciare ad edificare una città, acciò che Fiesole mai non si rifacesse, e rimandò i cavalieri latini, i quali seco avea, arricchiti delle ricchezze de’ Fiesolani; i quali Latini Tudertini erano appellati. Cesere adunque, compreso l’edificio della città, e messovi dentro due ville dette Camarti e villa Arnina, voleva quella appellare per suo nome Cesaria. Il sanato di Roma sentendolo, non sofferse che per suo nome Cesere la nominasse; ma feciono dicreto e ordinaro che quegli maggiori signori ch’erano stati a la guerra di Fiesole e all’asedio dovessono andare a fare edificare con Cesere insieme, e popolare la detta cittade, e qualunque di loro soprastesse a·lavorio, cioè facesse più tosto il suo edificio, appellasse la cittade di suo nome, o come a·llui piacesse. Allora Macrino, Albino, Igneo Pompeo, Marzio apparecchiati di fornimenti e di maestri, vennero da Roma alla cittade che Cesere edificava, e inviandosi con Cesere si divisono l’edificare in questo modo: che Albino prese a smaltare tutta la cittade, che fue uno nobile lavoro e bellezza e nettezza della cittade, e ancora oggi del detto ismalto si truova cavando, massimamente nel sesto di San Piero Scheraggio, e in porte San Piero, e in porte del Duomo, ove mostra fosse l’antica città. Macrino fece fare il condotto dell’acqua in docce e in arcora, faccendola venire di lungi a la città per VII miglia, acciò che·lla città avesse abondanza di buona acqua da bere, e per lavare la cittade; e questo condotto si mosse infino dal fiume detto la Marina a piè di monte Morello, ricogliendo in se tutte quelle fontane sopra Sesto, e Quinto, e Colonnata. E in Firenze faceano capo le dette fontane a uno grande palagio che si chiamava termine, capud aque, ma poi in nostro volgare si chiamò Capaccia, e ancora oggi in Terma si vede dell’anticaglia. E nota che gli antichi per santade usavano di bere acque di fontane menate per condotti, perché erano più sottili e più sane che quelle de’ pozzi, però che pochi, o quasi pochissimi, beveano vino, ma i più acqua di condotto, ma non di pozzo; e pochissime vigne erano allora. Igneo Pompeo fece fare le mura della cittade di mattoni cotti, e sopra i muri della città edificò torri ritonde molto spesse, per ispazio dall’una torre a l’altra di XX cubiti, sicché le torri erano di grande bellezza e fortezza. Del compreso e giro della città non troviano cronica che ne faccia menzione; se non che quando Totile Flagellum Dei la distrusse, fanno le storie menzione ch’ell’era grandissima. Marzio l’altro signore romano fece fare il Campidoglio al modo di Roma, cioè palagio, overo la mastra fortezza della cittade, e quello fu di maravigliosa bellezza; nel quale l’acqua del fiume d’Arno per gora con cavate fogne venia e sotto volte, e in Arno sotterra si ritornava; e la cittade per ciascuna festa dello sgorgamento di quella gora era lavata. Questo Campidoglio fu ov’è oggi la piazza di Mercato Vecchio, di sopra a la chiesa di Santa Maria in Campidoglio: e questo pare più certo. Alcuni dicono che fu ove oggi si chiama il Guardingo, di costa a la piazza ch’è oggi del popolo dal palazzo de’ priori, la quale era un’altra fortezza. Guardingo fu poi nomato l’anticaglia de’ muri e volte che rimasono disfatte dopo la distruzione di Totile, e stavanvi poi le meretrici. I detti signori, per avanzare l’uno l’edificio dell’altro, con molta sollecitudine si studiavano, ma in uno medesimo tempo per ciascuno fu compiuto; sicché nullo di loro ebbe aquistata la grazia di nominare la città a sua volontà, sì che per molti fu al cominciamento chiamata la piccola Roma. Altri l’appellavano Floria, perché Fiorino fu ivi morto, che fu il primo edificatore di quello luogo, e fu in opera d’arme e in cavalleria fiore, e in quello luogo e campi intorno ove fu la città edificata sempre nasceano fiori e gigli. Poi la maggiore parte degli abitanti furono consenzienti di chiamarla Floria, sì come fosse in fiori edificata, cioè con molte delizie. E di certo così fu, però ch’ella fu popolata della migliore gente di Roma, e de’ più sofficienti, mandati per gli sanatori di ciascuno rione di Roma per rata, come toccò per sorte che l’abitassono; e accolsono co·lloro quelli Fiesolani che vi vollono dimorare e abitare. Ma poi per lungo uso del volgare fu nominata Fiorenza: ciò s’interpetra spada fiorita. E troviamo ch’ella fu edificata anni VIcLXXXII dopo l’edificazione di Roma, e anni LXX anzi la Nativitade del nostro signore Iesù Cristo. E nota, perché i Fiorentini sono sempre in guerra e in disensione tra loro, che nonn-è da maravigliare, essendo stratti e nati di due popoli così contrari e nemici e diversi di costumi, come furono gli nobili Romani virtudiosi, e’ Fiesolani ruddi e aspri di guerra.
II Come Cesere si partì di Firenze e andonne a Roma, e fu fatto consolo per andare contro a’ Franceschi.
Dapoi che·lla città di Firenze fu fatta e popolata, Iulio Cesare irato perché n’era stato il primo edificatore, e avea avuta la vittoria della città di Fiesole, e nonn-avea potuto nominare la cittade per suo nome, sì si partì di quella, e tornossi a Roma, e per suo studio e valore fue eletto consolo, e mandato contro a’ Franceschi, ove dimorò per X anni al conquisto di Francia, e d’Inghilterra, e d’Alamagna: e lui tornando con vittoria a Roma, gli fu vietato il triunfo, perché aveva passato il dicreto fatto per Pompeo consolo e’ sanatori per invidia, sotto colore d’onestà, che nullo dovesse stare in neuna balia più di V anni. In quale Cesare co le sue milizie tornando con oltremontani, Franceschi, e Tedeschi, e Italiani, Pisani, Pirati, Pistolesi, e ancora co’ Fiorentini suoi cittadini, pedoni, e cavalieri, e rombolatori menò seco a fare cittadinesche battaglie, perché gli fu vietato il triunfo; ma più per essere signore di Roma, come lungo tempo avea disiderato, contro a Pompeo e il senato di Roma combattéo. E dopo la grande battaglia tra Cesere e Pompeo, quasi tutti morti furo in Ematia, cioè Tesaglia in Grecia, come pienamente si legge per Lucano poeta, chi le storie vorrà trovare. E Cesere, avuta la vittoria di Pompeo e di molti re e popoli ch’erano in aiuto de’ Romani che gli erano nimici, si tornò a Roma, e sì si fece primo imperadore di Roma, che tanto è a dire come comandatore sopra tutti. E apresso lui fue Ottaviano Agustus suo nipote e figliuolo adottivo, il quale regnava quando Cristo nacque, e dopo molte vittorie signoreggiò tutto il mondo in pace; e d’allora innanzi fu Roma a signoria d’imperio, e tenne sotto la sua giuridizione e dello imperio tutto l’universo mondo.
III Come i Romani e gl’imperadori ebbono insegna, e come da·lloro l’ebbe la città di Firenze, e altre cittadi.
Al tempo di Numa Pompilius per divino miracolo cadde in Roma da cielo uno scudo vermiglio, per la qual cosa e agurio i Romani presono quella insegna e arme, e poi v’agiunsono S.P.Q.R. in lettere d’oro, cioè Senato del popolo di Roma: e così dell’origine della loro insegna diedono a tutte le città edificate per loro, cioè vermiglia. Così a Perugia, a Firenze, e a Pisa; ma i Fiorentini per lo nome di Fiorino e della città v’agiunsono per intrasegna il giglio bianco, e’ Perugini talora il grifone bianco, e Viterbo il campo rosso, e li Orbitani l’aquila bianca. Ben’è vero che’ signori romani, consoli e dittatori, dapoi che l’aguglia per agurio aparve sopra Tarpea, cioè sopra la camera del tesoro di Campidoglio, come Tito Livio fa menzione, si presono l’arme in loro insegne ad aquila; e troviamo che ’l consolo Mario ne la battaglia de’ Cimbri ebbe le sue insegne con l’aquila d’argento, e simile insegna portava Catellina quando fu sconfitto da Antonio nelle parti di Pistoia, come recita Salustio. E ’l grande Pompeo la portò in campo azzurro e l’aquila d’argento: e Iulio Cesare la portò il campo vermiglio e l’aquila ad oro, come fa menzione Lucano in versi, dicendo: «Signa parens aquilas, et pila minantia pilas». Ma poi Ottaviano Agusto, suo nipote e successore imperadore, la mutò, e portò il campo ad oro, e l’aquila naturale di colore nero a similitudine della signoria dello imperio, che come l’aquila è sovra ogni uccello, e vede chiaro più ch’altro animale, e vola infino al cielo dell’emisperio del fuoco, così lo ’mperio dé essere sopra ogni signoria temporale. E appresso Ottaviano tutti gli imperadori de’ Romani l’hanno per simile modo portata; ma Gostantino, e poi gli altri imperadori de’ Greci ritennono la ’nsegna di Iulio Cesare, cioè il campo vermiglio e l’aquila ad oro, ma con due capi. Lasceremo delle insegne del comune di Roma e degl’imperadori, e torneremo a nostra materia sopra i fatti della città di Firenze.
IV Come la città di Firenze fu camera de’ Romani e dello imperio.
La città di Firenze in quello tempo era camera d’imperio, e come figliuola e fattura di Roma in tutte cose, e da’ Romani abitata; e però de’ propii fatti di Firenze a quegli tempi non troviamo cronica né altre storie che ne facciano grande memoria. E di ciò nonn-è da maravigliare, però che’ Fiorentini erano sudditi e una co’ Romani, e per Romani si trattavano per l’universo mondo, e come i Romani andavano ne’ loro eserciti e nelle loro battaglie. E troviamo nelle storia di Giulio Cesare, nel secondo libro di Lucano, quando Cesare assediò Pompeo nella città di Brandizio in Puglia, uno de’ baroni e signori della città di Firenze ch’avea nome Lucere era in compagnia di Cesare e fue alla battaglia delle navi a la bocca del porto di Brandizio, valente uomo d’arme e virtudioso; e molti altri Fiorentini furono in quello esercito e battaglie con Cesare e di sua parte; però che quando fue la discordia da Giulio Cesare a Pompeo e del senato di Roma, quegli della città di Firenze e d’intorno al fiume d’Arno tennero la parte di Cesare. E di ciò fa menzione Lucano nel detto libro ove dice in versi:
Vulturnusque celer, notturneque conditor aure
Sarnus, et umbrosae Liris per regna marisque.
E così dimoraro i Fiorentini mentre che’ Romani ebbono stato e signoria. Bene si truova per alcuno scritto che uno Uberto Cesare, sopranomato per Iulio Cesare, che fu figliuolo di Catellina, rimaso in Fiesole picciolo garzone dopo la sua morte, egli poi per Iulio Cesare fue fatto grande cittadino di Firenze, e avendo molti figliuoli, egli e poi la sua schiatta furono signori della terra gran tempo, e di loro discendenti furono grandi signori e grandi schiatte in Firenze; e che gli Uberti fossoro di quella progenie si dice. Questo non troviamo per autentica cronica che per noi si pruovi.
V Come in Firenze fu fatto il tempio di Marti, il quale oggi si chiama il Duomo di Santo Giovanni.
Dapoi che Cesere, e Pompeo, e Macrino, e Albino, e Marzio prencipi de’ Romani edificatori della nuova città di Firenze si tornarono a Roma, compiuti i loro lavori, la città cominciò a crescere e moltiplicare di Romani e di Fiesolani insieme, che rimasono a l’abitazione di quella; e in poco tempo si fece buona città secondo il tempo d’allora, che gl’imperadori e ’l senato di Roma l’avanzavano a·lloro podere, quasi come un’altra piccola Roma. I cittadini di quella, essendo in buono stato, ordinaro di fare nella detta cittade uno tempio maraviglioso all’onore dello Iddio Marte, per la vittoria che’ Romani avieno avuta della città di Fiesole, e mandaro al senato di Roma che mandasse loro gli migliori e più sottili maestri che fossono in Roma, e così fu fatto. E feciono venire marmi bianchi e neri, e colonne di più parti di lungi per mare, e poi per Arno; feciono conducere e macigni e colonne da Fiesole, e fondaro e edificaro il detto tempio nel luogo che si chiamava Camarti anticamente, e dove i Fiesolani faceano loro mercato. Molto nobile e bello il feciono a otto facce, e quello fatto con grande diligenzia, il consecraro allo Iddio Marti, il quale era Idio di Romani, e feciollo figurare innintaglio di marmo in forma d’uno cavaliere armato a cavallo; il puosono sopra una colonna di marmo in mezzo di quello tempio, e quello tennero con grande reverenzia e adoraro per loro Idio mentre che fu il paganesimo in Firenze. E troviamo che il detto tempio fu cominciato al tempo che regnava Ottaviano Agusto, e che fu edificato sotto ascendente di sì fatta costellazione, che non verrà meno quasi in etterno: e così si truova scritto in certa parte, e intagliato nello spazzo del detto tempio.
VI Racconta del sito della provincia di Toscana.
Quando per noi s’è detto della prima edificazione della città di Firenze e di quella di Pistoia, si è convenevole e di necessità che si dica dell’altre città vicine di Toscana quello che n’avemo trovato per le croniche di loro principii e cominciamenti brievemente, per tornare poi a nostra materia. Narreremo in prima del sito della provincia di Toscana. Toscana comincia da la parte di levante al fiume del Tevero, il quale si muove nell’alpi di Pennino de la montagna chiamata Falterona, e discende per la contrada di Massa Tribara, e dal Borgo San Sipolcro, e poi la Città di Castello, e poi sotto la città di Perugia, e poi appresso di Todi, istendendosi per terra di Sabina e di Roma, e ricogliendo in sé molti fiumi, entra per la città di Roma infino in mare ove fa foce di costa a la città di Ostia, presso a Roma a XX miglia; e la parte di qua dal fiume, che si chiama Trastibero, e il Portico di Santo Pietro di Roma è della provincia di Toscana. E da la parte del mezzogiorno si ha Toscana il mare detto Terreno, che colle sue rive batte la contrada di Maremma, e Piombino, e Pisa, e per lo contado di Lucca e di Luni infino a la foce del fiume della Magra, che mette in mare a la punta della montagna del Corbo di là da Luni e di Serrezzano, da la parte di ponente. E discende il detto fiume della Magra delle montagne di Pennino di sopra a Pontriemoli, tra la riviera di Genova e ’l contado di Piagenza in Lombardia, ne le terre de’ marchesi Malaspina. Il quarto confine di Toscana di verso settentrione sono le dette alpi Apennine, le quali confinano e partono la provincia di Toscana da Lombardia e Bologna e parte di Romagna; e gira la detta provincia di Toscana VIIc miglia. Questa provincia di Toscana ha più fiumi: intra gli altri reale e maggiore si è il nostro fiume d’Arno, il quale nasce di quella medesima montagna di Falterona che nasce il fiume del Tevero che va a Roma. E questo fiume d’Arno corre quasi per lo mezzo di Toscana, scendendo per le montagne de la Vernia, ove il beato santo Francesco fece sua penitenzia e romitaggio, e poi passa per la contrada di Casentino presso a Bibbiena e a piè di Poppio, e poi si rivolge verso levante, vegnendo presso a la città d’Arezzo a tre miglia, e poi corre per lo nostro Valdarno di sopra, scendendo per lo nostro piano, e quasi passa per lo mezzo de la nostra città di Firenze. E poi uscito per corso del nostro piano, passa tra Montelupo e Capraia presso a Empoli per la contrada di Greti e di Valdarno di sotto a piè di Fucecchio, e poi per lo contado di Lucca e di Pisa, raccogliendo in sé molti fiumi, passando poi quasi per mezzo la città di Pisa ove assai è grosso, sicché porta galee e grossi legni; e presso di Pisa a V miglia mette in mare; e il suo corso è di spazio di miglia CXX. E del detto fiume d’Arno l’antiche storie fanno menzione: Vergilio nel VII libro dell’Eneidos parlando della gente che fu in aiuto al re Turno incontra Enea di Troia con questi versi: «Sarrastris populos, equa rigat equora Sarnus»; e Paulo Orosio raccontando in sue storie del fiume d’Arno disse che quando Anibal di Cartagine, tornando di Spagna in Italia, passò le montagne d’Apennino, vegnendo sopra i Romani, ove si combattéo in su·lago di Perugia col valente consolo Flamineo da cui fu sconfitto, in quel luogo dice che passando Anibal l’alpi Apennine, per la grande freddura che v’ebbe, discendendo poi in su i paduli del fiume d’Arno sì perdé tutti gli suoi leofanti, che non ne gli rimase se none uno solo, e la maggiore parte de’ suoi cavagli e bestie vi moriro; e egli medesimo per la detta cagione vi perdé uno de’ suoi occhi del capo. Questo Anibal mostra per nostro arbitrare ch’egli scendesse l’alpi tra Modona e Pistoia, e paduli fossono per lo fiume d’Arno da piè di Firenze insino di là da Signa: e questo si pruova, che anticamente tra Signa e Montelupo nel mezzo del corso del fiume d’Arno, ove si ristrigne in piccolo spazio tra rocce di montagne, aveva una grandissima pietra che si chiamava e chiama Golfolina, la quale per sua grandezza e altezza comprendeva tutto il corso del fiume d’Arno, per modo che ’l facea ringorgare infino assai presso ov’è oggi la città di Firenze, e per lo detto ringorgamento si spandea l’acqua del fiume d’Arno, e d’Ombrone, e di Bisenzo per lo piano sotto Signa, e di Settimo, e di Prato, e di Micciole, e di Campi, infino presso a piè de’ monti, faccendo paduli. Ma e’ si truova, e per evidente sperienzia si vede, che la detta pietra Golfolina per maestri con picconi e scarpelli per forza fu tagliata e dibassata, per modo che ’l corso del fiume d’Arno calò e dibassò, sicché i detti paduli scemaro e rimasero terra guadagnabile. Bene racconta Tito Livio quasi per simili parole, dicendo che ’l passo, e dove s’acampò Anibal, fu tra la città di Fiesole e quella d’Arezzo. Avisiamo che passasse l’alpi a Pennino per la contrada di Casentino, e paduli poteano simile essere tra l’Ancisa e ’l piano di Fegghine, e potea essere o nell’uno luogo o nell’altro, però che anticamente il fiume d’Arno avea in più luogora rattenute e paduli; ma dove che·ssi fosse, assai avemo detto sopra il nostro fiume d’Arno, per trarre d’ignoranza e fare avisati i presenti moderni viventi di nostra città, e gli strani che sono e saranno. Lasceremo di ciò, e diremo in brieve de la potenzia che anticamente avea la nostra provincia di Toscana, che si confà a la nostra materia.
VII Della potenzia e signoria ch’avea la provincia di Toscana innanzi che Roma avesse stato.
Dapoi ch’avemo detto del sito e confini de la nostra provincia di Toscana, sì ne pare convenevole di dire in brieve dello stato e signoria che Toscana avea anzi che Roma avesse podere. La provincia di Toscana innanzi al detto tempo fu di grande potenzia e signoria. E non solamente lo re di Toscana chiamato Procena, che facea capo del suo reame nella città di Chiusi, il quale col re Tarquino assediò Roma, era signore della provincia di Toscana; ma le sue confine, dette colonne, erano infino a la città d’Adria in Romagna in su il golfo del mare di Vinegia, per lo cui nome anticamente quello mare è detto seno Adriatico; e nelle parti di Lombardia erano i suoi confini e colonne di Toscana infino di là dal fiume di Po e del Tesino, infino al tempo di Tarquino Prisco re de’ Romani, che la gente de’ Galli, detti oggi Franceschi, e quella de’ Germani, detti oggi Tedeschi, di prima passaro in Italia per guida e condotto d’uno Italiano della città di Chiusi, il quale passò i monti per ambasciadore, per fare commuovere gli oltramontani contro a’ Romani, e portò seco del vino, il quale dagli oltramontani non era in uso, né conosciuto per bere, però che di là nonn avea mai avuto vino né vigna; il quale vino per gli signori di là assaggiato, parve loro molto buono; e intra l’altre cagioni, con altre grandi impromesse, quella della ghiottornia del buono vino gl’indusse a passare i monti, udendo come Italia era piantadosa di vino, e larga d’ogni bene e vittuaglia. E indussegli ancora il passare di qua, che per lo loro buono stato erano sì cresciuti e multiplicati di gente, che a pena vi poteano capere. Per la qual cosa passando i monti in Italia i Galli e’ Germani, de’ primi furono Brenno e Bellino, i quali guastarono gran parte di Lombardia e del nostro paese di Toscana, e poi assediaro la città di Roma e presolla infino al Campidoglio, con tutto che innanzi si partissono furono sconfitti in Toscana dal buono Cammillo ribello di Roma, siccome Tito Livio in sue storie fa menzione. E poi più altri signori Gallici, e Germani, e Gotti, e d’altre nazioni barbere passaro in Italia di tempi in tempi, faccendo in Lombardia e in Toscana grandi battaglie co’ Romani, come si truovano ordinatamente per le storie che scrisse il detto Tito Livio maestro di storie. Lasceremo de la detta materia, e diremo i nomi delle città e vescovadi della nostra provincia di Toscana.
VIII Questi sono i vescovadi de le città di Toscana.
La chiesa e sedia di San Piero di Roma la qual è di qua dal fiume del Tibero in Toscana, il vescovado di Fiesole, la città di Firenze, la città di Pisa, la qual è arcivescovado per grazia, come in questo fia menzione, la città di Lucca, il vescovado dell’antica città di Luni, la città di Pistoia, la città di Siena, la città d’Arezzo, la città di Perugia, la città di Castello, la città di Volterra, la città di Massa, la città di Grosseto, il vescovado di Soana in Maremma, la città antica di Chiusi, la città d’Orbivieto, il vescovado di Bagnoregio, la città di Viterbo, la città di Toscanella, il vescovado di Castri, la città di Nepi, l’antichissima città di Sutri, la città d’Orti, il vescovado di Civitatensi. Avendo detti i nomi di XXV vescovadi e città di Toscana, diremo in ispezialità del cominciamento e orrigine d’alquante di quelle città famose a’ nostri tempi onde sapremo il vero per antiche storie e croniche, tornando poi a nostra materia.
IX Della città di Perugia.
La città di Perugia fu assai antica, e secondo che raccontano le loro croniche, ella fu da’ Romani edificata in questo modo: che tornando uno oste de’ Romani de la Magna, perch’avea il loro consolo chiamato Persus dimorato al conquisto più tempo che non diceva il dicreto de’ Romani, si furono isbanditi e divietati che non tornassono a Roma, sicché rimasono in quello luogo ove è l’uno corno della città di Perugia, siccome esiliati e nemici del Comune. Poi gli Romani mandarono sopra loro una oste, i quali si puosono di contro a·lloro in su l’altro corno per guerreggiargli, siccome ribelli del Comune di Roma; ma ivi stati più tempo, e riconosciuti insieme, si pacificaro l’uno oste e l’altra, e per lo buono sito rimasono abitanti in quello luogo. Poi di due luoghi feciono la città di Perugia, e per lo nome del primo consolo che ivi si puose fu così nominata. Poi pacificatisi co’ Romani, furono contenti della città di Perugia, e favoreggiarla assai e diedolle stato, quasi per tenere sotto loro giuridizione le città di quella contrada. Poi Totile Flagellum Dei la distrusse, come fece Firenze e più altre città d’Italia, e fece marterizzare santo Erculano vescovo della detta città.
X Della città di Arezzo.
La città d’Arezzo prima ebbe nome Aurelia, e fu grande città e nobile, e in Aurelia furono anticamente fatti per sottilissimi maestri vasi rossi con diversi intagli di tutte forme di sottile intaglio, che veggendoli parevano impossibili a essere opera umana; e ancora se ne truovano. E di certo ancora si dice che ’l sito e l’aria d’Arezzo genera sottilissimi uomini. La detta città d’Aurelia fu anche distrutta per lo detto Totile, e fecela arare e seminare di sale, e d’allora innanzi fu chiamata Arezzo, cioè città arata.
XI Della città di Pisa.
La città di Pisa fu prima chiamata Alfea. Troviamo mandò aiuto ad Enea contro a Turno, e ciò dice Vergllio nel VI libro dell’Eneidos; ma poi ella fu porto dello ’mperio de’ Romani dove s’aduceano per mare tutti gli tributi e censi che li re e tutte le nazioni e paesi del mondo ch’erano sottoposti a’ Romani rendeano allo ’mperio di Roma, e là si pesavano, e poi si portavano a Roma; e però che il primo luogo ove si pesava non era sofficiente a tanto strepito, vi si feciono due luoghi ove si pesava, e però si diclina il nome di Pisa in gramatica: pluraliter, nominativo hee Pise; e così per l’uso del porto e detti pesi, genti vi s’acolsono ad abitare, e crebbono e edificaro la città di Pisa poi ad assai tempo dopo l’avenimento di Cristo, con tutto che prima per lo modo detto era per molte genti abitata, ma non come città murata.
XII Della città di Lucca.
La città di Lucca ebbe in prima nome Fridia, e chi dice Aringa; ma perché prima si convertì a la vera fede di Cristo che città di Toscana, e prima ricevette vescovo, ciò fu santo Fridiano, che per miracolo di Dio rivolse il Serchio, fiume presso a la detta città, e diegli termine, che prima era molto pericoloso e guastava la contrada, e per lo detto santo prima fu luce di fede, sì fu rimosso il primo nome e chiamata Luce, e oggi per lo corrotto volgare si chiama Lucca. E truovasi che il detto beato Fridiano vegnendo da Lucca a Firenze in pellegrinaggio per visitare la chiesa ov’è il corpo di santo Miniato a Monte, non potendo entrare in Firenze perché ancora erano pagani, e trovando il fiume d’Arno molto grosso per grandi piove, si mise a passare in su una piccola navicella contro al volere del barcaiuolo, e per miracolo di Dio passò liberamente e tosto, come l’Arno fosse piccolo, e colà dove arrivò fu poi per gli cattolici fiorentini fatta la chiesa di Santo Fridiano per sua devozione.
XIII Della città di Luni.
La città di Luni, la quale è oggi disfatta, fu molto antica, e secondo che troviamo nelle storie di Troia, della città di Luni v’ebbe navilio e genti a l’aiuto de’ Greci contra gli Troiani; poi fu disfatta per gente oltramontana per cagione d’una donna moglie d’uno signore, che andando a Roma, in quella città fu corrotta d’avoltero; onde tornando il detto signore con forza la distrusse, e oggi è diserta la contrada e malsana. E nota che·lle marine erano anticamente molto abitate, e quasi infra terra poche città avea e pochi abitanti, ma in Maremma e in Maretima verso Roma a la marina di Campagna avea molte città e molti popoli, che oggi sono consumati e venuti a niente per corruzzione d’aria: che vi fu la grande città di Popolonia, e Soana, e Talamone, e Grosseto, e Civitaveglia, e Mascona, e Lansedonia che furono co la loro forza a l’asedio di Troia; e in Campagna Baia, Pompeia, Cumina, e Laurenza, e Albana. E la cagione perché oggi sono quelle terre de la marina quasi disabitate e inferme, e eziandio Roma peggiorata, dicono gli grandi maestri di stronomia che ciò è per lo moto dell’ottava spera del cielo, che in ogni C anni si muta uno grado verso il polo di settentrione, cioè tramontana, e così farà infino a XV gradi in MD anni, e poi tornerà adietro per simile modo, se fia piacere di Dio che ’l mondo duri tanto; e per la detta mutazione del cielo è mutata la qualità della terra e dell’aria, e dov’era abitata e sana è oggi disabitata e inferma, et e converso. Ed oltre a·cciò naturalmente veggiamo che tutte le cose del mondo hanno mutazione, e vegnono e verranno meno, come Cristo di sua bocca disse, che neuna cosa ci ha stato fermo.
XIV Della città di Viterbo.
La città di Viterbo fu fatta per gli Romani, e anticamente fu chiamata Vegezia, e’ cittadini Vegentini. E gli Romani vi mandavano gl’infermi per cagione de’ bagni ch’escono del bulicame, e però fu chiamata Vita Erbo, cioè vita agl’infermi, overo città di vita.
XV Della città d’Orbivieto.
La città d’Orbivieto si fu simile fatta per gli Romani, e Urbis Veterum ebbe nome, cioè a dire città de’ vecchi, perché gli uomini vecchi di Roma v’erano mandati a stare per migliore aria ch’a Roma per mantenere loro santade; e per lo lungo uso e buono sito ve ne ristettono assai ad abitarla, e popolarla di gente.
XVI Della città di Cortona.
La città di Cortona fue antichissima, fatta al tempo di Giano e de’ primi abitanti di Italia; e Turno che si combatté con Enea per Lavina fu re di quella, come detto è dinanzi, e per lo suo nome prima ebbe nome Turna.
XVII Della città di Chiusi
La città di Chiusi simile fu antichissima e potentissima, fatta ne’ detti tempi, e assai prima che Roma, e fune signore e re Procena, che col re Tarquino scacciato di Roma fu ad assediare Roma, come racconta Tito Livio.
XVIII Della città di Volterra.
La città di Volterra prima fu chiamata Antonia, e fu molto antica, fatta per gli discendenti d’Italia; e, secondo che si leggono i ramanzi, indi fu il buono Buovo d’Antonia.
XIX Della città di Siena.
La città di Siena è assai nuova città, ch’ella fu cominciata intorno agli anni di Cristo VIcLXX, quando Carlo Martello, padre del re Pipino di Francia, co’ Franceschi andavano nel regno di Puglia in servigio di santa Chiesa a contastare una gente che si chiamavano i Longobardi, pagani, e eretici, e ariani, onde era loro re Grimaldo di Morona, e facea suo capo in Benivento, e perseguitava gli Romani e santa Chiesa. E trovandosi la detta oste de’ Franceschi e altri oltramontani ov’è oggi Siena, si lasciaro in quello luogo tutti gli vecchi e quegli che non erano bene sani, e che non poteano portare arme, per non menarglisi dietro in Puglia; e quegli rimasi in riposo nel detto luogo, vi si cominciaro ad abitare, e fecionvi due residii a modo di castella, ove è oggi il più alto della città di Siena, per istare più al sicuro; e l’uno abitacolo e l’altro era chiamato Sena, dirivando di quegli che v’erano rimasi per vecchiezza. Poi crescendo gli abitanti, si raccomunò l’uno luogo e l’altro, e però secondo gramatica si diclina in plurali: pluraliter nominativo hee Sene. E dapoi a più tempo crescendo, in Siena ebbe una grande e ricca albergatrice chiamata madonna Veglia. Albergando in suo albergo uno grande legato cardinale che tornava delle parti di Francia a la corte a Roma, la detta donna gli fece grande onore, e non gli lasciò pagare nulla spensaria. Il legato, ricevuta cortesia, la domandò se in corte volesse alcuna grazia. Richieselo la donna divotamente che per lo suo amore procurasse che Siena avesse vescovado; promisele di farne suo podere, e consigliolla che facesse che ’l Comune di Siena facesse ambasciadori, e mandasse al papa a procurallo; e così fu fatto. Il legato sollecitando, il papa udì la petizione, e diede vescovo a’ Sanesi, e ’l primo fu messer Gualteramo. E per dotare il vescovado, si tolse una pieve al vescovado d’Arezzo, e una a quello di Perugia, e una a quello di Chiusi, e una a quello di Volterra, e una a quello di Grosseto, e una a quello di Massa, e una a quello d’Orbivieto, e una a quello di Firenze, e una a quello di Fiesole; e così ebbe Siena vescovado, e fu chiamata città: e per lo nome e onore de la detta madonna Veglia, per cui fu prima promossa e domandata la grazia, sì fu sempre sopranomata Siena la Veglia.
XX Torna la storia a’ fatti della città di Firenze, e come santo Miniato vi fu martorizzato per Decio imperadore.
Dapoi che brievemente avemo fatta alcuna menzione de le nostre città vicine di Toscana, torneremo a nostra materia a raccontare de la nostra città di Firenze; e sì come innarrammo dinanzi, la detta città si resse grande tempo al governo e signoria degl’imperadori di Roma, e spesso venieno gl’imperadori a soggiornare in Firenze quando passavano in Lombardia, e ne la Magna, e in Francia al conquisto delle province. E troviamo che Decio imperadore l’anno suo primo, ciò fu gli anni di Cristo CCLII, essendo in Firenze sì come camera d’imperio, dimorandovi a suo diletto, e il detto Decio perseguitando duramente i Cristiani dovunque gli sentiva e trovava, udì dire come il beato santo Miniato eremita abitava presso a Firenze con suoi discepoli e compagni, in una selva che si chiamava Arisbotto fiorentina, di dietro là dove è oggi la sua chiesa sopra la città di Firenze. Questo beato Miniato fu figliuolo del re d’Erminia primogenito, e lasciato il suo reame per la fede di Cristo, per fare penitenzia e dilungarsi dal suo regno passò di qua da mare al perdono a Roma, e poi si ridusse nella detta selva, la quale allora era salvatica e solitaria, però che la città di Firenze non si stendea né era abitata di là da l’Arno, ma era tutta di qua, salvo che uno solo ponte v’avea sopra l’Arno, non però dove sono oggi, ma si dice per molti ch’era l’antico ponte de’ Fiesolani, il quale era da Girone a Candegghi: e quella era l’antica e diritta strada e cammino da Roma a Fiesole, e per andare in Lombardia e di là da’ monti. Il detto Decio imperadore fece prendere il detto beato Miniato, come racconta la sua storia: grandi doni e proferte gli fece fare, sì come a figliuolo di re, acciò che rinegasse Cristo; e elli costante e fermo nella fede non volle suoi doni, ma sofferse diversi martiri; a la fine il detto Decio gli fece tagliare la testa ove è oggi la chiesa di Santa Candida a la Croce al Gorgo; e più fedeli di Cristo ricevettono martirio in quello luogo. E tagliata la testa del beato Miniato, per miracolo di Cristo co le sue mani la ridusse al suo imbusto, e co’ suoi piedi andò e valicò l’Arno, e salì in sul poggio dove è oggi la chiesa sua, che allora v’avea uno piccolo oratorio in nome del beato Piero Appostolo, dove molti corpi di santi martiri furono soppelliti; e in quello luogo santo Miniato venuto, rendé l’anima a Cristo, e il suo corpo per gli Cristiani nascosamente fu ivi soppellito; il quale luogo per gli meriti del beato santo Miniato da’ Fiorentini, dapoi che furono divenuti Cristiani, fue divotamente venerato, e fattavi una picciola chiesa al suo onore. Ma la grande e nobile chiesa de’ marmi che v’è oggi a’ nostri tempi troviamo che fue poi fatta per lo procaccio del venerabile padre messere Alibrando vescovo e cittadino di Firenze negli anni di Cristo MXIII, cominciata a dì XXVI del mese d’aprile per comandamento e autorità del cattolico e santo imperadore Arrigo secondo di Baviera e della sua moglie imperatrice santa Cunegonda che in quegli tempi regnava, e diedono e dotarono la detta chiesa di molte ricche posessioni in Firenze e nel contado per l’anime loro, e feciono reparare e reedificare la detta chiesa, sì come è ora, di marmi; e feciono traslatare il corpo del beato Miniato nell’altare il qual è sotto le volte de la detta chiesa con molta reverenza e solennità fatta per lo detto vescovo e chericato di Firenze, con tutto il popolo uomini e donne de la città di Firenze; ma poi per lo Comune di Firenze si compié la detta chiesa, e si feciono le scalee de’ macigni giù per la costa, e ordinaro sopra la detta opera di Santo Miniato i consoli dell’arte di Calimala, e che l’avessono in guardia.
XXI Come santo Crisco e’ suoi compagni furono martirizzati nel contado di Firenze.
Ancora in quegli tempi di Decio imperadore, dimorando il detto Decio in Firenze, fece perseguitare il beato Crisco con suoi compagni e discepoli, il quale fu delle parti di Germania gentile uomo, e faceva penitenzia con santo Miniato, prima nella selva d’Arisbotto detta di sopra, e poi in quelle selve di Mugello ov’è oggi la sua chiesa, cioè San Cresci a Valcava; e in quello luogo egli co’ suoi seguaci da’ ministri di Decio furono martirizzati. Avemo raccontate le storie di questi due santi, acciò che s’abbiano in reverenza e in memoria a’ Fiorentini, sì come per la fede di Cristo in questa nostra contrada furono martirizzati, e sono i loro santi corpi. Bene troviamo noi per più antiche croniche che al tempo di Nerone imperadore nella nostra città di Firenze e nella contrada prima fu recata da Roma la verace fede di Cristo per Frontino e Paulino discepoli di santo Piero, ma ciò fu tacitamente e in pochi fedeli, per paura de’ vicarii e proposti degl’imperadori, ch’erano idolatri, e perseguivano li Cristiani dovunque gli trovavano; e così dimoraro infino al tempo di Gostantino imperadore e di santo Silvestro papa.
XXII Di Gostantino imperadore e de’ suoi discendenti, e le mutazioni che ne furono in Italia.
Troviamo che la nostra città di Firenze si resse sotto la guardia dello imperio de’ Romani intorno di CCCL anni, dapoi che prima fu fondata, tenendo legge pagana e cultivando l’idoli, con tutto che assai v’avesse de’ Cristiani per lo modo ch’è detto, ma dimoravano nascosi in diversi romitaggi e caverne di fuori da la città, e quegli ch’erano dentro non si palesavano Cristiani per la tema delle persecuzioni che gl’imperadori di Roma, e de’ loro vicari e ministri facevano a’ Cristiani, infino al tempo del grande Gostantino figliuolo di Gostantino imperadore, e d’Elena sua moglie figliuola del re di Brettagna, il quale fu il primo imperadore cristiano, e adotò la Chiesa di tutto lo ’mperio di Roma, e diede libertà a’ Cristiani al tempo del beato Silvestro papa, il quale il battezzò e fece Cristiano, mondandolo della lebbra per virtù di Cristo; e ciò fu negli anni di Cristo intorno CCCXX. Il detto Gostantino fece fare in Roma molte chiese all’onore di Cristo, e abattuti tutti li templi del paganesimo e dell’idoli, e riformata la santa Chiesa in sua libertà e signoria, e ripreso il temporale dello ’mperio della Chiesa sotto certo censo e ordine, se ne andò in Costantinopoli, e per suo nome così la fece nominare, che prima avea nome Bisanzia, e misela in grande stato e signoria: e di là fece sua sedia, lasciando di qua nello ’mperio di Roma suoi patrici, overo censori, cioè vicarii, che difendeano e combatteano per Roma e per lo ’mperio. Dopo il detto Gostantino, che regnò più di XXX anni tra nello ’mperio di Roma e in quello di Gostantinopoli, e’ rimasono di lui tre figliuoli, Gostantino, e Gostanzio, e Costante, i quali tra·lloro ebbono guerra e dissensione, e l’uno di loro era Cristiano, ciò fue Gostantino, e l’altro eretico, ciò fue Gostanzio, e perseguitò i Cristiani d’una resia che si cominciò in Gostantinopoli per uno chiamato Arrio, la quale per lo suo nome si chiamò ariana, e molto errore sparse per tutto il mondo e nella Chiesa di Dio. Questi figliuoli di Gostantino per la loro dissensione guastarono molto lo ’mperio di Roma e quasi abandonaro, e d’allora innanzi sempre parve che andasse al dichino e scemando la sua signoria: e cominciaro ad essere due e tre imperadori a una volta, e chi signoreggiava in Gostantinopoli, chi lo ’mperio di Roma, e tale era Cristiano, e tale eretico ariano, perseguitando i Cristiani e la Chiesa; e durò molto tempo, e tutta Italia ne fu maculata. Degli altri imperadori passati, e di quegli che furono poi, non facciamo ordinata memoria, se non di coloro che pertengono a nostra materia; ma chi per ordine gli vorrà trovare, legga la cronica martiniana, e in quella gl’imperadori e li papa che furono per gli tempi troverrà ordinatamente.
XXIII Come la fede cristiana fu prima nella città di Firenze.
Nel tempo che ’l detto grande Gostantino si fece Cristiano, e diede signoria e libertà a la Chiesa, e santo Silvestro papa regnò nel papato palese in Roma, si sparse per Toscana e per tutta Italia, e poi per tutto il mondo la vera fede e credenza di Gesù Cristo. E nella nostra città di Firenze si cominciò a coltivare la verace fede, e abbattere il paganesimo al tempo di... che ne fu vescovo di Firenze, fatto per Silvestro papa; e del bello e nobile tempio de’ Fiorentini, ond’è fatta menzione adietro, i Fiorentini levaro il loro idolo, il quale appellavano lo Idio Marti, e puosollo in su un’alta torre presso al fiume d’Arno, e nol vollono rompere né spezzare, però che per loro antiche memorie trovavano che il detto idolo di Marti era consegrato sotto ascendente di tale pianeta, che come fosse rotto o commosso in vile luogo, la città avrebbe pericolo e danno, e grande mutazione. E con tutto che i Fiorentini di nuovo fossono divenuti Cristiani, ancora teneano molti costumi del paganesimo, e tennero gran tempo, e temeano forte il loro antico idolo di Marti; sì erano ancora poco perfetti nella santa fede. E ciò fatto, il detto loro tempio consecrato all’onore d’Iddio e del beato santo Giovanni Batista, e chiamarlo Duomo di Santo Giovanni; e ordinaro che si celebrasse la festa il dì della sua nativitade con solenni oblazioni e che si corresse uno palio di sciamito; e sempre per usanza s’è fatto in quello giorno per gli Fiorentini. E feciono fare le fonti del battesimo in mezzo del tempio ove si battezzavano le genti e’ fanciulli, e fanno ancora; e ’l giorno di sabato santo, che si benedice ne le dette fonti l’acqua del battesimo e il fuoco, ordinato che·ssi spandesse il detto fuoco santo per la città a modo che si faceva in Gerusalem, che per ciascuna casa v’andasse uno con una faccellina ad accendere. E di quella solennità venne la dignità ch’hanno la casa de’ Pazzi de la grande faccellina, intorno fa di CLXX anni dal MCCC anni addietro, per uno loro antico nomato Pazzo, forte e grande della persona, che portava la maggiore faccellina che niuno altro, e era il primo che prendea il fuoco santo, e poi gli altri da lui. Il detto Duomo si crebbe, poi che fue consecrato a Cristo, ove è oggi il coro e l’altare del beato Giovanni; ma al tempo che ’l detto Duomo fu tempio di Marti, non v’era la detta agiunta, né ’l capannuccio, né la mela di sopra; anzi era aperto di sopra al modo di Santa Maria Ritonda di Roma, acciò che il loro idolo Idio Marti ch’era in mezzo al tempio fosse scoperto al cielo. Ma poi dopo la seconda redificazione di Firenze nel MCL anni di Cristo, si fece fare il capannuccio di sopra levato in colonne, e la mela, e la croce dell’oro ch’è di sopra, per li consoli dell’arte di Calimala, i quali dal Comune di Firenze ebbono in guardia la fabbrica della detta opera di Santo Giovanni. E per più genti che hanno cerco del mondo dicono ch’elli è il più bello tempio, overo duomo, del tanto che si truovi: e a’ nostri tempi si compié il lavorio delle storie a moises dipinte dentro. E troviamo per antiche ricordanze che la figura del sole intagliata nello ismalto, che dice: «En giro torte sol ciclos, et rotor igne», fu fatta per astronomia; e quando il sole entra nel segno del Cancro, in sul mezzogiorno, in quello luogo luce per lo aperto di sopra ov’è il capannuccio.
XXIV Della venuta di Gotti e di Vandali in Italia, e come distrussono il paese e assediaro la città di Firenze al tempo di santo Zenobio vescovo di Firenze.
Dapoi che ello ’mperio de’ Romani si traslatò di Roma in Grecia per Gostantino, e quasi fu partito, e talora abandonato per gli suoi successori, venne molto scemando. Per la qual cosa negli anni di Cristo circa IIIIc, regnando nello ’mperio di Roma e di Gostantinopoli Arcadio e Onorio figliuoli di Teodosio, una gente barbera delle parti tra ’l settentrione e levante, delle province che si chiamano Gozia e Svezia, di là dal fiume del Danubio, scese uno signore ch’ebbe nome Alberigo re de’ Gotti, con grande seguito della gente di quegli paesi, e per loro forza passaro in Africa, e distrussolla in grande parte, e tornando in Italia, per forza distrussono grande parte di Roma, e la provincia d’intorno ardendo, e uccidendo chiunque loro si parava innanzi, sì come gente pagana e sanza alcuna legge, volendo disfare e abbattere lo ’mperio de’ Romani; e in grande parte il consumaro. E poi, negli anni di Cristo IIIIcXV intorno, Rodagio re de’ Gotti, successore del detto Alberigo, ancora passò in Italia con innumerabile esercito di gente; venne per distruggere la città di Roma, e guastò molto della provincia di Lombardia e di Toscana. Per la detta cagione gli Romani veggendosi così aflitti, e forte temendo del detto Rodagio che già era in Toscana, e poi si puose all’asedio della loro città di Firenze, mandato per soccorso in Gostantinopoli a lo ’mperadore. Per la qual cosa Onorio imperadore venne in Italia per soccorrere lo ’mperio di Roma, e coll’oste de’ Romani venne in Toscana a la città di Firenze per contastare il detto Rodagio, overo Rodagoso, il quale era all’asedio di Firenze con CCm di Gotti e più; il quale per la volontà di Dio spaventò, sentendo la venuta dello ’mperadore Onorio, si ritrassono ne’ monti di Fiesole e d’intorno, e ne le valli; e ivi ridotti in arido luogo e non proveduti di vittuaglia, assediati d’intorno a le montagne da Onorio e dall’oste de’ Romani, più per miracolo divino che per forza umana (imperciò che a comparazione de’ Gotti l’oste dello imperadore Onorio era quasi niente); ma per la fame e sete sofferta per più giorni per li Gotti, s’arendero i Gotti presi, dopo molto grande quantità prima morti di fame, i quali come bestie furono tutti venduti per servi, e per uno danaio diedono l’uno, con tutto che per la fame e disagio che aveano avuto, la maggiore parte si moriro in brieve tempo a danno de’ comperatori che gli aveano a soppellire; e Rodagaso, di nascosto fuggito de la sua oste, da’ Romani fu preso e morto. E così mostra che niuna signoria né grandezza nonn-ha fermo stato, e che non venga meno; ché sì come anticamente gli Romani andavano per l’universe parti del mondo conquistando e sottomettendosi le province e’ popoli sotto loro giuridizione, così per diversi popoli e nazioni furono aflitti e tribulati lungo tempo, come innanzi farà menzione; e quegli che lo ’mperio consumarono furono a la fine distrutti per le loro peccata.
Essendo la nostra provincia di Toscana stata in questa afflizzione, e la città di Firenze per la venuta e assedio de’ Gotti in grande tribolazione, sì era in Firenze per vescovo uno santo padre ch’ebbe nome Zenobio. Questi fu cittadino di Firenze, e fue santissimo uomo, e molti miracoli fece Idio per lui, e risucitò morti, e si crede che per gli suoi meriti la città nostra fosse libera da’ Gotti, e dopo la sua vita santa molti miracoli fece. E simile santificò co·llui santo Crescenzio e santo Eugenio suo diacano e soddiacano, i quali sono soppelliti i loro corpi santi nella chiesa di Santa Reparata, la quale prima fu nomata Santo Salvadore; ma per la vittoria che Onorio imperadore co’ Romani e co’ Fiorentini ebbono contra Rodagaso re de’ Gotti il dì di santa Reparata, fu a sua reverenza rimosso il nome a la grande chiesa di Santo Salvadore in Santa Reparata, e rifatto Santo Salvadore in vescovado, com’è a’ nostri dì. Il detto santo Zenobio morì a San Lorenzo fuori de la città, e recando il suo corpo a Santa Reparata, toccò uno olmo che era secco nella piazza dì Santo Giovanni, e incontanente tornò verde e fiorìo; e per memoria di ciò v’è oggi una croce in su una colonna in quello luogo.