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E prese, con un grande urto dei remi,
terra la nave: e gl’incliti Feaci
ne levarono prima alto l’eroe,
e su la rena del sonante mare
5lo posero. E dal sonno era domato.
Trassero quindi i tripodi squillanti
e i lebeti di bronzo ed i talenti
d’oro, ed al ceppo del frondoso olivo
li posero in un mucchio. Era nell’ombra
10notturna la lor cauta opera e il loro
tacito andare; ma nel cielo apparso
già era il mattutino astro, il più bello
degli astri, e ardeva su l’eroe dormente.
L’eroe dormiva, e non sapea più nulla
15dei molti affanni che patì nel cuore;
e dal suo mite sonno era lontano
il fragor di battaglie e di tempeste.
Ma non lontano il murmure d’un fonte,
dell’Aretusa, e non lontano l’antro
20delle ninfe e dell’api, ove le ninfe
tessean notturne su’ telai di pietra,
mentre pendean tra l’anfore e i crateri,
grappoli, con ronzii subiti, d’api.
E i longi-remi marinai Feaci
25salian la nave; indi gli scalmi in fila
sedean, tornando all’isola felice:
nel tacito crepuscolo cantando
battean co’ remi il violaceo mare;
e dalla spiaggia lontanava il canto
30tra l’alternare delle larghe ondate.
Cantavano....
coro O gran mare, che là gemi
su la spiaggia che tu baci,
che qui piangi sotto i remi
35de’ Feaci;
op oòp... op oòp...
dorme... venne di lontano;
dorme... è stanco; dorme... è vecchio;
piano cantagli all’orecchio,
40piano piano
muovi la sua culla....
Tu che piangi là soave
su chi giunge alla sua terra,
che qui dondoli la nave
45di chi erra;
op oòp... op oòp...
non gli dir col tuo frastuono
che già fuma un casolare:
buono è il sonno, o insonne mare!
50buono! buono!
dolce come il nulla.
Non gli dire, eterno mare,
ch’egli è giunto....
op oòp...
55....di lontano
....stanco ....vecchio...
piano piano
muovi la sua culla!
Dolce.... errare
60op...
dolce.... il nulla.
E il dolce canto s’annullò nell’aria;
nè più cantò che il mare su la spiaggia
con lo sciacquare dell’eterne ondate.
65E presso il cuore d’Odisseo dormente,
gemeva il fonte d’Aretusa, noto
alla sua cara fanciullezza estinta.
E nell’antro sonava il sottil fischio
delle spole immortali, e il lento tonfo
70degli immortali pettini: le ninfe
tessean tuttora su’ telai di pietra.
E nell’olivo grande, alto, fronzuto,
errava qualche squittinìo d’uccello
che s’era desto; e qualche arguta stilla
75gocciava su le nere alghe del lido:
chè la nebbietta, a ritardare il giorno,
dai cupi botri qua e là fumava,
simile a placido alito di sonno.
E l’eroe si svegliò. Sobbalzò tetro
80ai primi raggi che di tra la nebbia
uscian, dell’alba; e tutto era mutato;
e tutto gli mostrava altri sembianti:
le lunghe strade ed i tranquilli approdi,
e le rupi scoscese e i casolari
85da cui s’alzava, sfaccendando, il fumo.
E i peri e i meli gli fiorian diverso
da quel che, assenti, nella sua memoria,
gli avean per dieci e dieci anni fiorito
perennemente. E non udì nell’antro
90stridere lievi i pettini e le spole
delle sue ninfe, ed a’ suoi piedi invano
gli narrava i suoi primi anni Aretusa.
Stette e guardò la patria terra, e disse:
odisseo Ahimè!
95Che terra è questa? di qual gente? Oh forse,
che ignora il bene e che gli dei non teme!
Ad altra terra i così pii Feaci
m’hanno condotto, e sì dicean, gl’ingiusti,
di riportarmi ad Itaca serena.
100Zeus li punisca! Or dov’io vado? e dove
quelle molte ricchezze ora nascondo?
Ma ch’io le conti, che non forse alcuna
ne portin entro l’incavata nave.
Disse, e contava i tripodi squillanti
105e i lebeti di bronzo, ed il molt’oro,
e, meraviglie de’ telai, le vesti.
Nulla mancava. Ed ora egli cercava
la patria terra, e la piangeva, errando
lungo la spiaggia del sonante mare.
110od. O mia culla sorgente dal mare,
mio nido sospeso alla rupe,
te dunque non debbo trovare
mai più?
Pergamo, Pergamo,
115ardeva nel cielo corusco.
Là, rosso di sangue, nell’atrio
del re, tra le fiamme, tra gli ululi e i rantoli,
udivo il sussurro del patrio
mio fonte scorrente sul musco.
120Sui vortici, gli ululi e i rantoli,
l’idolo d’Elena Argiva!
Ne volsi lo sguardo, chè udiva,
lontano
sì, meno pur d’Elena, un canto
125di note parole
tra un murmure vano
di pettini e spole.
Io vidi la casa di Circe
guardata da mansi leoni,
130sublime, marmorea, con troni
d’argento.
Io dissi: O mia casa! O mia casa
che scricchioli al vento!
col logoro tuo limitare,
135dov’Argo s’adagia, fiutando nel mare!
La dea della notte,
perchè mi cadesse il ritorno
dal cuore,
mi diede un suo manto
140tra cui non si muore.
Ma io lo bagnava, ogni giorno,
di pianto.
Mi disse: Immortale
sarai, se rimani... — Morire!
145ma nella mia terra! morire!
vedendone, lungi, le spire
del fumo che sale.
Egli piangeva, e stava ora a lui presso
un’altocinta vergine ricciuta,
150che, rosea sorta al rosseggiar del giorno,
alla sempre corrente acqua veniva
della fontana. Ella portava in capo
un suo canestro di dedalei vinchi,
con le vesti de’ floridi fratelli,
155belle, e le sue; chè le pendea nel cuore
il dì pensoso delle nozze, quando
e pure vesti ella indossar doveva
e pure a quelli del corteo fornirle.
Stette presso l’ignoto uomo, e gli disse:
160verg. Ospite, piangi? Gran pietà, chi piange
su l’alba il pianto ch’alla sera è sacro.
Dimmi? Qual suona il nome tuo?
od. Nessuno.
Chiedi il mio chiaro nome? Ecco, Nessuno!
verg. Nessuno, e quando qui giungesti, e come?
165Giungere a terra che dall’acque è cinta,
non si dà che per nave, a chi non abbia
un remeggio di bianche ali di cigno...
od. Tu, anzi, dimmi, nè mentirmi accorta,
qual terra è questa, che dall’acque è cinta?
170buona non gia, nè grande: aspra e selvaggia;
deserta, senza voci, odo, di vita.
Diceva, e un improvviso ululo acuto
da boschi e botri si levò, di ninfe;
e dei torrenti risonò lo scroscio.
175E il grande olivo, con un frullo lieve,
versò nell’aria un pigolìo d’uccelli.
E uscian dall’antro al nuovo sol ronzando
l’api, volando al murmure del fonte.
E i meli, al mattutino urto del vento,
180piovvero i bianchi petali dei fiori.
verg. Itaca...
od. Dici? Dici?
verg. Itaca...
od. Hai detto... ?
verg. Itaca! L’isola mia poverella
ha l’aure limpide, fertili l’acque.
Non infinita... forse, ma bella
185per chi vi nacque.
od. Itaca?
verg. Ripida, forse; ma s’apre
il croco e l’iride sotto i suoi rovi.
A monte, a valle, belano capre,
mugliano bovi.
190od. Itaca?
verg. E il fragile grano vi mesce
l’oro alla porpora varia degli orti.
È aspra, dici? Forte: e ci cresce
giovani forti.
od. Itaca? E tu volesti ora mentirmi!
195verg. Quello che tremola d’alberi,
Nérito è, pieno di timo.
Quando si toma nell’isola,
Nérito corre per primo,
roseo d’un raggio d’aurora,
200verso la pallida prora.
od. Quello? ov’erravo da cieco,
ove, seguendo il mio grido,
prendere il garrulo nido
volli dell’eco?
205verg. Quello ov’è tutto quel bianco
d’alberi lunghi e fiorenti...
v’abita un vecchio re stanco,
ch’erra sul lido, tra i venti:
dicono, voglia contare
210l’onde del mare...
od. Quelli? son gli alberi grandi,
quelli che, padre, mi desti?
verg. Questo, se forse domandi,
fonte, a cui lavo le vesti
215ora, per ciò che non sai...
è l’Aretusa...
od. Non mai!
Questo? quel fonte sì limpido,
dove scendevo per bere,
stanco di caccia? E nel cerulo
220mare, qua bianche, là nere
vele vedevo, seduto
presso il suo strepito arguto.
L’acqua del fonte loquace,
l’onda dei mari lontani
225meco parlavano: — È pace
qui! sono dolce! rimani!
— Vieni; qua freme la vita!
Sono infinita!
verg. Ospite, prima ch’io l’intorbi, guarda
230se non è dunque limpida quest’acqua!
Al fonte arguto s’appressò l’eroe,
e vide sè nel puro fior dell’acque.
Arida vide la sua cute, vide
grigi i capelli, e pieni d’ombra gli occhi;
235e la fronte solcata era di rughe,
curvo il dosso, nè più molli le membra.
Vide; e rivide ciò che più non era:
sè biondo e snello, coi grandi occhi aperti.
Rivide nella stessa onda, e compianse,
240la sua lontana fanciullezza estinta.
Ma la fanciulla già nell’acqua pura
ponea le vesti e le tergea; cantando,
ma d’ora in ora; poi ch’il dì pensoso
delle sue nozze le pendea nel cuore.
245E presso la sonante opera accorta
della fanciulla, il reduce Odisseo
tutto conobbe, poi che sè conobbe;
ed alla patria protendea le braccia:
od. Io era, io era mutato!
250Tu, patria, sei come a quei giorni!
Io sì, mio soave passato,
ritorno; ma tu non ritorni...
verg. Chi su la rama, fiore, ti coglie,
t’ama o non t’ama?
— Dimmelo tu!
255od. Qualcosa, la nebbia, che muore,
tra gli occhi e le cose che amai,
fa ch’ora riveda il mio cuore
ciò ch’ei non riviva più mai...
verg. Fiore, se perdi l’esili foglie,
260le metti più?
— Mai più! Mai più!
E le ninfe divine, anime verdi
d’alberi, cristalline anime d’acque,
avean pietà del vecchio eroe, che pianse
quando non vide, e pianse quando vide.
265coro Coi vecchi nostri canti che sai,
voci di cose piccole e care,
t’addormiremo, vecchio; e potrai
ricominciare.
E quando il mare, nella tua sera,
270mesto nell’ombra manda il suo grido,
sciogliere ancora potrai la nera
nave dal lido.
Vedrai le terre de’ tuoi ricordi,
del tuo patire dolce e remoto:
275là resta, e il molto dolce là mordi
fiore del loto.
Sarai qui presso. Rotto il tuo remo
sopra il tuo capo stanco sarà.
Sul tuo sepolcro noi canteremo
280la tua lontana felicità.