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DIALETTO OMERICO.
Il dialetto usato da Omero è l’ionico, frammischiato qua e là di qualche forma propria del dialetto eolico; d’onde l’opinione di alcuni dotti, più ingegnosa che vera, che i due poemi fossero dapprima composti in eolico, poi venissero rimaneggiati secondo il dialetto ionico. D’altra parte la ragione di questo eolismo che qualche volta si manifesta in mezzo all’ionismo prevalente e costante, non è facile a trovarsi.
Ora diremo brevemente, e tenendo solo conto dei fatti linguistici piú comuni, delle proprietà del dialetto omerico. I fenomeni particolari, che sono numerosissimi e svariatissimi, saranno illustrati a mano a mano che si presenteranno nel testo.
§ 1. — Vocali.
mutamenti.
1. | η | per | α lunga | : σοφίη = σοφία. |
2. | ει | » | ε | : ξεῖνος — ξένος. |
3. | ου | » | ο | : μοῦνος — μόνος. |
perdita di vocali - dieresi.
4. | Una vocale può andar perduta:
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5. | Alle volte i dittonghi, per ragioni metriche, vengono divisi nei loro due elementi (dieresi): ἐυ = εὖ; πάις = παῖς; Ἀτρεΐδης = Ἀτρείδης. |
contrazione.
6. | a. | La contrazione spesso non ha luogo in Omero: Ἀτρείδαο — Ἀτρείδου; πυλάων = πυλῶν; ἄλγεα = ἄλγη. | ||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
b. | I verbi in -έω raramente contraggono le sillabe e solamente εε ed έει in ει, εο ed έου in ευ: δατεῦντο. | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
c. | I verbi in -άω: 1. o contraggono come nell’attico;
Esempi.
Secondo αγ. ὁράω — ὁρόω. Il primo suono si assimila al secondo; la vocale più cupa fa simile a sé la più chiara. Secondo βγ. μενοινάει — μενοινάᾳ. Il secondo suono si assimila al primo; la vocale più chiara ε alla più cupa α. Secondo δε. ἡβάουσα — ἡβώωσα. Secondo δ, il dittongo ου ha allungato la vocale iniziale ed ha perduto la finale; secondo ε. αου, diventata οω, passa in ωω per via della sillaba lunga contenente l’η. Secondo δε. ἡβάοιμι — ἡβώῳμι. Secondo δ. οι è divenuto ῳ, secondo ε. α passa in ω, per via dell’η che precede. Secondo γε. μητῐάοντες = μητῐόωντες. Secondo γ. di αο si è fatto οο; secondo ε. l’οο è diventato οω per via della sillaba breve che precede l’α.
Esempi.
ἱδρόοντα — ἱδρῳοντα. (La sillaba che precede l’ο è lunga). δηιόοιεν — δηιόῳεν. (La sillaba che precede l’ο, cioè l’ι è breve). ἱδρόουσα — ἱδρώουσα. (Qui il dittongo ου è rimasto inalterato; solo l’ο si è mutato in ω, perché la sillaba antecedente è lunga.
§ 2. — Consonanti.
2. Perdita della consonante iniziale: αἶα = γαῖα (γῆ). 3. Metatesi: θράσος e θάρσος. 4. Raddoppiamento delle mute, delle liquide e del σ: ὅππως = ὅπως; ὅττι = ὅτι; ἔλλαβον — ἔλαβον; τόσσος = τόσος. § 3. — Declinazione.
Osservazioni. — Alcuni nomi della 1ª declinazione hanno al nominat. sing. oltre che quella in -ης la desinenza in -ᾰ: αἰχμητής ed αἰχμητά; ἱππηλάτης e ἱππηλάτα, ecc. I sostantivi in -εύς (come βασιλεύς, tema βασιλεϝ-) per la caduta del digamma allungano l’ε del tema; βασιλῆος, Πηλῆος, ecc. I temi in -ι mantengono quasi sempre l’ι; così: πόλις, πόλιος, ecc. Alcuni nomi anomali hanno in Omero una flessione propria, come γόνυ, δόρυ, νηῦς (ναῦς), υἱός, ecc.; e gli aggettivi πολύς, εύς: faremo notare le loro singolarità via via che si incontreranno.
§ 4. — Suffissi che hanno il valore di desinenze di casi.
1. Per lo strumentale, il locativo e l’ablativo, trovasi in Omero il suffisso -φι ο -φιν; βίηφι, con forza; ἐσχαρόφι, sul focolare, ecc. 2. Per il genit. e l’ablat. il suffisso -θεν (che del resto è anche in attico). 3. Per il locativo i suffissi -θι ed -ι come οἴκοθι, οἶκοι, χαμαί. 4. Per indicare moto a luogo i suffissi -δε, -δις, -σε, come ἀγορήνδε, ἄλλυδις, ἄλλοσε.
§ 5. — Aggettivi.
1. Trovasi tanto σιδήρειος quanto σιδήρεος, χρύσειος e χρύσεος. 2. Gli agg. in -ύς hanno qualche volta il femm. in έη, έα, come βαθέη, ὠκέα. Di εὐρύς l’accus. è tanto εὐρέα quanto εὐρύν. 3. Quanto ai comparativi e superlativi noteremo solo che sono più frequenti che in attico le desinenze in -ίων, -ιστος. Faremo osservare a suo luogo le specialità di questa parte grammaticale.
§ 6. — Pronomi.
1. Pronomi personali. — Molta ricchezza di forme hanno in Omero i pronomi di 1ª, 2ª e 3ª persona; ecco la tabella di quelle che sono particolari del dialetto omerico.
3. Pronomi dimostrativi:
Osservazione. — Come pronome dimostrativo, Omero usa generalmente ὁ, ἡ, τό, che non è ancora divenuto articolo, ed ha conservato il suo valore originario. 4. Pronomi relativi. — Sono in Omero pronomi relativi ὅς ἥ, ὅ ed ὅς, ἥ, τό; Gen. sing. ὅου, ὅο ed ἕης. Per ὅστις nota:
6. Omero non fa uso del pronome riflessivo ἐμαυτοῦ, ecc. e ricorre per lo più al pron. pers. αὐτός, per es. ἔμ᾽ αὐτόν, ἐμοί αὐτῷ, ecc. Osservazione. — Data tanta ricchezza e somiglianza di forma nei pronomi, bada a non confonderli; e osserva:
§ 7. — Verbo. Desinenze particolari del verbo.
8. — I tempi del verbo. AUMENTO E RADDOPPIAMENTO.
L’aumento spesso manca alle forme dei tempi storici, e questo pare provenga da ragioni metriche o di eufonia. I verbi che cominciavano col digamma conservano anche l’aumento sillabico: ἔαξε, ἔειπον, ἕηκε (ed anche ἧκε), ecc. Il cosiddetto raddoppiamento attico si trova in Omero piú spesso che nel dialetto attico; per es. ἄρηρα, ἀκάχημαι, ἐρηρέδαται, ἐρέριπτο. Aoristo.
1. Aoristo I attivo e medio. Trovasi il σ raddoppiato, come in ὄλεσσας, τέλεσσα. Molti verbi liquidi hanno l’aoristo sigmatico: ἔλσα, ἔκελσα, ἔκυρσα, ὦρσα. 2. Aor. II attivo e medio. Esso ha spesso un raddoppiamento con e senza aumento: πεπιθεῖν, ἔπεφνε, (ἐ)πέφραδε. L’aoristo asigmatico è più frequente in Omero che in attico: ἔτραφον, ἔδρακον, ἔπραθον (ved. sopra aor. II con raddoppiamento). Anche dei verbi in -άω ed in -έω si trovano forme asigmatiche, come μύκε, ἔκτυπον, ἔστυγον. Si trova spesso l’aor. II senza vocale tematica, come ἔκτα, κλῦθι, οὖτα, βλῆτο, γέντο, δέχθαι, λύτο, κτίμενος, χύτο. Lo stesso verbo può avere la forma dell’aor. debole e quella del forte: ἄλτο ed ἐσήλατο, ἤκαχε ed ἀκάχησε, ἐδέγμην ed ἐδέξατο, κύθε ed ἐπικεύσῃς, ἔστυγον ed ἔστυξα, ecc. 3. Aoristo misto è quello che ha la vocale tematica propria dell’aoristo II e la caratteristica (il σ) dell’aoristo I: ἄξετε, ἐβήσετο, ἐδύσετο, δυσομένου, ἷξον, λέξεο, οἶσε, οἰσέμεν, οἰσέμεναι. 4. Aoristo passivo. Sulla desinenza della 3a plur. -εν, invece di -ησαν, ved. § 7.
Futuro, Perf. e Piuccheperf.
§ 9. — Forme iterative.
Sono in Omero frequenti le desinenze iterative, per le quali il verbo indica la ripetizione di un’azione nel tempo passato (sono proprie solo dell’imperfetto e dell’aoristo). Le forme iterative terminano in -σκον, o in -σκόμην. Queste terminazioni si attaccano al verbo in due modi:
§ 10. — Preposizioni.
1. Apocope. Per essa alcune prep. perdono la loro vocale breve finale. Tali prep. sono ἀνά, κατά, παρά, ἀπό, ὑπό; così leggesi ἄν-τιτος (ἀνά + τίνώ), κάτ-θανε, πάρ-θεσαν, ἀπ-πέμψει. La consonante finale di ἀν, κατ, ὑπ si assimila quanto più è possibile alla consonante che segue; ἄμ φόνον = ἀνά φόνον; κάδ δέ = κατά δέ; e così ἄμ–μίξας, κάβ-βαλε, κάλ-λιπε, ὑβ-βάλλειν, ecc. 2. Tmesi (τμῆσις, τέμνω, taglio, divido) chiamasi quella divisione a cui va soggetto il verbo composto con preposizione, per la quale essa preposizione si stacca dal verbo. 3. Notiamo qui finalmente alcune forme secondarie di preposizioni che leggiamo in Omero:
REGOLE DI SINTASSI § 11. — Uso dei casi.
1. Trovasi l’accusativo del moto a luogo senza preposizione: ἔρχεσθον κλισίην «andarono alla tenda». 2. Il genitivo può rispondere alla domanda dove? indicante stato in luogo: νέφος οὐ φαίνετο πάσης γαίης «su tutta la terra»; ἔρχονται πεδίοιο. 3. Il dativo solo può indicare o stato in luogo, o piú raramente, moto a luogo: Ζεῦ κύδιστε, αἰθέρι ναίών «Giove gloriosissimo che abiti nell’etra». Χεὶρ πεδίῳ πέσε «la mano cadde a terra». Confrontalo con l’oraziano: demissus Orco. § 12. — Preposizioni.
1. La natura avverbiale delle preposizioni, oltre che nella tmesi (§ 10, 2), si rivela anche altrove e specialmente quando è congiunta con δέ: ἐν δέ «e dentro, ed in»; σύν δέ «e insieme»; πρός δέ «e inoltre»; μετά δέ, ecc.; da notarsi περί «intorno, sopra ogni altro, assai». 2. Le prep. bisillabe (eccettuate ἀνά, διά, ἀμφί, ἀντί, ὑπαί, παραί ed ὑπείρ) ritirano il loro accento, quando sono posposte al nome o al verbo a cui appartengono. Questo fenomeno, detto anastrofe, che nella prosa avviene quasi esclusivamente con περί, in Omero è assai frequente: νεῶν ἄπο, θεοῦ πάρα, πολέμῳ ἔνι, ὦρσεν ἔπι, φυγών ὕπο, ecc. Quando una prep. trovasi fra il sostantivo ed altra voce che gli appartenga, l’anastrofe ha luogo solo quando preceda il sostantivo: ὕπνῳ ὕπο γλυκερῷ; ma σῇς ὑπὸ χερσίν. 3. L’anastrofe non ha luogo quando la prep. va soggetta all’elisione. § 13. — Il Verbo.
a) Il medio ha qualche volta valore attivo: ὁρῶμαι = ὁρῶ; qualche volta anche passivo: βλῆτο — ἐβλήθη. b) Per sostituire il futuro passivo che manca, s’adopera il futuro medio oppure il futuro esatto; τελέσθαι ὀίω «credo che si adempirà»; τετελεσμένον ἔσται «sarà adempito». }}
a) Il congiuntivo è adoperato come modo dell’aspettazione con o senza la particella ἄν (κέν) e corrisponde al futuro indicativo: ἐγώ δέ κε λαόν ἀγείρω «ed io radunerò il popolo»; καί ποτέ τις εἴπῃσιν «ed uno dirà». b) L’infinito è usato: 1) con valore consecutivo-finale: πεζοὺς στῆσεν ἕρκος ἔμεν πολέμοιο «collocò dei pedoni perché fossero baluardo della guerra»; μέγα ῥέξας τι καὶ ἐσσομένοισι πυθέσθαι «fare qualche cosa di grande sí che sia conosciuto anche dai futuri»; 2) con valore di imperativo o di ottativo: αὐτὸς ἀκουέμεν «odimi tu»; Ζεῦ ἄνα, Τηλέμαχόν μοι ἐν ἀνδράσιν ὄλβιον εἶναι «Giove re, che il mio Telemaco sia felice fra gli uomini».
§ 14. — Dalla particella ἄν in Omero.
Osservazione. — Nota le seguenti differenze di forma fra alcune particelle attiche e le omeriche, ed i loro composti:
1. La particella ἄν (κέν), a differenza dell’uso attico, si trova in Omero: a) coll’indicativo futuro: οὐδέ κέ τις θάνατον ἀλύξει «nessuno potrà sfuggire la morte». Per alcuni non è un futuro, almeno in certi casi, ma un aoristo congiuntivo colla vocale modale breve, il quale spesso in Omero ha forma di futuro. b) spesso nelle prop. finali: μὴ μ’ ἐρέθιζε, σαώτερος ὥς κε νέηαι «non m’irritare, perché tu possa ritornare più sano e salvo». c) nella protasi del periodo ipotetico della possibilità: εἰ τούτω κε λάβοιμεν... d) nell’ottativo desiderativo: εἴ κεν μίμνοις «possa tu restare». 2. La particella ἄν può mancare in Omero ne’ casi seguenti: a) nell’ottativo potenziale: ῥεῖα θεός.... ἄνδρα σαώσαι «facilmente un dio potrebbe salvare un uomo». b) in altri casi ne’ quali sarebbe usata nell’attico; cosí εἰ col congiuntivo per εάν; ὅς col cong. per ὅς ἄν, πρίν col cong. per πρίν ἄν, ecc.
§ 15. – Il verso omerico.
1. Il verso della poesia d’Omero è l’esametro, detto anche esametro eroico. Come i canti epici, come il loro dialetto, così il loro metro, quale è a noi pervenuto, è il risultato ultimo di un lungo processo anteriore. Certo il verso dell’Iliade e dell’Odissea deve essere stato in origine differente e più semplice dell’attuale, e, come la stessa poesia conserva in sé le tracce della sua forma primitiva, i medesimi indizi trovarono i dotti in questo antico monumento dell’ingegno greco; ma non s’accordano intorno alla sua struttura. 2. L’esametro omerico, come dice il nome, consta di sei metri o misure, vale a dire di sei piedi i cui primi cinque sono dattili o spondei; l’ultimo poi è uno spondeo o un trocheo, perché l’ultima sillaba può essere breve o lunga (anceps). Ogni piede consta di due parti: la parte forte che indica un’elevazione della voce, la parte debole che indica un abbassamento. La parte forte si suole chiamare da molti arsi, la debole tesi, quantunque altri, e forse con più ragione, partendosi dal movimento del piede o del pollice nel battere il tempo, chiamano tesi la parte forte ed arsi la parte debole. — Noi seguiteremo a chiamare arsi la parte forte e tesi la debole. Notiamo l’arsi con un accento acuto. Ecco i piedi adoperati nell’esametro omerico: il dattilo _́ ‿‿ ; lo spondeo _́ _; il trocheo _́ ‿, solo alla fine del verso. Nota. — Nell’esametro omerico una lunga equivale a due brevi; il suono del dattilo può corrispondere ad una parola italiana sdrucciola di tre sillabe, per es. a móbile; lo spondeo ad una piana di due, per es. a lénto. Nel leggere il verso omerico, ed è facile poterlo fare dopo breve esercizio, bisogna guardarsi dal dare a tutte le sillabe la medesima intonazione; non si deve leggere per es. il principio del primo verso dell’Iliade μῆνιν ἄειδε θεά .... _́‿‿ _́‿‿ ‿, ma cercar di dare alle arsi più prolungata intonazione. 3. Nell’esametro i primi quattro piedi possono essere o dattili o spondei, nel quinto è per lo più evitata la contrazione delle due brevi nella lunga, cioè vi si trova di regola un dattilo. Schema di un esametro:
Esempio di un esametro composto di tutti dattili, eccetto l’ultimo piede (è il primo verso dell’Odissea):
4. Quando la parte (κῶλον) di un verso finisce colla fino della parola, questo fatto chiamasi dieresi (διαίρεσις): _́ ‿ ‿ | _́ ‿ ‿ . Quando invece un piede è tagliato dalla fine di una parola e dall’incominciare di un’altra che segua immediatamente, cosicché in questo punto della divisione finisce una parte del verso e ne incomincia un’altra, questo fatto chiamasi cesura (τομή, affine a τέμνω, tagliare); la indicheremo col segno ||. La cesura più comune è quella che cade dopo l’arsi del terzo piede. Siccome cade dopo cinque mezze parti di piedi, chiamasi pentemimera (πενθημιμερὴς τομή). Se cade subito dopo l’arsi è detta mascolina, se in mezzo alla tesi, nel caso che il terzo piede sia un dattilo, femminile. 1. Esempio di cesura pentemimera mascolina (Od., I, 2):
2. Esempio di cesura pentemimera femminile (Od., I, 1):
3. Può anche darsi che la cesura cada dopo l’arsi del quarto piede; allora la cesura è detta eftemimera, cioè cade dopo sette (ἑπτά) mezze parti di piede. In tal caso si può trovare anche una cesura dopo l’arsi del secondo piede. Il verso è diviso non in due, ma in tre κῶλα. Esempio (Od., III, 79):
Vi sono anche altre combinazioni di cesure. Nota. — Quando si legge un esametro e si arriva ad una cesura, bisognerà fare una piccola pausa, ed appoggiare il resto del piede all’arsi susseguente.
§ 16. — Quantità delle sillabe.
1. Le vocali naturalmente brevi sono ε ed o; le naturalmente lunghe η, ω; α, ι, υ sono ora brevi ora lunghe. È breve quella sillaba che ha una vocale breve alla quale segue un’altra vocale od una semplice consonante: ἄ–ι–στος, γαμέω; qui abbiamo un ᾰ. 2. È lunga la sillaba che contiene: a) una vocale lunga per natura; b) quella che contiene un dittongo od una vocale nata da una contrazione: ναῦς, ἄκων da ἀέκων. 3. Una vocale lunga che sta in fine di parola si può accorciare davanti a vocale, ma quando trovasi nella tesi:
4. Una sillaba può essere lunga per posizione, quando alla sillaba breve tengono dietro due consonanti, oppure consonanti doppie (ζ, ξ, ψ); e basta che seguano due cons., anche se sono tutt’e due della voce seguente. Se le due consonanti sono una muta ed una liquida, la sillaba antecedente può essere breve.
5. Può darsi che la sillaba diventi lunga per posizione, sebbene in apparenza non sembri, quando la voce seguente cominciava: a) con un digamma, od aveva un digamma nelle prime due lettere (Ϝ= lat. v). Nei nostri testi il digamma generalmente non si scrive, ma nei tempi in cui sorsero le poesie omeriche era pronunziato: Ϝέαρ, ver; Ϝεσθής, vestis; Ϝείκοσι, viginti; Ϝίς, vis; Ϝοῖνος, vinum; δϜεινός = δεινός. b) oppure con σ o solo o accompagnato dal digamma (σϜ) per es. σϜός, suus; σϜεκυρός, socer. c) davanti a δ, π, a σ, alle liquide, che dopo vocali brevi o possono essere pronunziate come raddoppiate, o possono essere tali: ἔλλαβε; ἐπ(π)εί; ἐνί (μ)μεγάροισιν; Ἀχιλλεύς ed Ἀχιλεύς; ὤλεσα ed ὄλεσσε; ἔμμαθε, ecc. d) davanti alla cesura, e per via dell’arsi, la quale da breve diventa lunga:
§ 17. — Incontro di vocali. Iato.
Osservazione. — Chiamasi iato quel suono sgradito che si produce quando s’incontrano due voci, l’una delle quali termina, l’altra comincia con una vocale. Come in italiano, cosí in greco, si evita mediante l’apostrofo. L’iato può aver luogo: 1. Nel caso veduto al § 16, 3. 2 Davanti alla dieresi o alla cesura; ved. § 15, 4:
3. Iato improprio ed apparente ha luogo davanti alle voci che prima cominciavano con σ, σ, σϜ:
§ 18. — Sinizési.
È quel fenomeno che consiste nel pronunziare due sillabe come una sola; o in una parola o fra due. Esempi:
Si noti ancora: δῆ⁀αὖτε; δέ⁀ἕβδομον; ἧ⁀εἰπέμεναι; ὦ⁀ἀρίγνωτος; ἐμῷ⁀ὠκυμόρῳ.
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- ↑ Secondo altri è distrazione (distraho), che è l’opposto della contrazione; perché con questa di due sillabe se ne forma una; con quella una sillaba si gemina in due.
- ↑ Ecco l’ordine delle vocali dalla piú cupa alla più chiara:
u, o, a. e, i.
- ↑ Il ritmo dell’esametro è reso dal seguente del Carducci (Mors, Nell’epidemia difterica):
Quando a le nóstre cáse || la diva se- véra di- scénde _́ ‿‿ _́ _ _́ ‿ ||‿ _́ ‿‿ _́ ‿‿ _́ ‿