< Odissea (Morino)
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Prefazione Dialetto omerico



OMERO



La letteratura greca s’inizia con due grandi poemi epici, l’Iliade e l’Odissea. La tradizione chiama col nome di Omero l’autore di essi. Grande, lunga e non ancora decisa contesa s’accese nel secolo passato non solo intorno alla persona d’Omero, ma ancora e piú specialmente circa la natura, l'origine, la composizione dei due poemi. Sono essi opera assolutamente personale, individuale di un solo, come la Divina Commedia è prodotto del genio di Dante, oppure comprendono le sparse membra di piú cantori, riunite poi fino dai tempi antichi da una qualsiasi accolta di dotti? Sarà bene anzitutto osservare che di queste due così opposte opinioni, la prima ormai non è piú seguita da nessun critico autorevole. Ché oramai siamo certi che i due poemi narrativi non sono altro che l’ultimo prodotto, l’ultima fase di un lungo lavoro epico anteriore, sicché la originalità di Omero, comunque si voglia giudicare, viene ad essere per molti rispetti diminuita. Dell’altra opinione sono ancora pochissimi i fautori, se pure non vanno scomparendo o non sono di già scomparsi dal campo scientifico1. Ma tra questi due modi di considerare la piú antica poesia dei Greci, intercedono altre opinioni, che piú o meno s’accostano alle suaccennate, che sono piú o meno verosimili e probabili. Rispetto all’Iliade (e la discussione versa specialmente intorno ad essa), vi fu chi ammise che Omero scrivesse un poema di molto minore estensione di quello in cui è compresa quell’Iliade che è a noi pervenuta; e che questo, come germe che a mano a mano si svolge e sorge in alta pianta, venisse poi ingrandito da poeti posteriori. Altri invece vedono in Omero un poeta che ravvivò, trasformò la materia rude tramandatagli dai predecessori e la improntò del suo ingegno sovrano. Ma potrebbe anche darsi che questa materia rimaneggiata o semplicemente ordinata da Omero in unità di poema, non fosse cosí rozza e primitiva, come credono alcuni; che il valore poetico non sia soltanto di Omero, ma di coloro che lo precedettero; che di cantori dotati di singolari virtù poetiche ve ne siano stati anche prima di lui. Comunque sia la cosa, l’Iliade e l’Odissea non cessano di essere due monumenti insigni del genio greco. Da essi provenne ogni altra forma di greca poesia, e si può anche dire che da essi, come da fonte primitiva, derivò tutta la poesia posteriore.

La contenenza mitica dei due poemi è parte della leggenda troiana. Il ratto di Elena per opera di Paride fece sorgere una lunga guerra fra i principi greci congiurati a vendicare l’offesa recata ad uno di essi, e la città asiatica, patria di Paride, sulla quale regnava Priamo padre del rapitore. L’Iliade è un episodio di questa leggenda, e si riferisce al tempo in cui i Greci cingono d’assedio la città nemica.


Argomento dell’«Iliade». Nel campo greco scoppia una fiera pestilenza, perché Agamennone non volle restituire a Crise, sacerdote di Apollo, la figlia Criseide, schiava del duce supremo. Al diniego Agamennone aggiunge gli oltraggi; e il dio sdegnato manda sul campo il crudo morbo. Allora l’Atride cede ai consigli dell’indovino Calcante, e si dispone a ridare la fanciulla al padre, ma a condizione che Achille gli ceda la sua schiava Briseide. Di qui un terribile litigio fra i due principi, sedato solo da Atena che interviene a calmare l’ira feroce dei contendenti. Achille si ritira offeso ed oltremodo addolorato nella sua tenda; Briseide è condotta ad Agamennone.

La madre di Achille, Tetide, sale all’Olimpo da Giove e lo prega di vendicarle il figlio. Il dio promette con solenne giuramento. Seguono indi molti combattimenti fra Greci e Troiani, dai quali questi si partono vittoriosi, e talmente la fortuna della guerra li seconda, che arrivano perfino al punto di incendiare le navi greche tratte lungo il lido. Achille allora manda il carissimo Patroclo, vestito delle sue armi, a respingere il furioso assalto dei nemici. Patroclo è ucciso da Ettore, figlio di Priamo. Achille finalmente, non per aiutare i suoi, ma per vendicare l’amico, vestito delle armi che gli fabbricava Vulcano, irrompe contro i Troiani, assale Ettore e l’uccide; quindi, supremo oltraggio, trascina il corpo di lui, attaccato al suo carro, attorno alle mura della città. Priamo si reca, con ricchi doni, alla tenda dell’uccisore, per riscattare il corpo del figlio. Achille, vinto dalla preghiera del vecchio, gli restituisce il cadavere di Ettore. Coi funerali di questo finisce il poema.

Argomento dell’«Odissea». Anche l’Odissea si può chiamare un episodio della leggenda troiana. Presa la città di Ilio, mediante l’agguato del cavallo, gli eroi che intervennero all’impresa non poteron tutti ridursi alle case loro, e non a tutti, appena vi furon arrivati, fu dato di ristorarsi subito dalle fatiche della lunga guerra.

Le avventure che corsero alcuni di essi divennero soggetto di leggende e di poemi; il nome che si dava ad esse era quello di νόστοι «ritorni». L’Odissea è un νόστος di uno degli eroi più celebrati, di Ulisse. Il poema si può dividere in tre parti ben distinte. Alla prima appartengono i primi quattro canti di esso, ove sono specialmente narrati i viaggi di Telemaco che si reca in diversi luoghi, per aver contezza del padre assente. Gli altri principi erano già tornati, e lui solo tratteneva l’ira di Nettuno, sdegnato perché l’itacese gli aveva accecato il figlio Polifemo. La seconda parte comprende le avventure di Ulisse prima del suo ritorno in patria; le avventure che vi si contengono in parte sono narrate dal poeta, in parte raccontate da Ulisse stesso alla Corte di Alcinoo, re dei Feaci, presso i quali l’eroe, dopo una violenta tempesta, avea trovato rifugio ed ospitalità. La terza (che è meno varia della seconda) comprende l’arrivo di Ulisse ad Itaca, la sua trasfigurazione in mendico per opera di Minerva, il riconoscimento di lui da parte de’ suoi, e la strage dei proci. Costoro erano principi del paese, che aspiravan alle nozze di Penelope, moglie dell’eroe; i quali, mentre aspettavano che la sposa fedele si scegliesse uno di loro, s’erano insediati come padroni nel palazzo dell’esule e ne dilapidavano le sostanze. Penelope, la quale sperava sempre che il marito fosse ancora in vita, mediante un suo inganno, deludeva le voglie impazienti e prepotenti di quegli usurpatori.

  1. Sulla «questione omerica» avrà l’alunno piú ampia notizia, quando si accingerà allo studio della letteratura greca. Questi non sono altro che fuggevoli cenni.


Note

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