< Odissea (Salvini)
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Omero - Odissea (Antichità)
Traduzione dal greco di Anton Maria Salvini (1742)
Libro I
Libro II

L’Uomo narrami, o Musa, astuto e scaltro,
  Di varj modi, e di maniere adorno,
  Che molto assai pel mondo andò vagando
  Da ch’espugnò ’l castel sacro di Troja.
  Di molt’uomini vide le cittadi,
  Ed il genio conobbe, e ’l sentimento.
  Molti ei pel mar patì in suo cuore affanni,
  Riscattando sua vita, ed il ritorno
  De’ compagni; ma nè così i compagni
  Diliberò, quantunque ei lo bramasse.
  Che per le proprie lor follie periro:
  Stolti, che i buoi del Sole Iperióne
  Mangiaro: ei tolse lor della reddita
  Il dì: di tai cose onde tu vuoi
  Di Giove figlia, o Dea, narra anco a noi.
Già gli altri, che fuggir la fiera morte
  A casa eran, da mar scampati, e guerra.
  Questo sol, cui fallía ritorno, e donna,
  Ninfa augusta tenea, divina Dea
  Calisso in cave grotte, per marito
  Volendol; ma allorché il tempo venne
  Col girare degli anni, in cui gli Dei
  Destinato gli avién tornare a casa
  In Itaca, nè meno allora esente
  Da’ travagli era, ancor co’ suoi amici.
  Gl’Iddii compassionarlo tuttiquanti,
  Salvo Nettunno: ei senza fin crucciato
  Stavasi con Ulisse eguale a Nume,
  Avanti che venisse alla sua terra.
  Ora a i remoti Etíopi egli era andato,
  (Etíopi, che in due sono partiti
  Ultimi delle genti, altri al Ponente
  Del Sole, altri a Levante) a toccar parte
  Dell’Ecatombe d’agnelletti, e tori.
  Quivi si ricriava a mensa assiso;
  Del resto gli altri dell’Olimpio Giove
  Erano nel palagio ragunati.
  A’ quali incominciò a far parole
  D’uomini, e Dei il Padre; che nel cuore
  Si rammentava del gentile Egisto,
  Cui ora il lungi glorioso uccise
  Agamennonio Orefte; or di costui
  Rammentandosi, disse agl’Immortali.
  Ohimè: come gli Dei gli uomini accusano,
  Che dicono da noi venire i mali;
  E da per sè medesmi colle proprie
  Follíe anno travagli oltre al destino.
  Come Egisto or, d’Atride, oltre al destino.
  Prese la moglie sposa, e quel tornato
  Uccise, divisando acerba morte.
  Posciachè a lui predetto avevam noi,
  Inviando Mercurio, valoroso
  Esploratore, l’uccisore d’Argo;
  Che vendetta d’Atride fia da Oreste,
  Quando verrà in età matura, adulta,
  E brama il prenderà di suo paese.
  Così disse Mercurio: ma d’Egisto
  La mente non piegò, ben consigliando;
  Ora tutto in un tratto egli pagonne.
Soggiunse a lui la glauca Dea Minerva.
  O padre nostro, di Saturno figlio,
  Sovrano de’ regnanti: ben ei giace
  Assai con morte convenente, e giusta.
  Così altri pera, che tai cose faccia.
  Ma pel guerriero Ulisse a me si parte
  Il core; sventurato, che buon tempo
  Lungi omai dagli amici soffrì guai
  In isola dal mar bagnata, e cinta,
  Ove è del mare l’umbilico, e ’l mezzo;
  Isola piena d’arbori: la Dea
  V’alberga, figlia del funesto Atlante,
  Che i fondi sa di tutto quanto il mare,
  Ed egli stesso tien lunghe colonne,
  Che la terra circondano, ed il Cielo.
  Di lui la figlia il cattivel piagnente
  Ritiene, e ognor con teneri, e amorosi
  Motti carezza, acciò si scordi d’Itaca.
  Ma Ulisse desiando il fumo ancora
  Sbalzante fuor, vedere di sua terra,
  Brama morir; nè a te si piega il caro
  Cuore, Olimpio; che forse Ulisse presso
  Degli Argivi alle navi, sacrifici
  Facendo non ti fea già cosa grata
  Nell’ampia Troja? ora perchè con lui.
  Cotanto vieni scorrucciato, o Giove?
Disse in risposta il Nubbi-aduna Giove.
  Figlia mia; qual fuggì a te parola
  Dalla chiusa de denti? come poss’io
  Dimenticarmi del Divino Ulisse?
  Che molto in senno supera i mortali
  E molti sacrifici agli Iddii diede
  Immortai, che posseggon l’ampio Cielo?
  Ma Nettunno, che tien la terra, ognora
  Immobilmente pel Ciclopo stassi
  Sdegnato, il quale d’occhio egli privoe;
  Il divin Polifemo, che tra tutti
  I Ciclopi ha grandissimo potere.
  Toosa Ninfa partorillo, figlia
  Di Forcin Rege del profondo mare,
  In cavo speco con Netrunno unita.
  Da quel tempo Nettunno scoti-terra
  Ulisse non uccide, ma desvia
  Dalla paterna terra, e fállo errante.
Or via, noi quà pensiam tutti il ritorno,
  Com’ei rivegna, e lira fua Netturno
  Giù ponga; che non mica potrà contra
  Gl’immortai tutti, e degl’Iddii malgrado
  Imprender briga, e contraltare ei solo.

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