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Traduzione di Melchiorre Cesarotti (XVIII secolo)
XVIII secolo
Questo testo fa parte della raccolta Poemetti italiani, vol. X


OINAMORA

D’OSSIAN

POETA CELTICO

TRADUZIONE

DELL’ABATE

MELCHIOR CESAROTTI


Come rotto dall’ombre il sol s’aggira
Sopra l’erboso Larmo, in cotal guisa
Passan per l’alma mia le storie antiche
Nel silenzio notturno. Allor che al sonno
Diersi i cantori, e nella sala appese
Taccion l’arpe di Selma, allor sommessa
Entro gli orecchi miei scende una voce
L’anima a risvegliar; la voce è questa
Degli anni che passaro: essi l’eccelse
Gesta dei Duci, onde son gravi il grembo,
Mi schierano dinanzi, io sorgo e afferro
Le fuggitive storie, e suor le sgorgo
Entro vena di canto; e non confuso

Di torrente inamabile rimbombo
Sono i canti ch’io verso, essi dan suono
Qual della dolce musica di Luta
È il gradito bisbiglio. O Luta amica
Di molte corde, taciturne e triste
Già non son le tue rupi allor che leve
Di malvina la man scorre fu l’arpa.
Luce de’ nubilosi miei pensieri
Che attraversano l’anima dolente,
D’Ossian il canto udir t’è grato? Ascolta
O figlia di Toscar, d’Ossian il canto
I già trascorsi dì richiama e arresta.
     Fu nei giorni del Re, quand’era il crine
Tinto di giovinezza, allor ch’io volto
Tenni lo sguardo a Concallin gentile
Per l’onde dell’oceano; era il mio corso
Ver l’isola di Furfedo, boscosa
De’ mari abitatrice. Avea Fingallo
Commesso a me che colle navi aita
Arrecassi a Malorco: il Re d’acerba
Guerra era cinto, e ad ospital convito
S’eran più volte i nostri padri accolti.
     Legai le vele in Coicolo, e a Malorco
Mandai la spada: d’Albione il segno
Tosto ei conobbe, e s’allegrò; dall’alta
Sala sen venne, e per la man mi prese
Con trista gioia: a che, stirpe d’eroi,

Vieni al cadente Re? diss’ei, Tontormo
Duce di molte lancie è il Sir possente
Dell’ondosa Sardronio: egli mia figlia,
Oinamora gentil, candida il seno,
Vide, l’amò, sposa la chiese; ad esso
Io la niegai, che nimistade antica
Divise i nostri padri: ei venne armato
A Furfedo, pugnammo, i miei seguaci
Fur vinti e spersi: a che, d’eroi germoglio
Vieni al cadente Re? Non venni, io dissi,
Come fanciullo a risguardar: Fingallo
Ben rammenta Malorco, e la sua sala
Amica agli stranier; spesso l’accolse
L’alpestre isola tua stanco dall’onde;
Nè tu con esso un’odiosa nube
Fosti d’orgoglio; di conviti e canti
Parco non fosti ad onorarlo: io quindi
Alzerò il brando in tua difesa, e forse
Chi ti persegue si dorrà: gli amici
Benchè lontani ai nostri cor son presso.
     Verace sangue di Tremmor, riprese
I detti tuoi fono al mio cor qual fora
La voce di Crulloda, il poderoso
Del cielo abitator, quand’ei favella
Da una squarciata nube ai figli suoi.
Molti allegrarsi al mio convito, e tutti
Obbliaro Malorco, io volsi il guardo

A tutti i venti, e alcuna vela amnica
Non vidi biancheggiar: ma che? l’acciaro
Suona nelle mie sale, e non la conca.
Vieni, stirpe d’eroi; la notte è presso;
Vieni alla reggia ad ascoltar il canto
Della bella di Furfedo: n’andammo,
E d’Oinamora le maestre dita
S’alzarono sull’arpa: ella fu tutte
Le sue tremule corde in dolei note
Fè risonar la sua dolente istoria.
Stetti a mirarla rispettoso, e muto,
Che sparsa di bellezza e maestade
Dell’isola selvosa era la figlia,
E i begli occhi a veder parean due stelle
Quando in pioggia talor fra stilla e stilla
Vagamente sogguardano: s’affisa
Liete in quelle il nocchiero, e benedice
Que’ scintillanti, e graziosi rai.
Lungo il rio di Tormulte io co’ miei fidi
Mossi a battaglia in sul mattin. Tontormo
Battè lo feudo, e gli si strinse intorno
Il popol suo; ferve la mischia: il Duce
Io scontrai di Sardronio: ai spichi infranto
Vola per l’aere il suo guerriero arnese:
Io l’arresto, e l’afferro, e la sua destra
Stretta di saldi nodi ostro a Malorco.
Delle conche dator. Gioia si sparse

Sul convito di Furfedo; sconfitto
Era il nemico: ma Tontormo altrove
Volse la faccia vergognoso e tristo
Che d’Oinamora sua teme lo sguardo.
O dell’alto Fingal sangue verace,
Malorco incominciò, non sia che parta
Dalle mie sale inonorato: io teco
Vo’ che una luce di beltà sen vegna;
La vergine di Furfedo dagli occhi
Lento giranti: ella gioiosa fiamma
Nella tua bellicosa alma possente
Raccenderà, nè inosservata, io spero,
Passerà la donzella in mezzo a Selma
Fra drappello d’eroi. Si disse, io stesi
Nella sala le membra: avea nel sonno
Socchiusi i lumi; un sussurrar gentile
L’orecchio mi feri; parea d’auretta
Che già si sveglia, e primamente i velli
Gira del cardo, indi sull’erba verde
Largamente si sparge: era cotesta
D’Oinamora la voce; ella il notturno
Suo canto sollevò, che ben conobbe
Ch’era l’anima mia limpido rivo
Che al piacevole suon gorgoglia e spiccia.
     Chi mai, cantava, (ad ascoltarla io m’ergo)
Chi dalla rupe sua sopra la densa
Nebbia dell’ocean guarda pensoso?

Come piuma di corvo erra sful nembo
La nerissima chioma: è ne’ suoi passi
Maestosa la doglia; ha sopra il ciglio
La lagrima d’amore, e ’l maschio petto
Palpita sopra il cor ch’entro gli scoppia.
Ritirati, o guerrier, cercarmi è vano,
No, più tua non sarò: da te lontana
Lassa! in terreno incognito m’aggiro
Solinga e mesta: ancor che a me stia presso
La schiatta degli eroi, pur ciò non basta
A calmar la mia doglia. Ah perchè mai,
Perchè furo nemici i nostri padri,
Tontormo, amor delle donzelle e pena?
     Ossian si scosse a queste note: oh, dissi,
Voce gentil, perchè sei mesta? ah tempra,
Tempra il tuo lutto: di Tremmor la stirpe
Non è fosca nell’alma, in terra ignota
Non andrai fola e sconsolata errando,
Oinamora vezzosa. In questo petto
Suona una voce ad altri orecchi ignota:
Ella comanda a questo cor d’aprirsi
Dei sventurati alle querele, al pianto;
Or va dolce cantrice, alle tue stanze
Ricovra, e ti conforta: il tuo Tontormo
Non sia, s’Ossian può nulla, amato invano.
     Sorto il mattino, io dalle sue ritorte
Disciolgo il Re, per man prendo la bella

Dubitosa e tremante, ed a Matorco
Con tai detti mi volgo: o generoso
Re di Furfedo alpestre; e perchè mesto
Sarà Tontormo? egli di guerra è face,
Egli è stirpe d’eroi: nemici un tempo
Fur gli avi vostri, ma per Loda adesso
Van le lor ombre in amistà congiunte,
E stendon liete alla medesma conca
Le nubolose braccia: obblio ricopra
Le lor ire, o guerrier; questa è una nube
Dei dì che più non sono, amor la sgombri.
     Tai fur d’Ossian le gesta allor che il tergo
Sferzava il crin di giovinezza, ancora
Che alla vergin regal raggiasse intorno
Veste d’amabilissima beltade.
Tal fui; con gioia or lo rimembro: o vaga
Figlia di Luta, udisti; il canto mio
I già trascorsi dì richiama e arresta.

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