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IL MARGITE
Anche altre poesie burlesche erano attribuite ad Omero; e
fra queste, I Cèrcopi e il Margite.
I Cèrcopi erano demonietti burloni e fastidiosi, che, pare, non ebbero soggezione nemmeno d’ Ercole. E l'eroe li prese, in Ecalía, nella Beozia, e li chiuse dentro una gabbia, per portarli in omaggio a Deianira. Ma quelle birbe, anche in una situazione tanto precaria, non persero il buon umore, e fecero osservazioni cosí argute, che Ercole, vinto dal riso, li rimise in libertà. Ma del poema in cui il presunto Omero narrava le loro gesta, e che ispirò le arti figurate, non c'è rimasto che un emistichio insignificante.
Del Margite ci rimangono tre frammenti, anch’essi, senza dubbio, miserrimi, ma tali, tuttavia, da farci rimpiangere la perdita del poema.
Il primo era divenuto proverbiale fra i Greci. Descrive (in un sol verso) l'eroe, che trova molti riscontri anche fra i moderni:
Molte arti conosceva; però, l'una peggio dell’altra.
Non aratore, né zappatore lo fecero i Numi,
né d’alcun’arte esperto: ché dove provava sbagliava.
Il terzo, cosí come c’è giunto, separato dal contesto, è perfettamente anodino:
Ministro delle Muse, d’Apollo che lunge saetta.
Il Margite era attribuito ad Omero già da Archiloco, la cui testimonianza fu seguita senz’altro da Platone e da Aristotele. Questi, anzi, dice esplicitamente che il Margite sta alla commedia come l’Iliade e l’Odissea stanno alla tragedia. Parrebbe dunque che egli, che conosceva il poema, non lo reputasse indegno di Omero.
E quindi potrebbe essere che anche qui fosse ingiustificato, o, per lo meno esagerato, lo scetticismo dei critici moderni.