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LA FORNACE O I VASAI
Su questo poemetto, vedi pag. 197.
Se voi del canto mio mi darete, o vasai, la mercede,
qui vieni, Atena, e su la fornace protendi la mano,
a buon termine fa’ che giungano coppe e bicchieri,
che la cottura giusta ne sia, che li paghino bene,
che molti per le vie se ne spaccino, molti al mercato,
ed il guadagno giusto facciate, n’esulti il cuor vostro.
Se poi bando al pudore darete, e sarete bugiardi,
dèmoni qui chiamerò che struggan le vostre fornaci,
Strítola, Spícina, Incénera, insieme con Bòmbito e Spacca,
che dar sapranno a questa fornace travagli a bizzeffe.
Struggi i fornelli, struggi la casa, e con lei la fornace,
tutto a sconquasso vada, fra un alto fragore di cocci.
Qual di cavallo mugghia la fauce, cosí la fornace
mugghi, ed a briciole, dentro di sé tutti i vasi riduca.
Figlia del Sole, Circe, maestra di filtri, e tu vieni,
e questi e l’opre loro danneggia coi farmachi tristi.
Anche Chirone venga, qui guidi Centauri a schiere,
quanti alle mani d’Alcide sfuggirono, e morti non sono,
e pestin tutto quanto, sicché la fornace sprofondi,
sí che dobbiate, piangendo, riflettere ai vostri misfatti.
Io gioirò vedendo distrutte le vostre fatiche.
E se qualcuno farà capolino nel forno, la faccia
tutta gli vada a fuoco; e imparino a fare i bricconi.