< Opere di Raimondo Montecuccoli
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Considerazione Quarta
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CONSIDERAZIONE QUARTA

Delle accuse contro Raimondo Montecuccoli


Multa sunt et non videntur, multa videntur et non sunt.

Scuppius, Dissert. de opinione.


I. Sovente parlando io con gli uomini militari delle opere di Raimondo Montecuccoli udiva rinfacciargli ch’ei si professasse maestro di tradimenti e di crudeltà. Un passo degli Aforismi gli attirò la maledizione del generale Turpin[1] e di altri autori men celebrati[2]; e la maledizione fu ed è ripetuta da que’ tanti che hanno credule orecchie e lingua maligna. La volgata ha stampato: Abbruciargli il campo (al nemico) e le munizioni, gettare i fumi pestiferi, distruggergli le campagne all’intorno, le ville, i molini, corrompergli di morbi contagiosi, seminar dissensioni fra la sua gente [3]. La scomunica è fulminata sulle parole: gettare i fumi pestiferi — corrompergli di morbi contagiosi ; e sulle parole che non sono nell’italiano ma nella versione francese, corrompre les eaux — mettre parmi les troupes des maladies contagieuses ; perchè distruggere le campagne, le ville, i molini, incendiare il campo e le munizioni, seminare discordie furono, sono e saranno pur troppo! arti perpetue de’ capitani e de’ principi. Ma tutta la sintassi del periodo italiano è intricata di solecismi ed ambigua. Come e dove s’hanno a gettare i fumi pestiferi? e da che senso è retto e a che si riferisce quel corrompergli di morbi contagiosi? Può egli presumersi che il Montecuccoli scrittore schietto e geometrico scrivesse con tanta barbarie di frase e sì poca esattezza d’idee? e le due uniche edizioni italiane non sono elle adulterate da mille abbagli, ommissioni ed arbitrii? Noi abbiamo restituito in questo volume molte lacune, lacune di pagine intere.

E la fede del manoscritto che ci somministrò la genuina lezione del testo in questo passo censurato è avvalorata dalla versione spagnuola che non parla nè di fumo nè di peste nè di acque avvelenate, e dalla latina procurata su gli autografi dal nipote dell’autore: Castris munimentisque ignem subiicere; populari agros, villas, molendina; discordiarum sementem iacere [4]. Qui non vi sono, come non vi sono nel manoscritto, nè i fumi pestiferi, nè i morbi contagiosi, destituiti di senso nella volgata. E perchè il traduttore francese non s’attenne almeno alla volgata stampata otto anni prima della sua versione? Su la fede di qual testo traduceva egli il passo citato, brûler son camp et les munitions, et y jeter des fumées empestées; ruiner les campagnes autour des villes, abattre les moulins, corrompre les eaux, mettre parmi les troupes des maladies contagieuses, semer les divisions entre ses gens [5]? Il membretto mettre parmi les troupes des maladies contagieuses è una parafrasi di quella frase oscurissima corrompergli di morbi, che non ha nè caso retto nè caso relativo; ma donde ha egli ricavato il precetto di corrompre les eaux? E come mai si potrebbe appestare il nemico senza esporre al contagio il proprio campo? come avvelenare le acque correnti e corromperle per molte e molte miglia di paesi occupati dagli eserciti, poichè qui non si tratta nè di campo bloccato nè di città assediata, ma di guerra offensiva in aperta campagna? S’egli è improbabile che il Montecuccoli come scrittore dettasse quel passo della volgata tutto deforme di solecismi, è ancor più improbabile ch’ei come maestro di guerra abbia potuto pensare ciò che gli fa dire il traduttore francese. Pure questo traduttore fu l’unico oracolo del conte Turpin, che non vide nè manoscritti nè versione latina nè spagnuola nè edizioni italiane; e salito sul tripode del suo Febo, il conte Turpin gridava a tutti gli eserciti di Francia ed a tutta l’Europa che il Montecuccoli era traître, assassin, empoisonneur.

II. Nell’atto della battaglia.... porrai soldati che tirino ad ammazzare il generale nemico [6]: e questo per consenso de’ testi e delle versioni è precetto genuino del Montecuccoli; e qui pure il conte Turpin ricanta la sua filippica. Ma se un capitano può diriggere le forze della propria mente e del proprio braccio contro a tutto il tuo esercito, perchè il tuo esercito non potrà diriggere le sue forze contro a lui solo? Se un sicario trucidasse nella sua tenda, in tempo di tregua e ne’ quartieri di verno, il capitano nemico, se si armasse la seduzione e il veneficio, queste azioni sarebbero tradimenti, e sarebbe tradimento la morte di qualunque soldato avversario fuor de’ combattimenti. Ma in battaglia ogni soldato, ogni ufficiale, ogni generale viene per dare e ricevere il maggior danno possibile. Nè i soldati insidiano il generale avversario senza loro pericolo; s’avanzano sul campo di battaglia nemico; s’imboscano ove forse gli avversari stanno in aguato; s’allontanano dal soccorso de’ loro commilitoni; passano tra il fumo, il fuoco, il ferro; si frammischiano spesso a’ nemici, senza di che non colpirebbero mai il capitano che per non avventurare in se stesso tutta la somma delle cose governa la battaglia appartandosi dalla scena delle stragi e de’ combattenti. Arrischiando in guerra viva e nell’ardore della mischia la vita de’ tuoi per salvare con la morte di un solo nemico la salute del tuo esercito, la gloria della tua nazione, la indipendenza della tua patria e le sostanze de’ tuoi concittadini avrai perciò titolo di traditore e di assassino? Poteva bensì la generosa anima di Cesare comandare che in Farsalia si avesse rispetto alla vita de’ cittadini romani; poteva il Montecuccoli piangere sul cadavere del Turenna, e pianse: queste azioni derivano spesso dall’impero delle circostanze e da raffinata ambizione, ed anche talvolta dalla coscienza delle proprie forze e da una virtù infrequente ne’ petti mortali; non mai dal gius della guerra che soffocando la voce della umanità, delle leggi e del cielo pianta i troni su cadaveri ed innaffia i lauri col sangue. Le azioni del Montecuccoli erano liberali perchè erano frutto d’un’anima altera scevra dalle volgari passioni; le sue lezioni doveano essere savie perchè nascevano dalla prudenza d’una mente esperimentata appunto su le passioni universali degli uomini.

Ma ’dove egli prescrive che si miri segnatamente a colpire’gli ufficiali [7], il conte Turpin cangia sentenza: Il n’en est pas des officiers comme du général; on doit viser à eux de préférence, parce qu’un bataillon sans officiers est bientôt battu et en déroute [8]. E un esercito senza capitano non è egli subitamente disanimato e fugato? La umanità e la probità del generale Turpin si riducono dunque a uccidere pensatamente molti ufficiali per rompere un battaglione, e a risparmiare un generale per non rompere un esercito e per non finire forse una guerra che continuerebbe a versare gran fiumi di sangue? a sacrificare molte vittime con poco frutto e con niun rimorso, e a reputare infame la vittoria riportata col sacrificio di un solo? Se non che si risponderà che gli uomini in istato di società non hanno i diritti dello stato di natura; e che i principi e i capitani rappresentando le nazioni in società, uccidendoli, si violerebbe il primo patto sociale che riunì gli uomini per la loro reciproca conservazione. Crebbero con la civiltà del genere umano queste argute speculazioni della filosofia, e la politica ne profittò. Quando il gius delle genti non era scorporato dal gius naturale, gli interessi, la gloria ed i pericoli de’ popoli erano accomunati a’ principi e a’ condottieri. Quindi i greci deificavano Diomede ed Ulisse che trucidarono Reso dormente nella sua tenda; e fu celebre presso a’ Romani l’eroismo di Muzio Scevola che travestito insidiò nel campo toscano la vita di Porsenna. Ma dopo le distinzioni metafisiche, la legge di natura di distruggersi scambievolmente percote i popoli; e il patto sociale su la reciproca preservazione protegge soltanto i loro pastori.

III. Tutte le alte massime de’ platonici sul gius delle genti, ridotte a’ minimi termini, appariranno sempre incoerenti. I filosofi distinsero i diritti e i doveri di natura da’ diritti e da’ doveri di società; quasi che la società non fosse emanazione necessaria della natura, e l’uomo non fosse animale naturalmente sociale, naturalmente distruttore. Tutti gli eloquenti paradossi di Giangiacomo Rousseau derivano da questa fantastica distinzione; tutte le temute verità di Tommaso Hobbes derivano invece dall’avere egli conosciuto che la natura e la società del genere umano erano una cosa sola ed identica. Ma applicando la storia d’ogni gente e d’ogni età all’assioma di Hobbes ed ai corollari di Macchiavelli e di Montesquieu, si ricaveranno i veri e soli diritti della guerra che Ugo Grozio desunse dai fatti; e all’aprirsi della storia svaniranno i diritti che Platone, Cicerone, Rousseau e mill’altri attinsero nell’oceano del mondo ideale. Se non che le immaginazioni metafisiche giovano al debole, perchè il mortale ha bisogno di consolarsi con le illusioni; giovano al forte, perchè anche il forte ha bisogno spesso d’illudere: quindi la forza assume le apparenze della giustizia finchè un’altra forza non la distrugga; quindi si proscrivono gli uomini d’alto ingegno e di animo generoso che squarciano le illusioni, che svelano le piaghe dell’umanità, e che gridano al mondo: Da ciò che tutti gli uomini in tutti i secoli han fatto, imparate ciò che voi nel vostro secolo dovete fare.

Esempi insigni di questa sentenza sono due libri, l’uno del Macchiavelli, l’altro di Federigo. Il politico italiano fu esecrato perchè nel Principe mostrò ciò che fanno i tiranni; Federigo fu esaltato perchè nell’Anti-Macchiavello mostrò ciò che devono fare i principi giusti. Ma il Macchiavelli congiurò due volte contro la tirannide, sostenne virilmente la tortura, amò la sua patria, e fu esempio di probità a’ suoi concittadini, di virtù domestiche alla sua famiglia, di sapienza a tutta l’Italia[9]. Io non parlerò del re di Prussia: parleranno gli annali della Sassonia e della Polonia. Le adulazioni de’ cortigiani letterati pasciuti e atterriti da lui suonano ancora per l’Europa; ma incominciano a frammischiarsi alle osservazioni de’ posteri viaggiatori non ingiuriati nè beneficati da Federico. Nè io citerò come santa testimonianza le invettive di Vittorio Alfieri che forse esagera il vero ma non foggia il falso[10]; nè gli aneddoti pubblicati da chi aveva tetto, nutrimento e panni dalla corte prussiana[11]: basti per tutti il colonnello Guibert; scrisse l’Elogio del re di Prussia per sacrificare al genio guerriero e per destare in Francia l’emulazione marziale[12]; ma la coscienza dello storico, per sacrificare alla verità e per aprire gli occhi dell’Europa abbagliata sul despotismo coperto del manto filosofico, scrisse il Viaggio in Germania [13].

IV. La fama che parla ancora delle imprese di Raimondo non lasciò se non voci indistinte su la sua vita privata, unica guida a giudicare l’intenzione degli scrittori. Nè io magnificherò in lui le virtù domestiche; la storia tace: e tace su vizi di cui egli come mortale non poteva essere intatto. Richiamai in questo volume alcune notizie inosservate da tutti; e n’avrò ommesse assai più, sì per l’oscurità e l’infrequenza de’ libri che parlano de’ costumi di lui, sì perchè non avrò saputo indagarle. I caratteri de’ tempi, delle guerre e de’ casi del Montecuccoli hanno molte sembianze della vita d’Agricola; ma non ebbe un Tacito per congiunto, nè militò come cittadino; onde si raccolsero i frutti delle sue imprese, e non s’ebbe cura della storia d’un eroe che avrebbe onorata più la terra che lo produsse, che la terra ch’egli difese. Ed è incerto s’egli in quello stato mercenario serbasse lo spirito socratico di Senofonte, o l’accorta ambizione di Arato; illustri capitani che ambedue pari al Montecuccoli guerreggiarono per monarchi stranieri; a tanta miseria la fortuna traeva la Grecia e l’Italia, che i loro figli sudassero alla possanza de’ loro oppressori!

Le virtù dunque e le colpe dell’uomo stanno quasi tutte sepolte nella tomba del Montecuccoli; e condannandolo per que’ precetti ch’ei ricavò dalla infelice esperienza delle umane cose, il giudizio sarebbe fondato sopra nude parole: Verba mea arguuntur; adeo factorum innocens sum [14]. Che s’ei li avesse praticati in guerra, chi avria soffocati i gemiti e le imprecazioni de’ popoli sì che non giungessero al tribunale della posterità? Nè le geste del Turenna scritte da concittadini, nè le lettere che nell’aureo secolo de’ Francesi decantarono le sue virtù, nè la preponderanza di Luigi XIV che disanimava gli scrittori dalla verità, nè l’ammirazione di tutta l’Europa fanno dimenticare le stragi e gl’incendi del Palatinato. Après la bataille de Sintzheim, Turenne mit à feu et à sang le Palatinat, pays uni et fertile convert de villes et de bourgs opulens. L’électeur palatin vit du haut de son château de Manheim deux villes et vingt-cinq villages embrasés. Ce prince désespéré défia Turenne à un combat singulier par une lettre pleine de reproches. Turenne ne répondit aux plaintes et au défi de l’électeur que par un compliment vague et qui ne signifie rien. C’était assez le style et l’usage de Turenne de s’exprimer toujours avec modération et ambiguité. Il brûla avec le même sang-froid les fours et une partie des campagnes de l’Alsace pour empêcher les ennemis de subsister. Il permit ensuite à la cavalerie de ravager la Lorraine.... Il aimoit mieux être appelé le père des soldats qui lui étoient confiés, que des peuples qui selon les loix de la guerre sont toujours sacrifiés [15]. Unica e ripetuta discolpa del Turenna si è ch’egli obbediva al suo re, il quale per ragione di stato avea decretato lo sterminio di quella provincia, che l’impero germanico gli contendeva di conquistare[16].

Ma il Turenna non aveva egli alcuni anni prima impugnata in guerra civile la spada contro al suo re[17] per non farsi stromento delle ingiustizie della corte? e se non poteva temperare i diritti della forza, perchè esacerbava egli le calamità con lo scherno? Lo storico che spassionatamente narrò quelle stragi, quando vide che i loro vestigi non erano cancellati dopo cent’anni, pianse e arrossì[18]. Il Montecuccoli insegnando nelle sue teorie a devastare in guerra le campagne, insegnava l’arte di vincere e di premunirsi contro i vincitori; ma da una delle poche tradizioni su la vita di lui, sparse ne’ libri stranieri, vedesi ch’egli per insegnare ad avere pietà de’ popoli nelle fatali necessità delle guerre, puniva la ferocia militare che affligge stolidamente l’agricoltore. Severissimo vendicatore della giustizia, condannava capitalmente chi la violava in altrui danno; e a chi per generosa disperazione avea tentato d’ucciderlo, perdonò[19]: seppure i racconti non suggellati dal consenso delle storie, e de’ quali ogni scrittore adorna il suo eroe, sono degni di fede; come non merita fede la tradizione che appone al Montecuccoli la morte infelice di Fulvio Testi per un’ode celebre che questi gl’intitolò. L’ode non feriva il Montecuccoli, bensì gli Estensi, e non fu causa della sciagura del Testi. Il Tiraboschi smentì questa favola[20].

Note

  1. « Je ne comprends point comment un aussi grand homme peut avoir des idées aussi noires, et oser encore les donner pour préceptes. Les expédiens que donne Montecuccoli pour détruire l’ennemi font horreur à imaginer; il faut le vaincre par la force ou par la ruse, mais éloigner tout ce qui peut ressembler à la trahison. Comment est-il possible qu’un aussi grand général, qu’un homme qui avoit l’oeil si juste, le sens si sain pour juger d’une bonne ou mauvaise manoeuvre, n’ait pas su distinguer la trahison de la ruse, ni y mettre aucune différence? Les moyens qu’il donne sont d’un traître ou d’un assassin, et non d’un guerrier noble et généreux etc.». Comment. sur Montec. vol. II, liv. I; chap. 3, art. 5, nota (g).
  2. Tra gli altri vedi il Traité des stratagèmes permis à la guerre, par Joly de Maiseroi, lieutenant-colonel; segnatamente la seconda edizione 1773: la prima è del 1765.
  3. Pag. 77 sì dell’edizione coloniese sì della ferrarese, da noi esaminate a pag. X e seg. del primo volume delle Opere del Montecuccoli.
  4. Vedi a pag. 40 della versione latina nell’edizione da noi citata a pag. XI del primo volume delle Opere del Montecuccoli
  5. Mémoires de Momec. liv. I, chap. 3, art. 5, num. 7.
  6. Aforismi, in Opere, I, p. 136
  7. Ibid., p. 139, nota 1.
  8. Comment. sur Montec. vol. II, liv. I, chap. 3, art. 2, nota (n).
  9. Machiavellus democraliœ laudator et assertor acerrimus, natus, educatus, honoratus in eo reipublicœ statu, tyrannidis summae inimicus; itaque tyranno non favet . Alberico Gentile, Legazioni, lib. III, cap. 9. — Sagacissimus nequitiœ humanœ observator, apertissimus testis, et nimis ingenuus recitator fuit Machiavellus Florentinus. Is candide elocutus est quod multi alii politici non modo sentiunt et firmiter credunt, sed in universa vita sua faciunt. Interim tamen miserrimus ille Machiavellus vituperatur ab omnibus . Baldassarre Scuppio, Dissert. de opinione .
  10. I viaggi, capitolo 2.
  11. Souvenirs de vingt ans à la cour de Berlin, par Dieudonné Thiébault; libro in 5 volumi, tutti pieni d’aneddoti de’ costumi e de’ caratteri del re di Prussia e della sua famiglia.
  12. Vedi Opere del Montecuccoli cit., pag. xiii, nota·2.
  13. Journal du voyage de Guibert en Allemagne, pubblicato dalla sua vedova in due volumi; Paris, an. XI, chez Treuttel et Wurtz. Vedi il parallelo che nell’anno stesso (1803) la Décade littéraire instituì tra l’Elogio e il Viaggio di quest’autore.
  14. Tacito, Annali, lib. IV, cap. 34.
  15. Voltaire, Siècle de Louis XIV, tom. I, chap. 12; e le storie tutte del Turenna.
  16. Vedi fra gli altri il Beaurain, Histoire des quatre dernières campagnes de Turenne, Paris 1782.
  17. ]Leggi le storie delle guerre civili di Francia nell’interregno della madre di Luigi XIV.
  18. Mon séjour auprès de Voltaire, etc., pag. 104. Libro postumo (pubblicato in quest’anno 1807, à Paris chez Léopold Collin) di Cosimo Alessandro Collini segretario di Voltaire per più anni, e noto per molti scritti su le cose d’Alemagna. « Nous partîmes le 28 juillet de Mayence pour nous rendre à Manheim. En découvrant les ruines qui existaient encore alors dans le Palatinat du Rhin en différents endroits que les Français, commandés par le maréchal de Turenne, brûlèrent et saccagèrent, Voltaire s’écria: Il est impossible que notre nation puisse être aimée dans ce pays; ces dévastations doivent rappeler sans cesse e les habitans à la haine du nom français. Mon ami, ajouta-t-il, donnons-nous ici pour italiens; et il se donna pour gentilhomme italien à Worms, où nous couchâmes ».
  19. « Victor-Amédée duc de Savoie se plaisait à raconter le trait suivant: Montecuccoli avoit, dans une marche, fait défense expresse sous peine de mort que personne ne passât par les blés. Un soldat revenant d’un village et ignorant les défenses, traversa un sentier qui étoit au milieu des blés. Montecuccoli, qui l’aperçut, envoya ordre au prévôt de l’armée de le faire pendre. Cependant ce soldat qui s’avançoit allégua au général qu’il ne savoit pas les ordres. Que le prévôt fasse son devoir, répondit Montecuccoli. Comme cela se passa en un instant, le soldat n’avoit pas encore été désarmé; alors plein de fureur il dit: Je n’étois pas coupable, je le serai maintenant; et tira son fusil sur Montecuccoli. Le coup manqua, et Montecuccoli lui pardonna ». Dictionnaire historique, art. Montecuccoli
  20. Biblioteca Modonese, vol. V, pag. 251.



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