Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | Canto 2 | Canto 4 | ► |
CANTO TERZO
1
Chi mi dará la voce e le parole
convenïenti a sí nobil suggetto?
chi l’ale al verso presterá, che vole
tanto ch’arrivi all’alto mio concetto?
Molto maggior di quel furor che suole,
ben or convien che mi riscaldi il petto;
che questa parte al mio signor si debbe,
che canta gli avi onde l’origine ebbe:
2
di cui fra tutti li signori illustri,
dal ciel sortiti a governar la terra,
non vedi, o Febo, che ’l gran mondo lustri,
piú glorïosa stirpe o in pace o in guerra;
né che sua nobiltade abbia piú lustri
servata, e servará (s’in me non erra
quel profetico lume che m’inspiri)
fin che d’intorno al polo il ciel s’aggiri.
3
E volendone a pien dicer gli onori,
bisogna non la mia, ma quella cetra
con che tu dopo i gigantei furori
rendesti grazia al regnator de l’etra.
S’instrumenti avrò mai da te migliori,
atti a sculpire in cosí degna pietra,
in queste belle imagini disegno
porre ogni mia fatica, ogni mio ingegno.
4
Levando intanto queste prime rudi
scaglie n’andrò con lo scarpello inetto:
forse ch’ancor con piú solerti studi
poi ridurrò questo lavor perfetto.
Ma ritorniamo a quello, a cui né scudi
potran né usberghi assicurare il petto:
parlo di Pinabello di Maganza,
che d’uccider la donna ebbe speranza.
5
Il traditor pensò che la donzella
fosse ne l’alto precipizio morta;
e con pallida faccia lasciò quella
trista e per lui contaminata porta,
e tornò presto a rimontare in sella:
e come quel ch’avea l’anima torta,
per giunger colpa a colpa e fallo a fallo,
di Bradamante ne menò il cavallo.
6
Lascián costui, che mentre all’altrui vita
ordisce inganno, il suo morir procura;
e torniamo alla donna che, tradita,
quasi ebbe a un tempo e morte e sepoltura.
Poi ch’ella si levò tutta stordita,
ch’avea percosso in su la pietra dura,
dentro la porta andò, ch’adito dava
ne la seconda assai piú larga cava.
7
La stanza, quadra e spazïosa, pare
una devota e venerabil chiesa,
che su colonne alabastrine e rare
con bella architettura era suspesa.
Surgea nel mezzo un ben locato altare,
ch’avea dinanzi una lampada accesa;
e quella di splendente e chiaro foco
rendea gran lume all’uno e all’altro loco.
8
Di devota umiltá la donna tocca,
come si vide in loco sacro e pio,
incominciò col core e con la bocca,
inginocchiata, a mandar prieghi a Dio.
Un picciol uscio intanto stride e crocca,
ch’era all’incontro, onde una donna uscío
discinta e scalza, e sciolte avea le chiome,
che la donzella salutò per nome.
9
E disse: — O generosa Bradamante,
non giunta qui senza voler divino,
di te piú giorni m’ha predetto inante
il profetico spirto di Merlino,
che visitar le sue reliquie sante
dovevi per insolito camino:
e qui son stata acciò ch’io ti riveli
quel c’han di te giá statuito i cieli.
10
Questa è l’antiqua e memorabil grotta
ch’edificò Merlino, il savio mago
che forse ricordare odi talotta,
dove ingannollo la Donna del Lago.
Il sepolcro è qui giú, dove corrotta
giace la carne sua; dove egli, vago
di sodisfare a lei, che glil suase,
vivo corcossi, e morto ci rimase.
11
Col corpo morto il vivo spirto alberga,
sin ch’oda il suon de l’angelica tromba
che dal ciel lo bandisca o che ve l’erga,
secondo che sará corvo o colomba.
Vive la voce; e come chiara emerga,
udir potrai da la marmorea tomba,
che le passate e le future cose
a chi gli domandò, sempre rispose.
12
Piú giorni son ch’in questo cimiterio
venni di remotissimo paese,
perché circa il mio studio alto misterio
mi facesse Merlin meglio palese:
e perché ebbi vederti desiderio,
poi ci son stata oltre il disegno un mese;
che Merlin, che ’l ver sempre mi predisse,
termine al venir tuo questo dí fisse. —
13
Stassi d’Amon la sbigottita figlia
tacita e fissa al ragionar di questa;
et ha sí pieno il cor di maraviglia,
che non sa s’ella dorme o s’ella è desta:
e con rimesse e vergognose ciglia
(come quella che tutta era modesta)
rispose: — Di che merito son io,
ch’antiveggian profeti il venir mio? —
14
E lieta de l’insolita aventura,
dietro alla maga subito fu mossa,
che la condusse a quella sepoltura
che chiudea di Merlin l’anima e l’ossa.
Era quella arca d’una pietra dura,
lucida e tersa, e come fiamma rossa;
tal ch’alla stanza, ben che di sol priva,
dava splendore il lume che n’usciva.
15
O che natura sia d’alcuni marmi
che muovin l’ombre a guisa di facelle,
o forza pur di suffumigi e carmi
e segni impressi all’osservate stelle
(come piú questo verisimil parmi),
discopria lo splendor piú cose belle
e di scultura e di color, ch’intorno
il venerabil luogo aveano adorno.
16
A pena ha Bradamante da la soglia
levato il piè ne la secreta cella,
che ’l vivo spirto da la morta spoglia
con chiarissima voce le favella:
— Favorisca Fortuna ogni tua voglia,
o casta e nobilissima donzella,
del cui ventre uscirá il seme fecondo
che onorar deve Italia e tutto il mondo.
17
L’antiquo sangue che venne da Troia,
per li duo miglior rivi in te commisto,
produrrá l’ornamento, il fior, la gioia
d’ogni lignaggio ch’abbi il sol mai visto
tra l’Indo e ’l Tago e ’l Nilo e la Danoia,
tra quanto è ’n mezzo Antartico e Calisto.
Ne la progenie tua con sommi onori
saran marchesi, duci e imperatori.
19
I capitani e i cavallier robusti
quindi usciran, che col ferro e col senno
ricuperar tutti gli onor vetusti
de l’arme invitte alla sua Italia denno.
Quindi terran lo scettro i signor giusti,
che, come il savio Augusto e Numa fenno,
sotto il benigno e buon governo loro
ritorneran la prima etá de l’oro.
19
Acciò dunque il voler del ciel si metta
in effetto per te, che di Ruggiero
t’ha per moglier fin da principio eletta,
segue animosamente il tuo sentiero;
che cosa non sará che s’intrometta
da poterti turbar questo pensiero,
sí che non mandi al primo assalto in terra
quel rio ladron ch’ogni tuo ben ti serra. —
20
Tacque Merlino avendo cosí detto,
et agio all’opre de la maga diede,
ch’a Bradamante dimostrar l’aspetto
si preparava di ciascun suo erede.
Avea de spirti un gran numero eletto,
non so se da l’inferno o da qual sede,
e tutti quelli in un luogo raccolti
sotto abiti diversi e varii volti.
21
Poi la donzella a sé richiama in chiesa,
lá dove prima avea tirato un cerchio
che la potea capir tutta distesa,
et avea un palmo ancora di superchio.
E perché da li spirti non sia offesa,
le fa d’un gran pentacolo coperchio;
e le dice che taccia e stia a mirarla:
poi scioglie il libro, e coi demoni parla.
22
Eccovi fuor de la prima spelonca,
che gente intorno al sacro cerchio ingrossa;
ma, come vuole entrar, la via l’è tronca,
come lo cinga intorno muro e fossa.
In quella stanza, ove la bella conca
in sé chiudea del gran profeta l’ossa,
entravan l’ombre, poi ch’avean tre volte
fatto d’intorno lor debite volte.
23
— Se i nomi e i gesti di ciascun vo’ dirti
(dicea l’incantatrice a Bradamante),
di questi ch’or per gl’incantati spirti,
prima che nati sien, ci sono avante,
non so veder quando abbia da espedirti;
che non basta una notte a cose tante:
sí ch’io te ne verrò scegliendo alcuno,
secondo il tempo, e che sará oportuno.
24
Vedi quel primo che ti rassimiglia
ne’ bei sembianti e nel giocondo aspetto:
capo in Italia fia di tua famiglia,
del seme di Ruggiero in te concetto.
Veder del sangue di Pontier vermiglia
per mano di costui la terra aspetto,
e vendicato il tradimento e il torto
contra quei che gli avranno il padre morto.
25
Per opra di costui sará deserto
il re de’ Longobardi Desiderio:
d’Este e di Calaon per questo merto
il bel domino avrá dal sommo Imperio.
Quel che gli è dietro, è il tuo nipote Uberto,
onor de l’arme e del paese esperio:
per costui contra barbari difesa
piú d’una volta fia la santa Chiesa.
26
Vedi qui Alberto, invitto capitano
ch’ornerá di trofei tanti delubri:
Ugo il figlio è con lui, che di Milano
fará l’acquisto, e spiegherá i colubri.
Azzo è quell’altro, a cui resterá in mano,
dopo il fratello, il regno degl’Insubri.
Ecco Albertazzo, il cui savio consiglio
torrá d’Italia Beringario e il figlio;
27
e sará degno a cui Cesare Otone
Alda, sua figlia, in matrimonio aggiunga.
Vedi un altro Ugo: oh bella successione,
che dal patrio valor non si dislunga!
Costui sará, che per giusta cagione
ai superbi Roman l’orgoglio emunga,
che ’l terzo Otone e il pontefice tolga
de le man loro, e ’l grave assedio sciolga.
28
Vedi Folco, che par ch’al suo germano,
ciò che in Italia avea, tutto abbi dato,
e vada a possedere indi lontano
in mezzo agli Alamanni un gran ducato;
e dia alla casa di Sansogna mano,
che caduta sará tutta da un lato;
e per la linea de la madre, erede,
con la progenie sua la terrá in piede.
29
Questo ch’or a nui viene è il secondo Azzo,
di cortesia piú che di guerre amico,
tra dui figli, Bertoldo et Albertazzo.
Vinto da l’un sará il secondo Enrico,
e del sangue tedesco orribil guazzo
Parma vedrá per tutto il campo aprico;
de l’altro la contessa glorïosa,
saggia e casta Matilde, sará sposa.
30
Virtú il fará di tal connubio degno;
ch’a quella etá non poca laude estimo
quasi di mezza Italia in dote il regno,
e la nipote aver d’Enrico primo.
Ecco di quel Bertoldo il caro pegno,
Rinaldo tuo, ch’avrá l’onor opimo
d’aver la Chiesa de le man riscossa
de l’empio Federico Barbarossa.
31
Ecco un altro Azzo, et è quel che Verona
avrá in poter col suo bel tenitorio;
e sará detto marchese d’Ancona
dal quarto Otone e dal secondo Onorio.
Lungo sará s’io mostro ogni persona
del sangue tuo, ch’avrá del consistorio
il confalone, e s’io narro ogni impresa
vinta da lor per la romana Chiesa.
32
Obizzo vedi e Folco, altri Azzi, altri Ughi,
ambi gli Enrichi, il figlio al padre a canto;
duo Guelfi, di quai l’uno Umbria suggiughi,
e vesta di Spoleti il ducal manto.
Ecco che ’l sangue e le gran piaghe asciughi
d’Italia afflitta, e volga in riso il pianto:
di costui parlo (e mostrolle Azzo quinto)
onde Ezellin fia rotto, preso, estinto.
33
Ezellino, immanissimo tiranno,
che fia creduto figlio del demonio,
fará, troncando i sudditi, tal danno,
e distruggendo il bel paese ausonio,
che pietosi apo lui stati saranno
Mario, Silla, Neron, Caio et Antonio.
E Federico imperator secondo
fia per questo Azzo rotto e messo al fondo.
34
Terrá costui con piú felice scettro
la bella terra che siede sul fiume
dove chiamò con lacrimoso plettro
Febo il figliuol ch’avea mal retto il lume,
quando fu pianto il fabuloso elettro,
e Cigno si vestí di bianche piume;
e questa di mille oblighi mercede
gli donerá l’Apostolica sede.
35
Dove lascio il fratel Aldrobandino?
che per dar al pontefice soccorso
contra Oton quarto e il campo ghibellino
che sará presso al Campidoglio corso,
et avrá preso ogni luogo vicino,
e posto agli Umbri e alli Piceni il morso;
né potendo prestargli aiuto senza
molto tesor, ne chiederá a Fiorenza;
36
e non avendo gioia o miglior pegni,
per sicurtá daralle il frate in mano.
Spiegherá i suoi vittorïosi segni,
e romperá l’esercito germano;
in seggio riporrá la Chiesa, e degni
dará supplicii ai conti di Celano;
et al servizio del sommo Pastore
finirá gli anni suoi nel piú bel fiore.
37
Et Azzo, il suo fratel, lascierá erede
del dominio d’Ancona e di Pisauro,
d’ogni cittá che da Troento siede
tra il mare e l’Apenin fin all’Isauro,
e di grandezza d’animo e di fede,
e di virtú, miglior che gemme et auro:
che dona e tolle ogn’altro ben Fortuna;
sol in virtú non ha possanza alcuna.
38
Vedi Rinaldo, in cui non minor raggio
splenderá di valor, pur che non sia
a tanta essaltazion del bel lignaggio
Morte o Fortuna invidïosa e ria.
Udirne il duol fin qui da Napoli aggio,
dove del padre allor statico fia.
Or Obizzo ne vien, che giovinetto
dopo l’avo sará principe eletto.
39
Al bel dominio accrescerá costui
Reggio giocondo e Modona feroce.
Tal sará il suo valor, che signor lui
domanderanno i populi a una voce.
Vedi Azzo sesto, un de’ figliuoli sui,
confalonier de la cristiana croce:
avrá il ducato d’Andria con la figlia
del secondo re Carlo di Siciglia.
40
Vedi in un bello et amichevol groppo
de li principi illustri l’eccellenza:
Obizzo, Aldrobandin, Nicolò zoppo,
Alberto, d’amor pieno e di clemenza.
Io tacerò, per non tenerti troppo,
come al bel regno aggiungeran Favenza,
e con maggior fermezza Adria, che valse
da sé nomar l’indomite acque salse;
41
come la terra, il cui produr di rose
le diè piacevol nome in greche voci,
e la cittá ch’in mezzo alle piscose
paludi, del Po teme ambe le foci,
dove abitati le genti disïose
che ’l mar si turbi e sieno i venti atroci.
Taccio d’Argenta, di Lugo e di mille
altre castella e populose ville.
42
Ve’ Nicolò, che tenero fanciullo
il popul crea signor de la sua terra.
e di Tideo fa il pensier vano e nullo,
che contra lui le civil arme afferra.
Sará di questo il pueril trastullo
sudar nel ferro e travagliarsi in guerra;
e da lo studio del tempo primiero
il fior riuscirá d’ogni guerriero.
43
Fará de’ suoi ribelli uscire a vòto
ogni disegno, e lor tornare in danno;
et ogni stratagema avrá sí noto,
che sará duro il poter fargli inganno.
Tardi di questo s’avedrá il terzo Oto,
e di Reggio e di Parma aspro tiranno,
che da costui spogliato a un tempo fia
e del dominio e de la vita ria.
44
Avrá il bel regno poi sempre augumento
senza torcer mai piè dal camin dritto;
né ad alcuno fará mai nocumento,
da cui prima non sia d’ingiuria afflitto:
et è per questo il gran Motor contento
che non gli sia alcun termine prescritto;
ma duri prosperando in meglio sempre,
fin che si volga il ciel ne le sue tempre.
45
Vedi Leonello, e vedi il primo duce,
fama de la sua etá, l’inclito Borso,
che siede in pace, e più trionfo adduce
di quanti in altrui terre abbino corso.
Chiuderá Marte ove non veggia luce,
e stringerá al Furor le mani al dorso.
Di questo signor splendido ogni intento
sará che ’l popul suo viva contento.
46
Ercole or vien, ch’al suo vicin rinfaccia,
col piè mezzo arso e con quei debol passi,
come a Budrio col petto e con la faccia
il campo volto in fuga gli fermassi;
non perché in premio poi guerra gli faccia,
né, per cacciarlo, fin nel Barco passi.
Questo è il signor, di cui non so esplicarme
se fia maggior la gloria o in pace o in arme.
47
Terran Pugliesi, Calabri e Lucani
de’ gesti di costui lunga memoria,
lá dove avrá dal re de’ Catalani
di pugna singular la prima gloria;
e nome tra gl’invitti capitani
s’acquisterá con piú d’una vittoria:
avrá per sua virtú la signoria,
piú di trenta anni a lui debita pria.
48
E quanto piú aver obligo si possa
a principe, sua terra avrá a costui;
non perché fia de le paludi mossa
tra campi fertilissimi da lui;
non perché la fará con muro e fossa
meglio capace a’ cittadini sui,
e l’ornará di templi e di palagi,
di piazze, di teatri e di mille agi;
49
non perché dagli artigli de l’audace
aligero Leon terrá difesa;
non perché, quando la gallica face
per tutto avrá la bella Italia accesa,
si stará sola col suo stato in pace,
e dal timore e dai tributi illesa;
non sí per questi et altri benefici
saran sue genti ad Ercol debitrici:
50
quanto che dará lor l’inclita prole,
il giusto Alfonso e Ippolito benigno,
che saran quai l’antiqua fama suole
narrar de’ figli del Tindareo cigno,
ch’alternamente si privan del sole
per trar l’un l’altro de l’aer maligno.
Sará ciascuno d’essi e pronto e forte
l’altro salvar con sua perpetua morte.
51
Il grande amor di questa bella coppia
renderá il popul suo via piú sicuro,
che se, per opra di Vulcan, di doppia
cinta di ferro avesse intorno il muro.
Alfonso è quel che col saper accoppia
sí la bontá, ch’al secolo futuro
la gente crederá che sia dal cielo
tornata Astrea dove può il caldo e il gielo.
52
A grande uopo gli fia l’esser prudente,
e di valore assimigliarsi al padre;
che si ritroverá, con poca gente,
da un lato aver le veneziane squadre,
colei da l’altro, che piú giustamente
non so se devrá dir matrigna o madre;
ma se pur madre, a lui poco piú pia,
che Medea ai figli o Progne stata sia.
53
E quante volte uscirá giorno o notte
col suo popul fedel fuor de la terra,
tante sconfitte e memorabil rotte
dará a’ nimici o per acqua o per terra.
Le genti di Romagna mal condotte,
contra i vicini e lor giá amici, in guerra,
se n’avedranno, insanguinando il suolo
che serra il Po, Santerno e Zannïolo.
54
Nei medesmi confini anco saprallo
del gran Pastore il mercenario Ispano,
che gli avrá dopo con poco intervallo
la Bastía tolta, e morto il castellano,
quando l’avrá giá preso; e per tal fallo
non fia, dal minor fante al capitano,
che del racquisto e del presidio ucciso
a Roma riportar possa l’aviso.
55
Costui sará, col senno e con la lancia,
ch’avrá l’onor, nei campi di Romagna,
d’aver dato all’esercito di Francia
la gran vittoria contra Iulio e Spagna.
Nuoteranno i destrier fin alla pancia
nel sangue uman per tutta la campagna;
ch’a sepelire il popul verrá manco
tedesco, ispano, greco, italo e franco.
56
Quel ch’in pontificale abito imprime
del purpureo capel la sacra chioma,
è il liberal, magnanimo, sublime,
gran Cardinal de la Chiesa di Roma
Ippolito, ch’a prose, a versi, a rime
dará materia eterna in ogni idioma;
la cui fiorita etá vuol il ciel iusto
ch’abbia un Maron, come un altro ebbe Augusto.
57
Adornerá la sua progenie bella,
come orna il sol la machina del mondo
molto piú de la luna e d’ogni stella;
ch’ogn’altro lume a lui sempre è secondo.
Costui con pochi a piedi e meno in sella
veggio uscir mesto, e poi tornar iocondo;
che quindici galee mena captive,
oltra mill’altri legni, alle sue rive.
58
Vedi poi l’uno e l’altro Sigismondo.
Vedi d’Alfonso i cinque figli cari,
alla cui fama ostar, che di sé il mondo
non empia, i monti non potran né i mari:
gener del re di Francia, Ercol secondo
è l’un; quest’altro (acciò tutti gl’impari)
Ippolito è, che non con minor raggio
che ’l zio, risplenderá nel suo lignaggio;
59
Francesco, il terzo; Alfonsi gli altri dui
ambi son detti. Or, come io dissi prima,
s’ho da mostrarti ogni tuo ramo, il cui
valor la stirpe sua tanto sublima,
bisognerá che si rischiari e abbui
piú volte prima il ciel, ch’io te li esprima:
e sará tempo ormai, quando ti piaccia,
ch’io dia licenzia all’ombre, e ch’io mi taccia. —
60
Cosí con voluntá de la donzella
la dotta incantatrice il libro chiuse.
Tutti gli spirti allora ne la cella
spariro in fretta, ove eran l’ossa chiuse.
Qui Bradamante, poi che la favella
le fu concessa usar, la bocca schiuse,
e domandò: — Chi son li dua sí tristi,
che tra Ippolito e Alfonso abbiamo visti?
61
Veniano sospirando, e gli occhi bassi
parean tener d’ogni baldanza privi;
e gir lontan da loro io vedea i passi
dei frati sí, che ne pareano schivi. —
Parve ch’a tal domanda si cangiassi
la maga in viso, e fe’ degli occhi rivi,
e gridò: — Ah sfortunati, a quanta pena
lungo instigar d’uomini rei vi mena!
62
O bona prole, o degna d’Ercol buono,
non vinca il lor fallir vostra bontade:
di vostro sangue i miseri pur sono:
qui ceda la iustizia alla pietade. —
Indi soggiunse con piú basso suono:
— Di ciò dirti piú inanzi non accade.
Statti col dolcie in bocca, e non ti doglia
ch’amareggiare al fin non te la voglia.
63
Tosto che spunti in ciel la prima luce,
piglierai meco la piú dritta via
ch’al lucente castel d’acciai’ conduce,
dove Ruggier vive in altrui balía.
Io tanto ti sarò compagna e duce,
che tu sia fuor de l’aspra selva ria:
t’insegnerò, poi che saren sul mare,
sí ben la via, che non potresti errare. —
64
Quivi l’audace giovane rimase
tutta la notte, e gran pezzo ne spese
a parlar con Merlin, che le suase
rendersi tosto al suo Ruggier cortese.
Lasciò di poi le sotterranee case,
che di nuovo splendor l’aria s’accese,
per un camin gran spazio oscuro e cieco,
avendo la spirtal femina seco.
65
E riusciro in un burrone ascoso
tra monti inaccessibili alle genti;
e tutto ’l dí senza pigliar riposo
saliron balze e traversâr torrenti.
E perché men l’andar fosse noioso,
di piacevoli e bei ragionamenti,
di quel che fu piú conferir soave,
l’aspro camin facean parer men grave:
66
di quali era però la maggior parte,
ch’a Bradamante vien la dotta maga
mostrando con che astuzia e con qual arte
proceder de’, se di Ruggiero è vaga.
— Se tu fossi (dicea) Pallade o Marte,
e conducessi gente alla tua paga
piú che non ha il re Carlo e il re Agramante,
non dureresti contra il negromante;
67
che, oltre che d’acciar murata sia
la ròcca inespugnabile, e tant’alta;
oltre che ’l suo destrier si faccia via
per mezzo l’aria, ove galoppa e salta;
ha lo scudo mortal, che come pria
si scopre, il suo splendor sí gli occhi assalta,
la vista tolle, e tanto occupa i sensi,
che come morto rimaner conviensi.
68
E se forse ti pensi che ti vaglia
combattendo tener serrati gli occhi,
come potrai saper ne la battaglia
quando ti schivi, o l’aversario tocchi?
Ma per fuggire il lume ch’abbarbaglia,
e gli altri incanti di colui far sciocchi,
ti mostrerò un rimedio, una via presta;
né altra in tutto ’l mondo è se non questa.
69
Il re Agramante d’Africa uno annello,
che fu rubato in India a una regina,
ha dato a un suo baron detto Brunello,
che poche miglia inanzi ne camina;
di tal virtú, che chi nel dito ha quello,
contra il mal degl’incanti ha medicina.
Sa de furti e d’inganni Brunel, quanto
colui, che tien Ruggier, sappia d’incanto.
70
Questo Brunel sí pratico e sí astuto,
come io ti dico, è dal suo re mandato
acciò che col suo ingegno e con l’aiuto
di questo annello, in tal cose provato,
di quella ròcca dove è ritenuto,
traggia Ruggier, che cosí s’è vantato,
et ha cosí promesso al suo signore,
a cui Ruggiero è piú d’ogn’altro a core.
71
Ma perché il tuo Ruggiero a te sol abbia,
e non al re Agramante, ad obligarsi
che tratto sia de l’incantata gabbia,
t’insegnerò il remedio che de’ usarsi.
Tu te n’andrai tre dí lungo la sabbia
del mar, ch’è oramai presso a dimostrarsi;
il terzo giorno in un albergo teco
arriverá costui c’ha l’annel seco.
72
La sua statura, acciò tu lo conosca,
non è sei palmi; et ha il capo ricciuto;
le chiome ha nere, et ha la pelle fosca;
pallido il viso, oltre il dover barbuto;
gli occhi gonfiati e guardatura losca;
schiacciato il naso, e ne le ciglia irsuto;
l’abito, acciò ch’io lo dipinga intero,
è stretto e corto, e sembra di corriero.
73
Con esso lui t’accaderá soggetto
di ragionar di quelli incanti strani:
mostra d’aver, come tu avra’ in effetto,
disio che ’l mago sia teco alle mani;
ma non monstrar che ti sia stato detto
di quel suo annel che fa gl’incanti vani.
Egli t’offerirá mostrar la via
fin alla ròcca, e farti compagnia.
74
Tu gli va dietro: e come t’avicini
a quella ròcca sí ch’ella si scopra,
dágli la morte; né pietá t’inchini
che tu non metta il mio consiglio in opra.
Né far ch’egli il pensier tuo s’indovini,
e ch’abbia tempo che l’annel lo copra;
perché ti spariria dagli occhi, tosto
ch’in bocca il sacro annel s’avesse posto. —
75
Cosí parlando, giunsero sul mare,
dove presso a Bordea mette Garonna.
Quivi, non senza alquanto lagrimare,
si dipartí l’una da l’altra donna.
La figliuola d’Amon, che per slegare
di prigione il suo amante non assonna,
caminò tanto, che venne una sera
ad uno albergo, ove Brunel prim’era.
76
Conosce ella Brunel come lo vede,
di cui la forma avea sculpita in mente:
onde ne viene, ove ne va, gli chiede;
quel le risponde, e d’ogni cosa mente.
La donna, giá prevista, non gli cede
in dir menzogne, e simula ugualmente
e patria e stirpe e setta e nome e sesso;
e gli volta alle man pur gli occhi spesso.
77
Gli va gli occhi alle man spesso voltando,
in dubbio sempre esser da lui rubata;
né lo lascia venir troppo accostando,
di sua condizïon bene informata.
Stavano insieme in questa guisa, quando
l’orecchia da un rumor lor fu intruonata.
Poi vi dirò, Signor, che ne fu causa,
ch’avrò fatto al cantar debita pausa.