< Pagina:Agabiti - Ipazia la Filosofa, 1910.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.

— 27 —

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Agabiti - Ipazia la Filosofa, 1910.djvu{{padleft:28|3|0]]

Ipazia morì come Eco; come Orfeo che fu dilaniato dalle Menadi, offerto in olocausto al dio delle orgie! Cantavano le ebbre baccanti, secondo il Poliziano:

Per tutto il bosco l’abbiamo stracciato,
Talchè ogni sterpo del suo sangue è sazio;
Abbiamlo a membro a membro lacerato
Per la foresta con crudele strazio,
Sicchè ’l terren del suo sangue è bagnato.[1]

E nessuno v’era a difenderla, non Oreste, nemmeno Sinesio, l’appassionato vescovo e poeta che le aveva scritto: «Se l’oblio avvolge i mortali di là dall’Erebo, là pure io mi ricorderò ancora d’Ipazia»!...

E se non fosse storia, confermataci da tante fonti, noi, assomigliando la morte d’Ipazia a quella d’Orfeo, a quella, anche, di Cristo, («et diviserunt vestimenta mea»), a quella della mitologica, soave vergine Eco, od, infine, di Osiride, Dio Redentore degli Egiziani, diremmo che la morte d’Ipazia è leggendaria, è simbolica; perchè, diremmo, piacque sempre così, figurar la fine della vita terrena degli Eletti che si sacrificarono per l’Umanità.

Longo Sofista[2] scrive che le membra del bel corpo vibrante di canti della ninfa Eco, furono raccolte dalle compagne, pietosi spiriti delle [3]

  1. Poliziano - «Orfeo», Atto V.
  2. v. Gli amori di Dafne e Cloe (Ultima versione italiana di P. Borrelli. Napoli, Soc. Editr. Partenopea, 1900). A pag. 97-98 sta scritto: «Vi sono, mia carissima, molte sorta di Ninfe, quelle dei boschi, le palustri e le cantatrici; tutte musiche; e ad una di esse fu figlia Eco, mortale, perchè suo padre fu un uomo, e bellissima perchè sua madre era bella. Fu allevata tra le Ninfe, le muse le insegnarono a suonar la fistola con tal perfezione che sembrava ora lira, ora cetra, or flauto, or qualsiasi altro strumento. Essa era in sul fiore della giovinezza, e danzava con le Ninfe e cantava con le Muse; ma amava tanto la sua verginità, che schivava tutti i maschi, uomini o dei: e Pane, geloso delle sue rare doti musicali e crucciato di non averne potuto ottenere i favori, mise tal furore ne petti dei villici e dei pastori che, come lupi e cani rabbiosi, si gettarono sull’infelice giovanetta e la tagliuzzarono e la sbranarono tutta, spargendo pei campi i brani del suo bel corpo ancora canoro. La terra, per favor delle Ninfe, raccolse tutti i canti di lei e ne conservò la musica; e per voler delle Muse, ripete le voci ed i suoni, come faceva giovanetta in vita, di dei, uomini, fiere, strumenti; e Pane stesso quando suona la zampogna, sentendo imitate le sue note musicali, balza e si precipita pei monti, non da altro spinto, che dalla gelosia di rintracciare l’alunna ascosa, che ripete la sua musica, e che egli non vede nè conosce.»
  3. contro pagani ed israeliti, ha forse una responsabilità solo indiretta. Così commenta il cristiano Socrate Scolastico; aggiungendo: Questo fatto trasse su Cirillo e sulla Chiesa alessandrina non lieve rimprovero. Poichè a coloro che seguono le vie di Cristo sono straniere e lotte e stragi e simili violenze.».
Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.