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60 il volta alpinista

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Alessandro Volta, alpinista.djvu{{padleft:66|3|0]] passo per passo, l’interna struttura. Avrà avuto il grande fisico, dall’alto dei due valichi, un lampo profetico di quel che ne sarebbe avvenuto cent’anni dopo? [1]


  1.    Speciale menzione merita il viaggio compiuto nel 1779 nella Svizzera da Lazzaro Spallanzani, il cui diario venne stampato nel 1842 in fondo al volume ottavo dell’opera: Lettere di vari illustri italiani del secolo XVIII e XIX a’ loro amici e de’ massimi scienziati e letterati nazionali e stranieri al celebre abate Lazzaro Spallanzani e molte sue risposte ai medesimi ora per la prima volta pubblicate (Reggio, coi tipi Torregiani e Compagni, volumi dieci). Il manoscritto si conserva tuttodì, assieme a tanti altri (193 tomi), nella Biblioteca Comunale di Reggio, ed è strano che nell’elenco delle opere dello Spallanzani, compilato in occasione dell’inaugurazione del monumento a Scandiano (Modena a Lazzaro Spallanzani, Modena, tip. A. Namias, 1882) esso venga riferito ancora fra le opere inedite!
       Questa relazione del naturalista modenese non consta che di pochi appunti, talvolta in lingua francese, presi currenti calamo, senza ordine alcuno e con frequenti ripetizioni: di alpinistico v’ha quasi nulla. Egli cita le varie città visitate e dà di ciascuna qualche particolare, a somiglianza delle guide, insistendo però nelle parti naturalistiche, descrizioni di musei, ecc. Il titolo è: Viaggio alla Svizzera, e porta la data 13 luglio 1779. Incomincia da Pavia e descrive volta a volta le città di Tortona, Asti Torino e Susa. Del Moncenisio così parla: “Ascendendo il Monte Cenisio si trova a destra ed a sinistra della montagna una quantità di fontane rigogliose, che escono dalle pietre cavernose, e vengono a formare un torrente considerevole. Avuto riguardo alle nevi che sono in alcune sommità, ed anche a qualche glacier, non si può dire assolutamente, che tai fonti nascono precisamente dalle nevi squagliate, non potendo queste nell’annualmente squagliarsi essere bastanti. Questo però può spiegarsi per via degli idrofilaci sotterranei prodotti della neve. Ascendendo fino alla cima evvi un auberge chiamato la grande-croix, e qui evvi un piccolissimo laghetto; ma il lago enormemente più grande dove si pesca molta trotta è più avanti, ed è chiarissimo ed azzurrissimo. Non è per altro sulla sommità, ma anzi in una bellissima e spaziosissima valle, circondata da montagne aventi in cima della neve. Sul fondo, dalla parte opposta, cioè dove finisce il Monte Cenisio, si vede verso mattino un monte altissimo, dove la neve si estende dalla cima fino ad una considerevole discesa, e lo stesso è d’un altro monte verso ponente. Qui veramente sono dei veri glaciers d’una estensione ciascheduno di 3 in 4 miglia„.
       Continuando a trattare del Moncenisio accenna a due pietre osservate nel tragitto da Torino al valico, una roccia micacea ed un gesso bianchissimo, delle quali si riserba di fare un esame minuto. Dice: “Sulla cima del Moncenisio ed in quella lunga valle ci sono molte e molte case, e la gente quivi nata ed educata non può avere più bel colore di salute: locchè sicuramente si deve ascrivere all’aria, ai cibi, all’acqua, ecc.; difatti io stesso colà giunto mi sentivo tutto alleggerito, tutto in miglior salute„. Discorre quindi di Chambéry, di Ginevra — accennando alle collezioni del De Saussure e del De Luc, che visitò attentamente — di Berna, di Soleure, di Basilea — ricordandone la biblioteca pubblica di Zurigo — intrattenendosi sui gabinetti del Gessner, del Lavater e dello Shultess — e di Lucerna. A proposito di questa città dice poche parole intorno al lavoro in rilievo del generale Pfiffer — scrive Fifer — chiamandolo la “macchina„ e notando che “è qualche cosa di singolare„. Continua con un breve articoletto di osservazioni generali sulla Svizzera, e passa in rassegna i paesi di Morat, Payene, Moudon, Vevey, Villeneuve e Martignì, adoperando per alcuni di questi la lingua francese. Narra d’aver visitato da presso il ghiacciaio della Valsoret, ma si limita a scrivere: “Ce glacier m’est si imprimé dans la fantasie que je ne trouve pas nécessaire de le décrire„. E dopo aver enumerate alcune pietre che si incontrano sulla via di questi monti, viene al Convento di San Bernardo, ma senza descriverne il valico e solo riferendo alcune notizie tolte al Bourrit, nè fa parola del restante del viaggio: dice solo d’essere disceso a St-Remy, e poi parla d’Aosta, d’Ivrea e di Vercelli colle solite osservazioni generiche sui singoli paesi. E così finisce la relazione del viaggio, cui fa seguito un breve cenno, in data 19 marzo 1780, di una corsa a Genova.
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