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di vittorio alfieri | 91 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Alfieri - Rime scelte, Sansoni, 1912.djvu{{padleft:119|3|0]]
Il cui nome la storia non rimembra,
Ed ha gran torto; ché desío verace82
Di acquistar fama al suo signor lo spinse
Là dove ogni altro sprone era fallace.[1]
Spesso in battaglia è il palafren che vinse,85
Giungendo ardire a chi premeagli il dorso,
Sí che a far maraviglie lo costrinse.[2]
Cosí a Sole convien ch’io freni il corso,88
Perché alle voglie sue fervide ed alte
Pone il mio secol vile un duro morso.[3]
Pazïenza è mestier che il cor mi smalte;[4]91
Che, se il fero corsiero al far m’inspira,
Mia stella vuol ch’io gli altrui fatti esalte.[5] —
Ma fuor di stalla mi ha tirato l’ira;94
Mentre tutti al presepio[6] or ci condanna
Quel poter, contro cui nullo[7] si adira.
Torno a Sole, di cui molto mi affanna97
Quella gamba di dreto[8] cosí grossa,
Che un cotal po’ pur sua bellezza appanna:
Non sua bontà; ch’ei con la stessa possa100
E sale e scende e trotta e salta e corre;[9]
Assai piú l’affatica,[10] e meno ingrossa.
Ma spero che tal macchia abbiangli a tôrre103
- ↑ 84. Fallace, inutile.
- ↑ 85-87. Il Guerrazzi, nella Serpicina, immagina che il cavallo dica dell’uomo: «.... lui trepidante trasportai in mezzo alle battaglie e lo resi, suo malgrado, glorioso....».
- ↑ 90. Un duro morso, un invincibile impedimento.
- ↑ 91. Mi smalte, mi rivesta, mi copra. Nel son. L’adunco rostro e il nerboruto artiglio, a proposito del suo casato, scrive l’A.:
il sosterrò, se basto,
Con ali e rostro e artigli, e cor di smalto. - ↑ 93. S’intende, nelle tragedie.
- ↑ 95. Al presepio, a vivere, come bestie, di pura vita vegetale e senza volontà.
- ↑ 96. Nullo, nessuno. Tutta questa disgressione, (85-96) che scappa fuori improvvisa e ardita qua, dove meno si aspetterebbe, può richiamare alla mente, in special modo verso la fine, alcuni versi del Giusti, che le rime dell’A. ebbe assai piú familiari di quello che generalmente si pensi: nel Gingillino egli scrive:
Quando il patrizio, a stimolar la vana
Cascaggine dell’ozio e della noia
Si tuffa nella schiuma oltramontana...
Malinconico pazzo che si giova
Del casto amplesso della tua beltade [di Firenze
Sempre a tutti presente e sempre nova,
Lento s’inoltra per le mute strade
Ove piú lunge è il morbo delle genti
Ed ove l’ombra piú romita cade.
Paragona locande e monumenti
E l’antica larghezza e il viver gretto
Dei posteri mutati in semoventi;
E degli avi di sasso nel cospetto
Colla mente in tumulto e l’occhio grosso
Di lacrime d’amore e di dispetto,
Gli vien la voglia di stracciarsi addosso
Questi panni ridicoli, che fuore
Mostrano aperto il canchero dell’osso
E la strigliata asinità del core. — - ↑ 98. Dreto è forma popolare toscana per dietro.
- ↑ 101. Anche questo mi pare un bel verso, opportunamente spezzato, ad indicare il vario muoversi del cavallo.
- ↑ 102. L’affatica, si intende la gamba di dietro.
- ↑ ragine. È ricordato anche nell’Autobiografia, IV, 1.°