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di vittorio alfieri 127

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Or (cieca scorta) ode il mio sol furore;
E d’un pestifero angue[1] ascolto i sibili.
Che mi addenta, e mi attosca[2] e squarcia il cuore
8 In modi mille, oltre ogni dir terribili:
Or, tra ferri e veleni, e avelli ed ombre,
La negra fantasía piena di sangue
11 Le vie tutte di morte hammi disgombre:
Or piango, e strido; indi, qual corpo esangue,
Giaccio immobile; un velo atro m’ha ingombre
14 Le luci; e sto, qual chi morendo langue.[3]

CXXVIII [clxxiii].[4]

Perché ami la solitudine.

Tacito orror di solitaria selva
Di sí dolce tristezza il cor mi bea,
Che in essa al par di me non si ricrea[5]
4 Tra’ figli suoi nessuna orrida belva.
E quanto addentro piú il mio piè s’inselva,[6]
Tanto piú calma e gioia in me si crea;
Onde membrando com’io là godea,
8 Spesso mia mente poscia si rinselva.
Non ch’io gli uomini abborra, e che in me stesso
Mende non vegga, e piú che in altri assai;
11 Né ch’io mi creda al buon sentier piú appresso:[7]
Ma, non mi piacque il vil mio secol mai:
E dal pesante regal giogo oppresso,
14 Sol nei deserti[8] tacciono i miei guai.


  1. 6. Angue, serpente.
  2. 7. Mi attosca, mi avvelena.
  3. 9-14. Prima, la crisi nervosa con le sue fosche visioni, ove ricompaiono, confusi, gli elementi di tutto il teatro alfieriano (ferri e veleni, avelli ed ombre), col pianto e con le grida disperate, poi, la prostrazione che tien dietro inevitabilmente a tale stato di sovraeccitazione, da ultimo lo smarrimento dei sensi. — Disgombre, part. per disgombrate. — Atro, scuro.
  4. Nel ms.: «27 agosto: tra gli abeti, ai Tre Castelli».
  5. 3. Non si ricrea, non si ristora.
  6. 5. S’inselva, ritorna entro la selva: le rime delle quartine di questo sonetto non sono delle piú felici, sebbene il Poliziano ne dia, nella Giostra, l’esempio.
  7. 11. Né che io mi creda piú degli altri vicino al sentiero della virtú.
  8. 14. Nei deserti, nei luoghi solitari.
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