< Pagina:Alfieri - Rime scelte, Sansoni, 1912.djvu
Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta.

di vittorio alfieri 165

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Alfieri - Rime scelte, Sansoni, 1912.djvu{{padleft:193|3|0]]

Cosí poi desïando, e oprando, prede
Tutti cadiam della nemica Atrópo:[1]
Né disinganno arreca a chi vien dopo
8 Lo stuol deriso immenso, che il precede.
Chi in falsi onori, e chi in ricchezza il senno
Perde, invecchiando in vergognose fasce;[2]
11 E muor, senza al ben vivere far cenno.[3]
Altri gode, di guerra infra le ambasce;
Altri (e ben so cui, nol volendo, accenno)[4]
14 Il cor di mobil vana aura si pasce.[5]

CLXII.[6]

Si vergogna della propria ignoranza.

Tardi or me punge del Saper la brama;
Me, cui finora non pungea ’l rossore
Del Non-saper, mentr’iva, ebro d’errore,
4 Dal coturno[7] tentando acquistar fama.
Nulla di quanto l’uom scïenza chiama,
Per gli orecchi mai giunto erami al cuore:
Ira, vendetta, libertade, amore,
8 Suonava io sol, come chi freme ed ama.[8]


  1. 6. Atropo, (l’inflessibile), per la rima Atròpo, quella fra le Parche destinata a tagliare il filo della vita umana.
  2. 10. In vergognose fasce, eternamente bambino.
  3. 11. Dante (Purg., VI, 139 e segg.):
    Atene e Lacedemona, che fenno
    L’antiche leggi, e furon sí civili
    Fecero al viver bene un picciol cenno
    Verso di te...
  4. 13. Il Poeta accenna evidentemente a se stesso.
  5. 14. La mobil vana aura, è la Gloria. Considerate tutte insieme, queste due terzine ricordano i versi di Dante (Par., XI, 1 e segg.):
    O insensata cura dei mortali,
    Quanto son difettivi sillogismi,
    Quei che ti fanno in basso batter l’ali!
    Chi dietro ad iura, e chi ad aforismi
    Sen giva, e chi seguendo sacerdozio,
    E chi regnar per forza o per sofismi,
    E chi rubare, e chi civil negozio,
    Chi nel diletto della carne involto,
    S’affaticava, e chi si dava all’ozio;
    Quando, da tutte queste cose sciolto,
    Con Beatrice m’era suso in cielo
    Cotanto glorïosamente accolto.
  6. «Meglio tardi che mai. Trovandomi dunque in età di anni 46 ben suonati, ed aver bene o male da 20 anni esercitata e professata l’arte di poeta lirico e tragico, e non aver pure mai letto né i tragici greci, né Omero, né Pindaro, né nulla in somma, una certa vergogna mi assalí, e nello stesso tempo anche una lodevole curiosità di vedere un po’ cosa aveano detto quei padri dell’arte». Cosí l’A. nell’Autobiografia all’anno 1795, e allo stesso irresistibile desiderio di apprendere che lo aveva assalito e alle gravi difficoltà che incontrava l’A. nel sodisfarlo, si riferisce il sonetto che ho surriportato e che egli ideò il 24 novembre, mentre passeggiava sulla riva d’Arno, al Pignone.
  7. 4. Dal coturno, dall’opera tragica.
  8. 7-8. Poiché in me parlava solo l’ira, la vendetta, la libertà, l’amore, di ciò solo cantai.
Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.