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232 dalle «satire»

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Satira Quinta.[1]

Le Leggi.

«Le Leggi son; ma chi pon mano ad esse?»[2]
Cosí esclamava il mio divin Poeta;[3]
3 Ed io ’l ripeto con sue voci stesse.
Ma un po’ di giunta a quel sovran Pianeta
Farò, se ho tanto polso,[4] comentando;
6 Io, trista coda di sí gran Cometa.
Le Leggi (egregio nome venerando)
Parmi sien quelle, a cui libero senno
9 Di pochi o d’uno dié ’l sovran comando.[5]
Leggi son, quando a niuno obbedir denno:[6]
L’altre cui stampa Onnivolere[7] insano,
12 Che al volere dei piú non fa pur cenno,[8]
Son di Leggi un sinonimo profano
Che dei regnanti giace sotto a’ piedi;
15 E ad esse, sol per nuocer, si pon mano.
Della Chiosa e del Testo in un mi vedi
Sbrigato: or supplirò, Lettor, col mio,[9]
18 Se d’udïenza alquanto mi concedi.
Silogizzando con severo brio
Vengo ad espor le non-giustizie[10] tante,
21 Per cui paghiam del servir nostro il fio.
Chi può tutto, vuol tutto: indi alle sante
Eque leggi dell’uomo primitive
24 L’util proprio privato ei manda innante.[11]
Le costui leggi adunque in sangue scrive
La Ingiustizia, che ascosa in bianco velo[12]
27 Le virtú vere tacita proscrive.


  1. Questa satira fu cominciata il 15 novembre 1795, e terminata il 1° dicembre.
  2. 1. Dante, Purg., XVI 97.
  3. 2. Altrove, rivolgendosi a Dante, l’A. lo chiama Signor d’ogni uom che carmi scriva.
  4. 5. Se ho tanto polso, se son sufficiente a sí grande opera.
  5. 7-9. Leggi son dunque per l’A. quelle che, liberamente emanate dal monarca o da pochi, sono state accolte dall’universale come supreme regolatrici.
  6. 10. Quando, cioè, esse veramente sieno uguali per tutti.
  7. 11. Onnivolere, autorità arbitraria e sconfinata.
  8. 12. Non fa pur cenno, espressione foggiata sulla dantesca (Purg., VI, 141):
    Fecero al viver bene un picciol cenno.
  9. 16-17. Il testo, la definizione, è contenuta ne’ versi 7-9, la chiosa, la nota, nei versi 10-15.
  10. 20. Non-giustizia pare a me, od è, piú efficace che ingiustizia.
  11. 24. Manda innante, prepone.
  12. 25. Le costui leggi, le leggi dell’onnivolente. — In bianco velo, per simulare il candore.
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