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68 rime varie

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LV [lxxvi].[1]

Alla città di Genova.

Nobil città, che delle Liguri onde
Siedi a specchio, in sembiante altera[2] tanto;
E, torreggiando al ciel da curve sponde,
4Fai scorno[3] a’ monti onde hai da tergo ammanto;
A tue moli superbe, a cui seconde
Null’altre Italia d’innalzare ha il vanto,
Dei cittadini tuoi chè non risponde
8L’aspetto, il cor, l’alma, o l’ingegno alquanto?
L’oro sudato,[4] che adunasti e aduni,
Puoi seppellir con minor costo in grotte,
11Ove ascondan se stessi, e i lor digiuni.[5]
Tue ricchezze non spese, eppur corrotte,[6]
Fan d’ignoranza un denso velo agli uni;
14Superstizion tien gli altri; a tutti è notte.[7]


  1. Di Genova l’A. fu sempre caldo ammiratore – come poteva essere diversamente? – fin da quando, nell’autunno del ’65, vi pose piede la prima volta. «La vista del mare mi rapí veramente l’anima, e non mi poteva saziare di contemplarlo», scrive egli al cap. 10° dell’ep. II dell’Aut.». «Cosí pure la posizione magnifica e pittoresca di quella superba città, mi riscaldò molto la fantasia. E se io allora avessi saputa una qualche lingua, ed avessi avuti dei poeti per le mani avrei certamente fatto dei versi...». Non altrettanto gli piacquero i Genovesi, dei quali cosí parla nella sat. I viaggi:
    Calda vaghezza, che non dà mai pace
    Mi spinge in volta: e in Genova da prima
    I passi avidi miei portar mi face.
    Ma il Banco, e il Cambio, e sordidezza opima,
    E vigliacca ferocia, e amaro gergo
    Sovra ogni gergo che l’Italia opprima,
    E ignoranza, e mill’altre ch’io non vergo
    Note anco ai ciechi Liguresche doti
    Tosto a un tal Giano mi fan dare il tergo;
    parole che hanno la loro conferma nel presente sonetto, privo nel ms. di data, ma che può ragionevolmente riferirsi alla metà di ottobre del 1783, nel qual mese e nel quale anno l’A. fu due o tre giorni a Genova (Aut., IV, 12°), per imbarcarsi alla volta dell’Inghilterra.
  2. 2. Altèra; Genova è comunemente detta la superba.
  3. 4. Fai scorno, superi, vinci.
  4. 9. Veramente sudato, poiché i Genovesi furono, e sono tuttora, tenacissimi lavoratori.
  5. 11. Con questi digiuni l’A. allude, credo io, alla vita straordinariamente frugale de’ Genovesi (Vegg., a questo proposito, il sonetto: Ai Fiorentini il pregio del bel dire): a differenza de’ Lombardi, che lavorano per poi divertirsi, i Genovesi amano il lavoro e il denaro in se stessi, né cercano nella vita agi e comodità. Tutta questa terzina è però mal congegnata e non molto chiara, co’ primi due versi che si riferiscono a Genova e il terzo ai Genovesi.
  6. 12. L’azione della commedia alfieriana Il divorzio, specchio della corruzione domestica dell’Italia nel secolo xviii, si svolge proprio a Genova.
  7. 14. Tutti sono nelle medesime tenebre dell’ignoranza e della superstizione.
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