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332 saggio sopra la necessità

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Non pochi belli ingegni francesi tentarono nel passato secolo di comporre nella nostra lingua, quando le cose italiane erano di là da’ monti in tanta riputazione, che non era tenuto gentile chi non sapeva delle nostre maniere, non dotto chi non avea gran dimestichezza co’ nostri autori. Venne fatto a quel tempo ad alcuni Francesi di raccozzare a forza d’imitazione un qualche componimento che aveva assai di sembianza e anche di genio italiano. Tali sono tra parecchi altri esempi che addurre se ne potrebbono, le Vite di Lionardo da Vinci e di Leonbatista Alberti scritte da Raffaello Dufresne, e alcune cose singolarmente del Menagio [1]. Pochi de’ nostri uomini furono nella nostra lingua più dotti di lui. Ma a niun Francese meglio riuscì di scrivere in italiano quanto all’abate Regnier, il quale all’Accademia della Crusca seppe ordire quell’illustre suo inganno contrafacendo una canzone come se fosse del Petrarca, ed arricchì la Toscana di una versione di Anacreonte, che sopra quelle medesimamente de’ Toscani meritò palma e corona. Se non che, a parlar giustamente, fu il Regnier nella poesia come

  1. Assai grazioso tra gli altri è quel suo madrigale:

    O strana sorte e ria!
    E chi lo crederia?
    A te pur sola dissi,
    A te pur sola scrissi
    L’amoroso mio affanno;
    A tutt’altri ’l celai:
    E pur tutti lo sanno,
    Tu sola non lo sai.

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