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condannati ad essere mai sempre ridicoli dal Satirico francese. Troppo avea dello strano che uomini tali esser dovessero i legislatori del bel parlare. Fu posto tra le altre a sindacato quel loro decreto intorno all’uniformità della costruzione, per cui il nominativo deve sempre aprir la marcia del periodo tenendo il suo addiettivo per mano; séguita il verbo col fido suo avverbio, e la marcia è sempre chiusa dall’accusativo, che per cosa del mondo non cederebbe il suo posto. Dicevano che il costringer la lingua a camminar sempre di un modo, come fanno le camerate de’ seminaristi i più picciolini innanzi e dietro i più grandicelli di mano in mano col prefetto in coda, che il privarla di ogni trasposizione è un renderla fredda e stucchevole, è un privarla del miglior mezzo di allontanare le espressioni le più semplici dal comune parlare, è un tagliarle la via di sostenersi sicché non dia nel basso. Infatti quel verso di Orazio, ponendo un esempio,

Quo teneam vultus mutantem Protea nodo?

non sarebbe egli cosa triviale, e non darebbe in terra, se il poeta fosse stato da una più rigorosa grammatica costretto di dire

Quo nodo teneam mutantem Protea vultus?

E lo stesso sarebbe di quell’altro nostro

In campo nero uno armellino ha bianco,

che saria bassissimo, se al grazioso autore fosse convenuto dire

In campo nero ha un armellino bianco.
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