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Sembra ch’ella fosse a quei tempi più convenevole al genio e all’indole della nazione che in essa parlava. Né già niuno potrà maravigliarsi abbastanza come una lingua così regolata, così ristretta, così timida, quale ella è ridotta presentemente, sia nelle bocche di una nazione così viva, pronta e animosa, quale è la francese. Sarà questo per avventura uno de’ più illustri esempi della forza che ha la legislazione di vincer la natura. Malgrado la indole della nazione, malgrado le doglianze de’ più celebri scrittori, tenne fermo l’Accademia quasi una letteraria cittadella posta sopra l’ingegno e la fantasia della nazione e piantata nel Louvre. Fondata dal re in tempo che dal cardinale di Richelieu erasi fatto man bassa sulle libertà dei Francesi, tenne anch’essa della condizione del governo, e trovò quelli più docili al giogo. Tutte quelle espressioni che aveano del robusto e dell’animoso, parvero troppo ardite in un paese già vinto dalla monarchia e ammollito dalle arti cortigianesche e dalla servitù. Montagna fu segnatamente proscritto dall’Accademia, come autore troppo libertino nella lingua e sedizioso; quegli senza di cui ella non avrebbe fatto che acqua da occhi, a detto di non so chi[1]. Divennero sempre più rigorose le regole della grammatica secondo che più assoluto si fece il governo. E l’Accademia, con esse alla mano, forma anche a’ dì nostri il processo a’ più chiari

  1. "Sans les Essays de Montaigne l’Académie ne fera que de l’eau claire".
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