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atto secondo. 35

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erano rivolte contro Vostra Maestà. Sdegnato che si abusasse così della sua vecchiaja, delle sue infermità, della sua impotenza, volle fare arrestare Fortebraccio, che, venuto in presenza del re, ebbe fieri rimproveri, e giurò di deporre ogni idea di guerra contro Vostra Maestà. Il vecchio zio, commosso da quel ravvedimento, gli ha assegnato tremila scudi all’anno, e gli consente di valersi dei soldati raccolti contro la Polonia. Egli vi chiede in questo foglio (dandogli una pergamena) che vogliate concedere nei vostri dominii il passo a quelle genti per l’impresa accennata, colle condizioni e guarentige che sono qui registrate.
RE.
La cosa ci piace, e in tempo più opportuno leggeremo questo scritto, mediteremo il suo contenuto, e risponderemo. Frattanto vi ringraziamo dell’opera vostra così felicemente riuscita; andate a riposare; questa notte banchetteremo insieme: siate i ben tornati! (Escono Voltimando e Cornelio.)
POLONIO.
Questo negozio è giunto a buon porto. Mio sovrano e mia signora, dimostrare cosa dovrebbe essere la sovranità o cosa l’obbedienza, perchè il giorno è giorno, la notte è notte, e il tempo tempo, sarebbe un consumare la notte, il giorno e il tempo. Perciò, dacchè la brevità è l’anima dello spirito, come le lungaggini ne sono le membra e la pompa esteriore, sarò breve. Il vostro nobile figlio è insanito; insanito io lo chiamo; imperocchè, per ben definire la vera insanìa, che è ella se non di essere null’altro che insano? Ma andiamo oltre.
REGINA.
Più sostanza e meno arte.
POLONIO.
Signora, giuro che non uso alcun’arte. Ch’egli sia insano, è vero; è vero che è male, ed è male che sia vero; una curiosa antitesi, ma accoglietela qual è, perchè io non voglio usare arte alcuna. Ammettiamo dunque che sia insano; ora rimane da discoprire la cagione di questo effetto, o, direi meglio, la causa di questo difetto, avvegnache questo effetto difettoso proceda da una causa. Ecco quel che resta a fare; e il rimanente è questo. Badate, io ho una figlia; l’ho finchè è mia; la quale, obbediente e sottomessa, attendete bene, mi ha dato questo (mostrando un foglio). Udite adesso e meditate: «Alla celeste Ofelia, idolo della mia anima, beltà divinizzata;» la frase è cattiva, pessima frase; «divinizzata» è una pessima frase;[1] ma ora sentirete: «Questi versi mantenga ella nel suo nobile e bianco seno.»
  1. Frase comune nelle dediche alle dame ai tempi di Shakspeare.
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