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E tutto ciò per nulla! Per Ecuba! Che è Enea per lui, o egli per Ecuba che per lei debba piangere? Che farebbe egli se avesse per addolorarsi le cause che ho io? Inonderebbe la scena di lagrime, e intronerebbe gli orecchi di tutti con voci disperate; farebbe impazzire il colpevole e impallidir l’innocente, sbigottirebbe i semplici e empirebbe gli occhi e le orecchie di stupore. Ed io, stupido intelletto, anima di mota, rimango vilmente inerte e nulla dico: nulla per un re a cui fu tolto si infamemente e trono e vita. Sono io un vile? Chi m’infrange la testa e mi strappa i peli del mento per gettarmeli in faccia? Chi mi batte la gota[1] e afferma che ho mentito, e mi ricaccia la mentita fino nel profondo della gola?[2] Chi fa ciò con me? Oh io lo tollererei, perocchè bisogna ch’io sia molle come la colomba e senza fede per le ingiurie, o altrimenti avrei già impinguato tutti gli avvoltoi del paese col cadavere di questo scellerato, cruento, incestuoso schiavo! Traditore senza rimorsi, ipocrita, infame scellerato! Oh vendetta... Stupido ch’io sono! Affè che è bello il vedere me, figlio di un caro trucidato, me, che il cielo e l’inferno spingono alla vendetta, sfogare come una prostituta in parole lo sdegno e proferir vane imprecazioni![3] Obbrobrio! obbrobrio! All’opera, mio intelletto! Intesi dire di colpevoli che assistendo ad una rappresentazione drammatica rimasero cosi scossi dal magistero della scena, che tosto si diedero a proclamare i loro delitti; imperocchè, l’omicidio, sebbene non abbia lingua, si fa intendere con voce prodigiosa. Farò recitare da questi commedianti, dinanzi a mio zio, qualcosa che ricordi l’uccisione di mio padre, osserverò il suo aspetto: lo scruterò addentro; s’egli impallidisce, so ciò che debbo fare. Lo spettro che vidi poteva essere il demonio; e al demonio è concesso di assumere nobili forme; egli è potente sulle anime malinconiche; e forse abusando della mia debolezza e del mio dolore, cerca i mezzi per dannarmi. Vuo’ acquistare una certezza migliore, e il dramma è la rete[4] con cui prenderò la coscienza del re. (Esce.)
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