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atto terzo. 63

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Entra Amleto

AMLETO.
Ora potrei farlo, il momento è propizio, egli prega, ed ora lo farò... ma così va in cielo, e sono io per tal modo vendicato? A questo vuol badarsi. Uno scellerato mi uccide il padre, ed io suo solo figlio mando perciò in cielo quello stesso scellerato. Oh sarebbe un guiderdone, non una vendetta! Egli uccise mio padre mentre usciva dai piaceri del banchetto, pieno di peccati, vivi e rigogliosi come il maggio; e chi sa, fuori dal cielo, qual conto potesse dare di sè?... Ma non v'è forse ragione di credere che un gran castigo gli sia stato riserbato? Or mi vendico io uccidendo costui mentre purifica la sua anima, mentre egli è nelle migliori condizioni pel suo passaggio? No, rientra nel fodero, mia spada, e apparecchiati a vibrare un colpo più orribile. Quando sia ebbro, addormentato o in un accesso di collera, o nei piaceri incestuosi del suo letto, o al giuoco, o colla bestemmia alle labbra, o in qualche atto che non dia speranza di salvazione, allora, allora percuoti onde il cielo gli si chiuda dinanzi,[1] e la sua anima sia maledetta e nera come l'inferno in cui precipita. — Mia madre mi aspetta... Questa medicina prolunga soltanto i tuoi infermi giorni. (Esce.)


Il Re si alza e si avanza.

RE.
Le mie parole si innalzano, i miei pensieri rimangono a terra; né mai le parole senza i pensieri poterono salire al cielo. (Esce.)

SCENA IV.


Un’altra stanza della reggia.

Entrano la Regina e Polonio

POLONIO.
Verrà subito. Pensate a fargli gravi rimproveri; ditegli che le sue bisbetichezze sono state spinte tant'oltre da non potersi tollerare, che vostra grazia lo ha difeso e si è frapposta fra lui e una gran collera.[2] Io mi starò costà silenzioso. Pregovi, parlategli a dovero
AMLETO.
(di dentro). Madre! madre! madre!
REGINA.
Lo farò, non temete; ritiratevi, l’odo venire. (Polonio si nasconde.).

  1. Onde i suoi calcagni diano un calcio al cielo, cioè volga a questo le spalle
  2. Quella del re, sottinteso.
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