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atto terzo. 67

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; REGINA.: Questa è opera del tuo cervello; il delirio è fecondo nel creare queste vane larve.
AMLETO.
Il delirio! il mio polso è regolare come il vostro e batte in cadenza uguale; non è demenza quello ch'io dissi. Ponetemi alla prova e lo ripeterò, nè ciò è proprio della clemenza. Madre, per amore della grazia, non vi pascete della bugiarda idea che è la mia follia che, parla e non la vostra colpa; ciò sanerebbe al di fuori la piaga che invisibile nell’interno continuerebbe a diffondere la corruzione. Confessatevi al cielo, rimpiangete quanto avvenne; evitate quello che sta per accadere e non alimentate le erbe venefiche per renderle vieppiù micidiali. Perdonatemi questo linguaggio della virtù avvegnachè nella corruzione di questi tristi tempi la virtù debba impetrar perdono dal vizio e ottenere per grazia il permesso di giovargli.
REGINA.
Oh Amleto! tu mi hai spezzato il cuore!
AMELTO.
Oh gettatene lungi da voi la parte corrotta e vivete di più pura vita coll'altra. Addio, ma non andate al letto di mio zio; se non avete virtù, assumetene almeno l'aspetto. L'abitudine, mostro che annienta ogni nostra sensibilità, il demone dell’abitudine è un angelo in ciò che da pur anche alle opere buone e virtuose una veste che è facile indossare. Astenetevi questa notte, più facile vi sarà una seconda astinenza, vieppiù facile le altre perchè l'uso muta quasi l'impronta della natura e doma il demonio o lo caccia con potenza maravigliosa. Anche una volta, addio, e quando sentirete il bisogno della benedizione del cielo, allora verrò ad implorare la vostra. — Per quest’uomo (indicando Polonio), io mi pento, ma al cielo è piaciuto cosi; col mio mezzo ei volle punirlo come io fui da lui punito divenendo strumento di tal castigo. Lo trarrò altrove e risponderò della sua morte. Addio, debbo essere crudele solo per essere pietoso. Così al male che comincia rimane dietro il peggio. Anche una parola, signora.
REGINA.
Che debbo fare?
AMLETO.
Non quello che assolutamente io vi dico di fare. Rientrate pure nel letto dell'ebbro re e abbiatene le carezze;[1] in compenso de' suoi baci ardenti ottenga egli da voi la confessione ch'io non sono demente, che simulata è la mia pazzia. Giova che ciò gli diate a conoscere, imperocchè chi, tranne una regina bella, savia, modesta, vorrebbe nascondere così cari segreti ad un mostro odioso?[2] Chi potrebbe far ciò? No, in onta
  1. E che ei vi stringa fra le dita la gota, e vi chiama il suo topo.
  2. Ad un rospo, ad un gatto, ad un pipistrello.
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