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atto quinto | 91 |
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morti cantandone l’inno funebre,[1] augurandole il riposo riservato alle anime che abbandonano la vita in pace.
- LAERTE.
- Deponetela entro la terra, e possano germogliare le viole su queste zolle che racchiudono tanta innocenza![2] Sono io che te lo dico, prete spietato,[3] mia sorella sarà un angelo del cielo, intantochè tu ruggirai nel fondo dell’abisso.
- AMLETO.
- Ah! la vaga Ofelia!
- REGINA.
- (spargendo fiori). Le dolci cose alla dolce beltà.[4] Addio! Speravo che saresti stata sposa del mio Amleto, e avrei voluto cospargere di fiori il tuo talamo, cara fanciulla, e non la tua tomba!
- LAERTE.
- Oh una triplice e dieci volte triplice maledizione cada sulla testa dello scellerato, pel cui delitto perdesti la ragione! — Aspettate a chiudere la tomba ch’io l’abbia abbracciata anche una volta: (Salta nella fossa.) ora gettate la terra sul vivo e sull’estinta, e innalzate su di noi un monte che vinca in altezza l’antico Pelio, o l’azzurro Olimpo che cela la fronte nei cieli.
- AMLETO.
- (avanzandosi). Chi è colui che adopera tanta enfasi a significare il proprio dolore, e le cui grida lamentevoli interrompono il corso degli astri che ammirati soffermansi ad udirle? Sono io, Amleto il Danese. (Salta nella fossa.)
- LAERTE.
- L’inferno abbia la tua anima! (Afferrandolo.)
- AMLETO.
- Tu non preghi onesto, ma, te ne supplico, toglimi quei diti dalla gola. Amico, sebbene io non sia iracondo nè avventato, e pure in me qualche cosa di pericoloso che la tua saviezza deve temere. Via la tua mano.
- RE.
- Separateli.
- REGINA.
- Amleto! Amleto!
- GENTILUOMINI.
- Buon principe, calmatevi. (I gentiluomini del seguito vanno a separarli, e tutti escono dalla fossa.)
- AMLETO.
- Oh combatterò con lui per un tal tema finché gli occhi mi si muoveranno nella testa.
- REGINA.
- Oh mio figlio! e per qual tema?
- AMLETO.
- Amavo Ofelia; l’amore di un milione di fratelli[5] assommato non avrebbe potuto pareggiare il mio. — Che farai tu per lei?
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