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166 | G. Ricci |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Archivio della R. Società Romana di Storia Patria - Vol. XVI.djvu{{padleft:170|3|0]]entrare a parte di tutte quelle riforme che riguardassero l’economia del comune. Così, per esempio, nel 1339[1] i Romani tennero ai sette di settembre un pubblico consiglio composto dei tredici caporioni, dei tredici consoli delle Arti, dei tredici grascieri e dei tredici gabellieri per chiedere ai Fiorentini di mandar loro uomini esperti allo scopo di ordinare in Roma le pubbliche gabelle[2].
Ma la università dei bovattieri risguardava un campo economico, da cui l’amministrazione civica non poteva disinteressarsi. Si trattava dell’agricoltura, della grascia, di tutti i generi alimentari insomma: allo Stato poco importava se i mercanti di panno avessero o no delle stoffe preziose, ma certo dovea prendersi molta cura perchè in Roma non vi fossero carestie o difetto di cibi. V’eran quindi delle leggi severissime[3] per chi avesse esportato i generi alimentari dalla città, mentre ne era favorita l’importazione «libere, absolute, sine data aliqua»[4]. Ne venne di conseguenza la creazione d’un’apposita magistratura, dei grascieri comunali, che furono eletti per la prima volta nel 1283[5], di un camerarius Urbis, custode delle rendite comunali, che già apparisce nel 1285 da una lettera di Martino IV[6]. I proventi di Roma non potevan del resto esser molto lauti da parte dell’agricoltura, perchè questa dovette sopportare tutte le invasioni ed i danni, che ne conseguitarono, nei secoli barbari, e poscia tutte le discordie intestine delle grandi famiglie, che ardevano castelli e devastavano messi, per cupidigia d’impero. Cosi vediamo che le principali entrate del comune non consistevano in red-