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168 | G. Ricci |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Archivio della R. Società Romana di Storia Patria - Vol. XVI.djvu{{padleft:172|3|0]]in questa materia: difatti, nel passo succitato[1] vien detto: «item quod nullus bobacterius seu quaevis alla persona»; questa altra qualsiasi persona è soggetta all’art. 47, secondo il quale non si può ripetere la biada concessa a mezzo. Una sequela di minute prescrizioni, che riguardavano non soltanto quelli dell’Arte, ma tutti i cittadini romani[2], regolavano la coltivazione dei campi, i contratti di locazione, i danni arrecati dal bestiame e dagli uomini. Il comune aveva abbandonata questa paite totalmente all’università dei bobacterii, la quale ne veniva a ritrarre dei forti proventi, giacchè la Camera dell’Arte avea, per esempio, diritto a buona porzione delle somme, che sì pagavano come rifazione dei danni[3]. Speciali pene disciplinari provvedevano a che le sementi e la coltivazione fossero fatte secondo le migliori regole agricole; nessun lavoratore potea rimuovere il frumento dall’ara senza licenza del padrone[4]; chi ha in locazione una tenuta non può tagliare gli alberi in essa esistenti[5]; se fosse insorta una questione di confini, i consoli, a richiesta di una delle due parti, debbono andare in persona, o mandare «expenos massarìos de diaa Arte», per risolvere la quistione «de plano, sine strepitu et figura iudicii»[6]; non si può dar fuoco alle stoppie (stipulis) prima della festa dell’Assunzione[7]; non si possono scortecciare gli alberi[8] e così via dicendo. Chiunque avesse contraddetto a queste leggi dovea comparire dinanzi al tribunale dei consoli dei bobacterii, che avea su tal materia la piena