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della poesia di virgilio | 501 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Archivio storico italiano, serie 3, volume 13 (1871).djvu{{padleft:507|3|0]]alle tenebre della vita; e come la religione del talamo e la religione del sepolcro facessero tutt’una fede nel suo pensiero. Il suo eroe ha titolo di pio e di padre, come Achille quel di Pelide e di piè veloce: pio agli Dei, al padre, alla patria, agli afflitti, ai nemici. E sul prode Lauso, al vederlo impallidire di morte, e’ s’intenerisce e gli tende la destra, e l’immagine del suo proprio figliuolo gli stringe l’anima di compassione; e vorrebbe con la sua pietà rendergli onore degno d’indole così generosa; e gli lascia le sue armi, e gli concede il riposo del patrio sepolcro, si qua est ea cura[1]; come alla propria nutrice Gaeta, innalza sepolcro che ne perpetuasse tra le genti d’Italia la fama, si qua est ea gloria[2], parole che mestissimamente suonano disinganno di tutte le mortali onoranze.
Mezenzio ferito supplica al vincitore per si qua est victis venia hostibus, oro, Corpus humo patiare tegi, e gli conceda avere col figlio il consorzio del sepolcro[3]: Turno, ferito, supplica al vincitore, miseri te si qua parentis Tangere cura poteste oro, abbia compassione alla vecchiezza di Dauno, e gli renda o corpus spoliatum lumine, o lui vivo e già spento a ogni consolazione[4]. E già il vincitore s’impietosisce e rimane esitante; allorchè gli balenano allo sguardo le borchie della tracolla che Turno trasse trofeo dall’ucciso giovanetto Pallante; e il moto d’una pietà più intima, e il debito della gratitudine e dell’amicizia, lo spinge, pensando la desolazione d’Evandro, a accuorare con la morte del figlio prode la vecchiezza di Dauno. Turno scongiurava Enea per la memoria del suo padre stesso, fuit et tibi talis Anchises genitor; e queste parole fanno più sentir la bellezza di quelle che dice, commemorando il suo Astianatte, l’infelicissima madre, abbracciando Ascanio, e porgendogli le memorie ultime di dolore e d’amore: così gli occhi, così le mani, aveva egli il viso così[5]. E qui pure, come nella recata preghiera di Turno, un dì quegli scorci di lingua