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canto quarto. | 81 |
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Io v’ho offeso ignorante in un sol loco;[1]
Vi lodo in tanti a studio, e mi val poco.
2 Questo non dico a tutte, che ne sono
Di quelle ancor c’hanno il giudicio dritto,
Che s’appigliano al più che ci è di buono,
E non a quel che per cianciare è scritto;
Dàn facilmente a un lieve error perdono,
Nè fan mortale un venïal delitto.
Pur s’una m’odia, ancor che m’amin cento,
Non mi par di restar però contento:
3 Chè, com’io tutte riverisco ed amo,
E fo di voi, quanto si può far, stima,
Così nè che pur una m’odi, bramo,
Sia d’alta sorte o mediocre o d’ima.
Voi pur mi date il torto, ed io mel chiamo;[2]
Concedo che v’ha offeso la mia rima:
Ma per una che in biasmo vostro s’oda,
Son per farne udir mille in gloria e loda.
4 Occasïon non mi verrà di dire
In vostro onor, che preterir mai lassi;
E mi sforzerò ancor farla venire,
Acciò il mondo empia e fin nel ciel trapassi;
E così spero vincer le vostr’ire,
Se non sarete più dure che sassi:
Pur, se sarete anco ostinate poi,
La colpa non più in me sarà, ma in voi.
5 Io non lasciai per amor vostro troppo
Gano allegrar di Bradamante presa,
Chè venir da Valenza di galoppo
Feci il signor d’Anglante in sua difesa;
Ed or costui che credea sciòrre il groppo
Di Gano, e far alle guerriere offesa,
A vostro onor udite anco in che guisa,
Con tutti i suoi, trattar fo da Marfisa.
6 Marfisa parve al stringer della spada
Una furia che uscisse dello inferno;
Gli usberghi, gli elmi, ovunque il colpo cada,
Più fragil son che le cannucce il verno;