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90 | i cinque canti. |
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Ed oggi quattro, essendo tu con nui:
Ch’in tanto mal grand’avventura chiamo,
Che tu ci trovi compagnia, con cui
Pianger possi il tuo stato oscuro e gramo;
E non abbi a provar l’affanno e ’l duolo,
Che a quel tempo io provai che ci fui solo. —
47 Come ad udir sta il misero il processo
De’ falli suoi che l’han dannato a morte;
Così turbato e col capo dimesso
Udía Ruggier la sua infelice sorte.
— Rimedio altro non ci è (soggiunse appresso
Il vecchio) che adoprar l’animo forte.
Meco verrai dove, secondo il loco,
L’industria e il tempo n’ha adagiati un poco.
48 Ma voglio provveder prima di cena,
Che qui sempre però non si digiuna. —
Così dicendo, Ruggier indi mena,
Cedendo al lume l’ombra e l’aria bruna,
Dove l’acqua per bocca alla balena
Entra, e nel ventre tutta si raguna:
Quivi con la sua rete il vecchio scese,
E di più forme pesci in copia prese.
49 Poi, con la rete in collo e il lume in mano,
La via a Ruggier per strani groppi scôrse:[1]
A salir ed a scendere la mano
Ai stretti passi anco talor gli porse.
Trâtto ch’un miglio o più l’ebbe lontano,
Con gli altri duo compagni al fin trovôrse
In più capace luogo, ove all’esempio
D’una moschéa, fatto era un picciol tempio.
50 Chiaro vi si vedea come di giorno,
Per le spesse lucerne ch’eran poste
In mezzo e per li canti e d’ogn’intorno.
Fatte di nicchi di marine croste:
A dar lor l’oglio traboccava il corno,
Chè non è quivi cosa che men coste,
Pei molti capidogli che divora
E vivi ingoja il mostro ad ora ad ora.
51 Una stanza alla chiesa era vicina,
- ↑ Attivamente e coll’accusativo di cosa, come in Dante (Inf. VIII, 95.) secondo la comune lezione: «Che gli hai scôrta sì buia contrada.»