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STANZE.
FRAMMENTO PRIMO.[1]
1 La gentil donna,[2] che da questa figlia
Del duca Amon non torce gli occhi punto,
Di stupor piena e d’alta meraviglia
Di tal valore a tal beltà congiunto,
E che la vede star con meste ciglia
Più che se ’l padre avesse ivi defunto,
Con lei di molte varie cose parla,
E studia, più che può, di ricrearla.
2 Or le ragiona della sua regina,
Le cui bellezze esalta e mette al cielo:
Or della patria sua, la cui marina
Dal verno è stretta in sino al fondo in gelo,
E più di cento miglia ne declina
Di là dalle fredd’Orse il parallelo;
E quando lascia il sol del Tauro il corno,
V’ha per tre mesi, o più, continuo giorno:
3 Or le dice degli Eruli, che usciro
Di quel paese, ed occuparon quanto
Di terra abbraccia col suo largo giro
Il gran Danubio in l’uno e in l’altro canto;
A cui li Longobardi già ubbidiro,
Cedendo lor dell’arme il pregio e ’l vanto:
- ↑ Queste stanze, le quali formano un compendio della storia d’Italia dalla traslazione della sede imperiale a Costantinopoli sino all’impero di Alberto Tedesco, vennero abbozzate dal poeta nel c. XXXIII del Furioso; ma poi, o come soverchiamente lunghe o per altra cagione, furono da lui lasciate imperfette e rifiutate. — (Barotti e Molini.)
- ↑ Ulania, messaggiera del re d’Islanda. Vedi Furioso, c. XXXII.
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