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19 Questo che in esser suo primo rimase,
Forse il più bello, il crudel re de’ Goti
Mandò da Roma alle paterne case,
Ai liti del mar Battro sì remoti;
Col quale i gran successi persüase,
Che ancor per fama ben non eran noti,
Che la superba Italia aveva doma,
E presa ed arsa e saccheggiata Roma.
20 Galeotto lo Brun, ch’era a’ dì suoi
Il maggior cavalier che al mondo fusse;
Che l’isole lontane e gli Stenoi,[1]
Col nostro regno, al scettro suo ridusse;
Si fe signor di questo scudo, poi
Che un re de’ Goti di sua man percusse,
Percosse e mise a morte; indi portòllo
Seco in Islanda, ove al morir lasciòllo.
21 Nel scudo prima Radagasso ardito
Aver distrutta Italia si vedea;
Poi Stilicone incontra essergli uscito,
Che condotto a mal termine l’avea.
Venía di Gallia un altro che tradito
Dal capitan d’Onorio si dolea,
Che piglia e mette a sacco Italia e Roma;
E scritto v’è, che Alarico si noma.
22 Èvvi Ataulfo, che levar desia
Roma dal mondo e far nuova cittade,
Che nome dalli Goti abbia Gotia;
E che nè più cesarea maestade,
Nè nome imperïal nè Augusto sia,
Ma sia Ataulfo alla futura etade.
Ezio patrizio v’è, che par che chiami
Gli Unni, e l’Italia in preda lor dar brami.
23 Vengono gli Unni, e loro Attila è innante;
La gente afflitta alle paludi fugge:[2]
Esso Aquiléa, con l’altre terre, quante
Ne son fra l’Alpi e ’l Po, tutte distrugge:
Per arder Roma ancor môve le piante,